Giulio, un sogno lungo 45
anni
«Che qualche cosa sia avvenuta nella vita reale non è per questo un soggetto
adatto di
romanzo. La vita è piena d'improbabilità che il romanzo non ammette»
Somerset Maugham
«Tutti vorrebbero rubare se non avessero paura della prigione.
Chi non ha il coraggio delle
proprie opinioni abbia almeno il rispetto per il coraggio degli altri.
Rispettate i ladri»
Max Stirner
Qual è l'anagramma di «on. Giulio Andreotti»?
«Un gelido Tota Riina».
Federico Zeri
Questa è la trama di un cattivo sogno. Uno di quelli che ti prendono nel cuore
della notte, che ti fanno svegliare sudato ma contento che sia solo un cattivo
sogno. Come in ogni sogno, il riferimento a fatti realmente accaduti o a persone
realmente esistite è puramente casuale.
Il sogno è ambientato in un paese collocato ad oriente dell'estremo occidente.
Questo paese è attraversato dal confine stabilito dai vincitori dell'ultimo
conflitto mondiale i quali, nel timore di combatterne un altro più catastrofico,
avvertirono la necessità di creare zone «amiche» sulle quali esercitare di fatto
un controllo politico in maniera da tenere il più possibile distante
l'avversario da sé.
In questo paese il controllo venne affidato ad esponenti di forze politiche che
pur essendo espressione del popolo, esercitavano di fatto il ruolo di garanti
dello status quo. Il nostro protagonista che per comodità chiameremo G.A. era
stato investito proprio del mandato di garantire l'equilibrio di questo paese.
Lui era il referente degli interessi politici del grande alleato ed il referente
di altri interessi non sempre onesti. Ma un giorno questo equilibrio mirabile e
questa pace armata che sembrava eterna, finì, scompaginando tutto.
I muri che dividevano il mondo in blocchi caddero e si determinarono le
condizioni per liberare il paese da quell'intreccio pauroso di interessi. Alcuni
giudici cominciarono a districare la fitta matassa di vicende politiche e di
corruzione che avevano consentito al sistema di sopravvivere e contribuito a
costruire molte fortune personali. Erano giorni intensi e gli amici del Nostro
erano in preda al panico, ma mentre i colleghi che si erano divisi con lui le
briciole del potere perdevano e perdevano, il Nostro ragionava e ragionava.
Pensando a come rimanere fuori da quelle storie. Oltre ad essere considerato
quasi demoniaco, G.A. era notoriamente un grande amante della letteratura gialla
ma ora le circostanze gli imponevano una storia di cui avrebbe fatto volentieri
a meno. Il giallo era questo.
Alcuni tra i più noti pentiti di mafia avevano cominciato ad accusarlo. Gli
stessi oracoli viventi che avevano contribuito a costruire solide accuse contro
molti criminali spedendoli in galera, ora lo chiamavano a rispondere di fatti
che una volta confermati avrebbero decretato il crollo del sistema di cui era
stato per decenni uno dei vertici più prestigiosi. Un magistrato simile a quelli
che avevano inchiodato molti politici che si dividevano soldi con la scusa di
finanziare i loro partiti, aveva provveduto a mandare in Parlamento un grande
plico che lo riguardava. In quel luogo che il Nostro conosceva meglio della sua
casa si giocava la partita più importante. G.A. vi apparve frastornato. I suoi
connazionali che fino a qualche giorno prima ne stimavano l'intelligenza e
l'acume politico ora lo oltraggiavano. Per buona parte del paese G.A. era la
prova vivente della nefandezza di quella classe politica. Anche gli addetti
all'informazione, alcuni dei quali gli dovevano molto, erano presi dall'andazzo
e sparavano titoli di scatola in cui lo accusavano di essere il capo della
banda.
Impietose telecamere avevano mostrato il volto terreo di G.A. che aveva perso la
sua proverbiale freddezza ed ironia e ora dai giornali quasi implorava i suoi
colleghi di rifiutare la richiesta dei giudici per inquisirlo parlando di un
complotto ai suoi danni. Ma l'opinione pubblica, che lui si vantava di conoscere
meglio di chiunque altro, voleva giustizia e quei parlamentari avrebbero dato il
via libera perché giustizia fosse fatta.
Tra quella autorizzazione e le indagini per accertare i fatti che gli venivano
imputati, l'attenzione di tutta la nazione era stata presa da quella storia.
Altro che i gialli che aveva letto. Il giallo più intricato della sua vita lo
vedeva -ahimè- protagonista. Una trama che non sembrava offrirgli vie di fuga.
Che gettava nel fango la costruzione di una intera vita.
Il temporale durò qualche tempo. Fino al momento in cui il giudice potè
accertare che il giorno in cui il Nostro veniva accusato di essere in compagnia
di notissimi criminali con i quali si scambiava favori, lui stava dall'altra
parte del mondo, all'estremo occidente del nostro oriente, a cena non con
mafiosi ma con alcuni grandi della terra. Fu così, che dopo reso evidente il
complotto ai suoi danni, che il Nostro potè risorgere a nuova vita. Riguadagnare
la simpatia di tutti quelli che ora dicevano «io non ci ho mai creduto» e i
titoli positivi di quegli stessi giornali che lo avevano coperto di infamia. A
caratteri di scatola parlavano di alibi di ferro, di crollo del castello
accusatorio e rilanciavano accuse alla magistratura. L'articolo che il Nostro
stava leggendo conteneva la dichiarazione di un politico già inquisito per
storie di corruzione e tangenti. Diceva: «Quanto è accaduto a G.A. è la prova
che i magistrati hanno cercato di attuare un golpe strisciante. I giudici che
con tanta facilità ci hanno infangato ora devono pagare». Più sotto anche il
difensore di uno dei criminali in galera diceva la sua: «Ora si dovrà rivedere
la posizione giudiziaria di tutti coloro che sono stati accusati sulla base di
teoremi artificiali costruiti sul nulla e senza riscontri oggettivi». Le labbra
di G.A. tornarono dopo tanto tempo a piegarsi in un sorriso proprio mentre
squillava il telefono. Dall'altra parte del filo c'era l'illustre direttore del
giornale che stava leggendo. Lo cercava per una intervista esclusiva.
«Ha visto che avevo ragione a parlare di complotto?» - disse compiaciuto».
«Ricorda quando dicevo che pensare male si fa peccato ma spesso ci si
azzecca...?».
Barbanera
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