le «stazioni» della memoria
brani tratti dal libro di Silvana La
Spina. edizione Bompiani
L'ultimo treno da Catania
Io la vedo nera.
— Ma come, se tutti vanno dicendo che non hanno niente da temere.
— Appunto. Chi nega afferma, e quelli mai mi hanno negato come adesso. Temo
perciò che alla fine quelle parole si ritorceranno contro.
— Contro chi?
— Contro tutti. Contro di lui, e contro di noi. Qui non siamo in un film western
di quart'ordine dove il nemico è sempre l'indiano; qui il nemico può essere
anche l'amico del giorno prima. Voglio dire che è tutto confuso...
— E allora?
— Non vorrei che si finisse per ricorrere a leggi speciali, che poi sono leggi
incostituzionali. È in questo modo che sempre uno stato di diritto finisce per
diventare uno stato di polizia. Inoltre...
— Cosa?
— Temo la vendetta di quelli che dicono di non avere niente da temere. E vedrai,
sarà feroce. Ma lenta e in apparenza indolore, come quelle febbrette che
sembrano innocue e che poi stroncano... Cominceranno col mettere in dubbio la
credibilità del Generale... faranno circolare voci, frasi allusive. Per esempio:
«ma questo chi si crede», «ma cosa vuole realmente», «ma siamo sicuri che è
onesto come dice». Insomma se ne intacca la figura, se ne demolisce il mito...
Poi...
— Ma tu cosa faresti, al posto suo?
— Io? E perché dovrei mettermi al posto suo? Io me ne sto qui e guardo.
— Ma così non finirà mai!
— Tu dici? Io invece credo che finirà... È il nostro destino quello di finire.
Di sparire, anzi. Il destino di tutte le isole: un bel giorno tutta la Sicilia
staccherà gli ormeggi, e noi sopra. Con tutta la nostra storia, con i nostri
Federico -primo fra tutti lo «stupor mundi»-, con i nostri resti normanni e
arabi, coi nostri Antonello da Messina e i nostri Serpotta... e persino coi
nostri Cagliostro... Via tutti, nel mare aperto!
— Sei peggio dell'Apocalisse.
— Dimenticavo di includere anche i nostri sogni di separatismo. Vuoi da bere?
— No, non mi piacciono i tuoi miscugli, e poi non intendo andare ubriaco al
concerto di stasera... Verrai anche tu, immagino.
— Io? Non ne vedo il motivo... E poi detesto Bellini e la sua musica.
— Naturalmente.
— Naturalmente, cosa?
— Naturalmente come tutti i catanesi. Anche se poi guai a dirne male.
— Curioso, vero?
— Perché curioso? Tipico.
— Divennero separatisti.
— Era il tempo: tanti si iscrissero in quella specie di esercito, specie i
giovani, i ragazzi delle scuole. Alla fine della guerra il vento portava da
quella parte.
— Ma cosa accade?
— Gesù, ma lei niente sa? Finì come sempre finiscono queste cose: a gambe
all'aria... fu tutta 'na moschetteria affinchè la Sicilia avesse l'autonomia...
— E l'esercito separatista, l'Evis, che fine fece?
— Si disperse quando ammazzarono il capo. A Randazzo.
— E il nome del capo?
— Canepa, professore credo Antonio Canepa.
— Dev'essere storia poco nota. Sicuramente meno nota di quella di Giuliano.
— Meglio così... E poi la gente non vuole più saperne di certe cose. Ormai si
hanno altri pensieri. Allora le preoccupazioni erano diverse.
— Quali per esempio?
— Per esempio la roba, la terra. Il separatismo nacque anche per questo: il
timore di perdere la roba... Ma oggi la roba ha cambiato persino nome, oggi la
chiamano «capitale»: ha un nome che a me pare ridicolo.
— Intendi dire che il separatismo fu l'inizio di tutto?
— Voglio dire che il separatismo varò il principio del nascondere tutto, e da
allora non ci siamo più ripresi. Almeno è quello che io e molti altri
sospettiamo.
— Quindi, chiunque fosse adesso disposto a dare informazioni sull'Evis, o sulla
morte di Canepa, rischierebbe ancora di essere ammazzato?
— Sì.
— Rimane da chiedersi cosa contenesse la vicenda di Canepa di talmente
pericoloso da non doversi riferire.
— Beh, non saprei. Come Canepa sia morto non è certo un mistero: i carabinieri
lo attendevano al bivio di Randazzo, ed è stato persino lui per primo a fare
fuoco... Però, ugualmente, certi fatti rimasero confusi, per certi elementi
entriamo nel capo delle ipotesi e del sospetto. Ma è anche questo il punto in
cui la ricerca diventa affascinante... Del resto, se non ci fossero i vuoti, le
ombre, che ci starebbe a fare l'indagine storica?
— Il problema è, se poi, all'indagine storica consegue anche la verità storica.
Non è la prima volta che i fatti vengono storpiati e non si arriva mai a fare
giustizia.
— Di quale giustizia parli?
— Di giustizia storica! Perché, vi sono altre forme di giustizia in questa
faccenda?
— Se ce ne sono, non sono affari miei.
— Appunto.
* * *
Lamentu funibri pi la morti di Orlandu paladinu.
— Siri, mortu è Orlandu, paladinu di Francia. Morti tutti su' li soi compagni.
— Ah, Orlandu, Orlandu, figghiu, niputi, sangu, cori miu...
— Summa Rigalità! L'avissti tu vistu comu vidimmu nui, lu monacu Turpinu,
Rinaldu paladinu, me medesimu... ah, nun è duluri ca si po' cunfurtarti, né focu
ca po' abbintari, né ciniri ca po' stutari! Cu 'sti occhi aiu visti l'anima
biniditta di Orlandu sbulazzari — farfalla punintina — intra li Cori di li
Sirafini.
* * *
— Oh, spada, spatuzza, Durlindanedda, picchi nun ti rumpi a li me' corpi? Voi
forsi finiri tra li manu di li nimici Saracini?
— Orlandu, Orlandu, voi tu vivere o muriri?
— Unni su' li mei cumpagni, primi dimmi, angilu, sangu di Diu!
— Nun bistimmiari, cani: tra li Santi li angili su' li toi cumpagni e paladini
tutti, ca' lu numiru accussi diventa pari e compiutu.
* * *
— Cucinu, comu mi poi lassari; comu lassari poi 'sta terra pi lu cielu, comu,
Orlandu, 'sta terra di la duci Francia? Nun mi lassari, Orlando, cucinu! Nun mi
lassari Orlandu! Chi fazzu senza la tua prisenza? Orlandu, Orlanduzzu, cucinu,
frati... Ah, beddu eri, e gagliardu e riccu e nobili e traditu da l'ultimu di l'ommini:
l'infami Ganu di Maganza... Ah, chiangi la Francia, chiangi la Pruvenza,
chiangiunu tutti l'ommini dabbeni... Chiangi Alda la Bella, viduva senza
spiranza.
Silvana
La Spina
|