«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 4 - 30 Giugno 1993

 

i dibattiti

Per un nuovo socialismo


 

Prendere le distanze era divenuto d'obbligo. Lo sapeva bene il Segretario nazionale Mauro Nobilia, allorché, in una intervista a "Il Popolo", aveva dichiarato essere la CISNaL in procinto di «tagliare gli ormeggi» dal proprio tradizionale referente politico. E lo sapevano bene i partecipanti all'incontro di Roma del 4 e 5 giugno, chiamati a «ridefinire un nuovo modello di socialismo fondato sulla solidarietà». Nessuna meraviglia allora se, da quelle parti, si sia affrontato il tema cruciale dello «sganciamento», non solo e non tanto dalle precarie fortune del movimento di estrema destra ed. neofascista, quanto e soprattutto dalle sue trasformistiche operazioni post-referendarie in chiave liberal-democratica.
Certo, c'era modo e modo per la CISNaL di prendere le distanze. Lo avrebbe potuto fare «a metà» e «in via ufficiosa»; e c'era invece l'altra strada, diretta ed assai più dignitosa, di non eludere oltre il problema. Costi quel che costi.
È quanto han scelto di fare i massimi esponenti di via Principe Amedeo, in coerenza con i postulati ed i fini sociali del «sindacalismo nazionale».
Questo va riconosciuto ai vari Nobilia, Laghi, Cavallini: d'aver essi manifestato, senza tatticismi o infingimenti, il loro aperto dissenso verso chi -dimentico d'ogni e qualsiasi «eredità» al riguardo- si fa mèntore di una «funzione sociale del capitalismo» (G. F. Fini). E va riconosciuto loro d'essersi dichiarati apertamente a quanti -dentro «il Partito»- avevano accolto con sufficienza l'annunciato «strappo», così commentandolo: «Riscoprire il socialismo? Noi non ci pensiamo proprio. Se la CISNaL ne vuoi proprio parlare, lo faccia. A noi comunque non interessa».
Uno spiritello maligno, di natura extra-sindacale, potrebbe ribattere ed osservare che -in realtà- a non interessare sono proprio «loro», con le loro squallide avances senza seguito. Trattati a pesci in faccia dagli... alleati nazionali Costa e D'Onofrio; trattati con supponenza dai... vincitori leghisti, sui quali promettono di riversare al 2° turno i loro voterelli; tenuti sulla corda, e poi mollati, da un «imprevedibile», beffardo Picconatore; ignorati dalla vera «destra che conta», cui si erano umilmente rivolti — i missini arrancano ora più che mai isolati. Isolati, nonostante i buoni uffici della maitresse Marcella Settimanale (da escludere, per carità, ogni parentela o vincolo di sangue con il direttore di "Pagine Libere" e di "Intervento", già autore di libri come "Processo all'Occidente", nonostante lo zelo da essa profuso per far incontrare tutte le destre di complemento ed unirle al servizio d'Ordine (: non certo Nuovo, ma -a scelta- svizzero, vaticano, a stelle e strisce, confindustriale, gladiatorio, muratorio...)
Ma questo MSI-DN -già poco presentabile nel suo abito da farsa (alla Tassi) e sempre meno credibile nella sua parodia di fascismo (alla Mussolini & Scicolone)- è out. Esso sconta decenni di arretratezza culturale, accompagnati da una fisiologica incapacità di oltrepassare la «politica delle occasioni». Come sconta, del resto, decenni di occasioni mancate.
Lasciamo pure al loro destino codesti strateghi delle retrovie; lasciamoli là, a difendere le loro trincee in disarmo, davanti alle quali invano sono trascorsi eventi siglati '60, '68, '72... Occupiamoci piuttosto del futuro. Occupiamoci del recupero in senso nazional-comunitario del socialismo operato dalla CISNaL. Ordunque in quel convegno romano -e nel corso delle successive tavole rotonde- sono stati emessi dei segnali, forse poco appariscenti, ma distinguibili da tutti i soggetti «di buona volontà». E si è trattato di segnali politici, che dall'esterno non potranno non essere colti. Sempreché (e nella misura in cui...) i destinatari del messaggio non siano ciechi e sordi a ben altri segnali, di ben altra evidenza e sonorità. Segnali che manifestano di come stiano muovendosi, in Italia ed altrove, forze preponderanti, aventi per obiettivo lo sradicamento dello Stato sociale; di come, nel quadro generale dell'appiattimento delle ideologie, vada facendosi luce la necessità di radicalizzare la lotta alla «fine della Storia»; di come il Nuovo Ordine Mondiale costituisca il nemico oggettivo dell'unità europea, «il» nemico delle nazionalità e specificità locali, «il» nemico delle loro tradizioni ed identità culturali, etniche, politiche, religiose. Il problema-termine di «ricostruire una nuova sinistra nazionale e popolare {e non una nuova sinistra borghese)» — per usare l'espressione di Enrico Landolfi, è stato posto. E da più parti. In difesa di quello Stato sociale che è, ora ed in prospettiva, un qualcosa di profondamente diverso dallo Stato assistenziale e clientelare, terreno di cultura -per 40 anni- della partitocrazia. Su quelle basi «sociali», nuove e antiche, si potrà edificare «una grande diga contro il capitalismo» (Giovanni Magliaro), in grado di affrontare e confrontarsi con modelli di sviluppo al centro dei quali possa ancora esservi «il bene di tutti e di ciascuno». Se non eccede il buon gusto l'autocitazione (e per quel che essa può valere) rammento come nel marzo '91 -già dimissionario «in pectore» dal msi-dn- scrissi su "Diorama" (n° 146) in merito alla nuova «topologia» dello stare all'opposizione -a destra, a sinistra e «oltre»- così concludendo l'intervento: «A Sinistra, allora. Una sinistra che non avrà bisogno di richiamarsi solo a Gramsci o a Proudhon per definirsi elitaria e d'avanguardia. Sinistra aristocratica come provocazione, come sfida, come progetto». La provocazione ed il progetto non trovarono, invero, sfidanti; lo stesso Marco Tarchi nella sua replica -pur intelligentemente articolata, come gli si conviene- non seppe o non volle cogliere l'obiettivo della mia analisi, se non nei termini (parziali) di un tentativo di rilegittimazione «a sinistra» del fascismo sulla scorta degli autori da me citati, quali Sorel, Corridoni e Berto Ricci.
Nello spazio di poco più di due anni, da allora -come ognuno sa- il quadro politico, nazionale ed internazionale, risulta profondamente mutato. Quell'esigenza di dar vita ad un fronte di opposizione sociale sembra trovare nuove, diverse e più diffuse sensibilità; anche come conseguenza «pratica» della riforma elettorale del dopo 18 aprile. Comunque sia, la situazione impone a quanti non vogliono abdicare al proprio «essere politico» di pensare ed agire secondo nuove forme d'intervento, ed attraverso nuove aggregazioni e nuove scomposizioni.
La vita politica italiana, d'altronde, appare oggi particolarmente confusa, e confusamente in movimento. Si possono scorgere molte realtà fra esse diversificate, ognuna delle quali capace sino ad ieri di «viaggiare per conto suo», ma che non trovano ora le coordinate per il domani. Un insieme di realtà complesse -come si diceva- di cui è in fondo facile conoscere la provenienza, ma di cui appare difficile sapere dove si trovino adesso, e quasi impossibile sapere dove stiano andando. Tutto sembra muoversi, qui in Italia, verso un'incessante evoluzione-involuzione; e dunque può risultare persino inutile tentare pronostici con pretese di attendibilità.
Tuttavia -a livello di ipotesi, e di ipotesi praticabile- penso che il futuro possa riservarci due schieramenti non riducibili alle tradizionali, chiesastiche categorie di sinistra o di destra, bensì riconducibili a «logiche» del tutto anomale, davvero trasversali -come si suoi dire- ai vecchi raggruppamenti partitici. Ed il discrimine sarà costituito dall'adeguamento, o meno, ad un'unica grande «logica»: quella del capitalismo.
Da una parte, un fronte a difesa della solidarietà e della partecipazione, dei valori originari della libertà e del socialismo, dell'indipendenza e tradizione nazionale; dall'altra -esteso in tutta la sua ampiezza- lo schieramento liberal-conservatore, quello dei «vincitori».
Uno schieramento, quest'ultimo, virtualmente filo-occidentale e nei fatti subalterno agli USA; lo schieramento di chi in Italia ancora si colloca a destra, al centro, o a sinistra, oppure si dice moderato o progressista, ma in realtà è funzionale ad una futura (?) mega-società integrata e apolitica.
E dovrebbe essere una delle ragioni fondanti di un polo antagonista, quella di riaffermare il primato del politico sull'individuale e sull'economico. Contro le spinte egoistiche della società opulenta. Contro la stessa egemonia tecnocratica ed economica. Contro la crescita disgregatrice dell'affarismo sia sul sociale che sull'individuale, entrambi depotenziati e sviliti dal progredire del «villaggio globale» e dalla massificazione mercantilistica. Dando così sfogo alla fantasia -ma restando con i piedi per terra- prefiguro un'ampia intesa, dapprima strategica e quindi organica, «contro» e «per» tutto ciò.
Un'alleanza che comprenda forze sindacali quali CISNaL, Essere Sindacato e Comitati di base; forze culturali non asservite agli interessi del mondialismo; gruppi impegnati nel volontariato e nella civica solidarietà; organismi sociali che si pongano in modo critico nei confronti dell'iper-consumismo. Penso anche ai vecchi contenitori partitici, tra cui quelli della vecchia sinistra, dai neo-comunisti ai socialisti libertari, passando attraverso il PDS non clintoniano, i Verdi del «no», la Rete anticapitalista; ma penso anche a settori del mondo cattolico ad esempio oppostisi alla sanguinaria truffa di "Desert Storm", senza trascurare apporti che provenissero da mazziniani non internazionalisti, da leghisti non liberal-democristiani, da missini che non avessero smarrito il senso di alcune parole d'ordine quali «plutocrazia» o «18 punti di Verona», e così via...
... Utopia, quella di trovare punti di convergenza e saldatura per costruire una realtà diversa, su fondamenta sociali e nazionali? Forse. Ma se questa «casa comune», di cui la CISNaL ha posto la prima pietra, dovesse innalzarsi — ebbene, io credo che «le prospettive del futuro» diverrebbero assai meno «grame» di quel che si attende(va) A. C. sull'ultimo numero di "Tabularasa".
Questo, comunque e in ogni caso, resta da sperare. E sperare operosamente, ciascuno per la propria parte. Per costruire assieme «l'isola che non c'è», là dove non sia unica legge quella del mercato e non domini uniforme il colore del dollaro.
 

Alberto Ostidich

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