«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 4 - 30 Giugno 1993

 

Giulio, un sogno lungo 45 anni

 


«Che qualche cosa sia avvenuta nella vita reale non è per questo un soggetto adatto di
romanzo. La vita è piena d'improbabilità che il romanzo non ammette»
Somerset Maugham

«Tutti vorrebbero rubare se non avessero paura della prigione.

Chi non ha il coraggio delle proprie opinioni abbia almeno il rispetto per il coraggio degli altri.
Rispettate i ladri»
Max Stirner

Qual è l'anagramma di «on. Giulio Andreotti»?
«Un gelido Tota Riina».
Federico Zeri



Questa è la trama di un cattivo sogno. Uno di quelli che ti prendono nel cuore della notte, che ti fanno svegliare sudato ma contento che sia solo un cattivo sogno. Come in ogni sogno, il riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistite è puramente casuale.
Il sogno è ambientato in un paese collocato ad oriente dell'estremo occidente. Questo paese è attraversato dal confine stabilito dai vincitori dell'ultimo conflitto mondiale i quali, nel timore di combatterne un altro più catastrofico, avvertirono la necessità di creare zone «amiche» sulle quali esercitare di fatto un controllo politico in maniera da tenere il più possibile distante l'avversario da sé.
In questo paese il controllo venne affidato ad esponenti di forze politiche che pur essendo espressione del popolo, esercitavano di fatto il ruolo di garanti dello status quo. Il nostro protagonista che per comodità chiameremo G.A. era stato investito proprio del mandato di garantire l'equilibrio di questo paese. Lui era il referente degli interessi politici del grande alleato ed il referente di altri interessi non sempre onesti. Ma un giorno questo equilibrio mirabile e questa pace armata che sembrava eterna, finì, scompaginando tutto.
I muri che dividevano il mondo in blocchi caddero e si determinarono le condizioni per liberare il paese da quell'intreccio pauroso di interessi. Alcuni giudici cominciarono a districare la fitta matassa di vicende politiche e di corruzione che avevano consentito al sistema di sopravvivere e contribuito a costruire molte fortune personali. Erano giorni intensi e gli amici del Nostro erano in preda al panico, ma mentre i colleghi che si erano divisi con lui le briciole del potere perdevano e perdevano, il Nostro ragionava e ragionava. Pensando a come rimanere fuori da quelle storie. Oltre ad essere considerato quasi demoniaco, G.A. era notoriamente un grande amante della letteratura gialla ma ora le circostanze gli imponevano una storia di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Il giallo era questo.
Alcuni tra i più noti pentiti di mafia avevano cominciato ad accusarlo. Gli stessi oracoli viventi che avevano contribuito a costruire solide accuse contro molti criminali spedendoli in galera, ora lo chiamavano a rispondere di fatti che una volta confermati avrebbero decretato il crollo del sistema di cui era stato per decenni uno dei vertici più prestigiosi. Un magistrato simile a quelli che avevano inchiodato molti politici che si dividevano soldi con la scusa di finanziare i loro partiti, aveva provveduto a mandare in Parlamento un grande plico che lo riguardava. In quel luogo che il Nostro conosceva meglio della sua casa si giocava la partita più importante. G.A. vi apparve frastornato. I suoi connazionali che fino a qualche giorno prima ne stimavano l'intelligenza e l'acume politico ora lo oltraggiavano. Per buona parte del paese G.A. era la prova vivente della nefandezza di quella classe politica. Anche gli addetti all'informazione, alcuni dei quali gli dovevano molto, erano presi dall'andazzo e sparavano titoli di scatola in cui lo accusavano di essere il capo della banda.
Impietose telecamere avevano mostrato il volto terreo di G.A. che aveva perso la sua proverbiale freddezza ed ironia e ora dai giornali quasi implorava i suoi colleghi di rifiutare la richiesta dei giudici per inquisirlo parlando di un complotto ai suoi danni. Ma l'opinione pubblica, che lui si vantava di conoscere meglio di chiunque altro, voleva giustizia e quei parlamentari avrebbero dato il via libera perché giustizia fosse fatta.
Tra quella autorizzazione e le indagini per accertare i fatti che gli venivano imputati, l'attenzione di tutta la nazione era stata presa da quella storia. Altro che i gialli che aveva letto. Il giallo più intricato della sua vita lo vedeva -ahimè- protagonista. Una trama che non sembrava offrirgli vie di fuga. Che gettava nel fango la costruzione di una intera vita.
Il temporale durò qualche tempo. Fino al momento in cui il giudice potè accertare che il giorno in cui il Nostro veniva accusato di essere in compagnia di notissimi criminali con i quali si scambiava favori, lui stava dall'altra parte del mondo, all'estremo occidente del nostro oriente, a cena non con mafiosi ma con alcuni grandi della terra. Fu così, che dopo reso evidente il complotto ai suoi danni, che il Nostro potè risorgere a nuova vita. Riguadagnare la simpatia di tutti quelli che ora dicevano «io non ci ho mai creduto» e i titoli positivi di quegli stessi giornali che lo avevano coperto di infamia. A caratteri di scatola parlavano di alibi di ferro, di crollo del castello accusatorio e rilanciavano accuse alla magistratura. L'articolo che il Nostro stava leggendo conteneva la dichiarazione di un politico già inquisito per storie di corruzione e tangenti. Diceva: «Quanto è accaduto a G.A. è la prova che i magistrati hanno cercato di attuare un golpe strisciante. I giudici che con tanta facilità ci hanno infangato ora devono pagare». Più sotto anche il difensore di uno dei criminali in galera diceva la sua: «Ora si dovrà rivedere la posizione giudiziaria di tutti coloro che sono stati accusati sulla base di teoremi artificiali costruiti sul nulla e senza riscontri oggettivi». Le labbra di G.A. tornarono dopo tanto tempo a piegarsi in un sorriso proprio mentre squillava il telefono. Dall'altra parte del filo c'era l'illustre direttore del giornale che stava leggendo. Lo cercava per una intervista esclusiva.
«Ha visto che avevo ragione a parlare di complotto?» - disse compiaciuto». «Ricorda quando dicevo che pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca...?».
 

Barbanera

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