«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 5 - 15 Agosto 1993

 

Resisti, Italia, a Mogadiscio

 


Non so come evolverà la situazione nel Corno d'Africa fintante che queste parole saranno editate. Mentre scrivo, un oscuro signore del Ghana, tale Kafi Annan, di mestiere «responsabile delle operazioni di pace» (sic!) dell'ONU in Somalia, ha chiesto che Bruno Loi, generale italiano, «folgorino» purosangue, venga allontanato dal comando delle truppe italiane di stanza a Mogadiscio. I vecchi delle mie contrade, pensando all'Africano, avrebbero commentato con un'espressione metaforica: «La caramella in bocca al porco!» La metafora è di facile interpretazione.


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L'Organizzazione delle Nazioni Unite è quella cloaca di sempre: fin da quando si chiamava Società delle Nazioni. Com'è stato abbondantemente documentato da Maurizio Blondet ("L'Italia settimanale", 7.7.1993) la «Società» nacque da un'idea di Bernard Baruch, mago della finanza americana. Woodrow Wilson, che non aveva un'intelligenza d'aquila, la propagandò nel mondo come il toccasana di tutti i mali del globo. E gli imbecilli della terra, che abbondano in ogni epoca, se ne innamorarono senza rendersi conto che tutte le ingiustizie, tutte le angherie, tutti i soprusi trovavano in questo consesso malefico il loro gineceo.
All'indomani del fatto di Ual-Ual, dove sessanta italiani furono trucidati da millecinquecento abissini, la Società delle Nazioni condannò l'Italia. "Il Popolo d'Italia" (28.9.1935) tra l'altro scriveva: «Ormai siamo di fronte a una presa di posizione societaria, da cui è perfettamente vano sperare un minimo di giustizia e ancor più vano attendere un minimo di garanzia per la vita dei nostri soldati». Erano gli anni in cui l'Inghilterra la faceva da padrone seppure non mancassero le voci inglesi che dissentivano dalla politica ufficiale di Albione. Sir Edward Grigg, membro del Parlamento britannico, si batteva ai Comuni perché l'amministrazione dell'Etiopia venisse affidata ad una sola nazione. Egli rilevava: «Se vi è una nazione che ha il diritto di rivendicare questa responsabilità, essa è l'Italia». Come andò a finire è abbastanza conosciuto. La Società delle Nazioni, nata per «imporre la pace» naufragò sotto il peso di guerre deflagrate ai quattro angoli del mondo.
Dopo la seconda guerra mondiale l'uzzolo ritornò. E fu l'ONU. Dove la «giustizia» è di casa come lo era nella Società delle Nazioni. Cinque paesi, i vincitori del secondo conflitto mondiale, sovrintendono ad una massa di schiavi. Un organismo che partorisce «risoluzioni», che valgono solo per chi non è alleato del potere. Insomma, un organismo nauseabondo che limita e tarpa la libertà dei popoli. Dove gli americani, mutatis mutandi, la fanno da padrone. More solito, anche l'ONU è un fallimento: si fa fatica a contare i conflitti scoppiati nel mondo da quando è stata fondata. Non è azzardato affermare che, al posto della pace, produce prolificamente guerra. È una contraddizione in termini. Quindi è inutile.
All'indomani della caduta del Muro di Berlino, con il mondo liberato dai ceppi della Logica di Jalta, la Potenza Superstite ha trovato la giustificazione per continuare ad imporre la sua volontà. E il «Nuovo Ordine Mondiale» che avanza sotto le bandiere blu del Palazzo di Vetro. Un «nuovo ordine» che pretenderebbe affermarsi senza versare una goccia del proprio sangue. E gli americani, maestri di questi fattacci, hanno preferito volare anziché camminare. Hanno volato su Panama, su Tripoli, su Baghdad, su Mogadiscio. S'approntano a farlo su Sarajevo. A camminare sono costretti gli altri, tutti gli schiavi del Grande Impero, che muoiono regolarmente. «Per imporre la pace». Fra questi «marciatori» è da comprendere l'Italia. Carabinieri in Cambogia, Alpini in Mozambico, Artiglieri in Albania, Paracadutisti in Somalia, Marinai nel Mar Rosso. E poi dicono che Mussolini faceva male a spedire soldati italiani per ogni dove... Anche qui un detto dei vecchi: «Se sputi in aria, in faccia ti viene».
Si sbarca a Mogadiscio «per imporre la pace». Gli americani girano il film. Vi portano anche uno stormo di AC-130, le famigerate «cannoniere volanti». Voci false e tendenziose, diffuse dai soliti nemici della democrazia «stars and strips», vogliono che questi ordigni non siano mai stati provati in teatro d'operazioni: nulla di meglio che sperimentarli sulle povere popolazioni somale. «Per imporre la pace». Che viaggia alla velocità delle pallottole calibro 7,62 dei complessi «Vulcan» a sei canne rotanti.
C'è anche «'o mal'omme». Se mancasse, che sceneggiata sarebbe? Nasce un nuovo «mostro»: Mohamed Farah Aidid, allievo di vaglia della Scuola di Fanteria e Cavalleria di Cesano di Roma, figlio adottivo d'un generale italiano. Aidid è somalo che deve parecchio all'Italia. Forse è per questo che gli americani dell'ONU lo ricercano come facevano con i loro banditi del Far West? Non si sa. Quel che si sa è che «Dare Speranza» s'è tramutato in «Dare Disperazione».
Ma la storia a volte si vendica. Portando a Mogadiscio Bruno Loi, generale italiano, «folgorino» purosangue. Il quale prende alla lettera, da bravo soldato, gli ordini impartiti dal suo Paese. Da speranza ai somali quando gli altri distribuiscono morte. E le differenze, nella logica omologante del Nuovo Ordine Mondiale, costituiscono reato. Da punire. Sa bene, il generale paracadutista, che in Somalia gli americani dell'ONU non ci volevano. Per le «Giacche Blu» l'articolo 34 del diktat è ancora vigente: «L'Italia rinuncia ugualmente a rivendicare ogni interesse speciale ed ogni influenza particolare in Etiopia». Si rammenta che nel 1947 l'Etiopia comprendeva la Somalia. È per questo che s'è fatto bene ad andare in Somalia.
Non è poco l'aver disubbidito all'Impero. Perché un ciclo storico s'è chiuso e l'Italia deve trovare la forza di riprendere in mano le redini del proprio destino. In Somalia c'è il nostro sangue. Sangue di lavoro e di battaglia. Sangue antico. Purtroppo anche moderno, contemporaneo. Che non deve essere sciupato. Dobbiamo ritirarci dalla Cambogia e dal Mozambico. Ma in Somalia si deve restare. Lì non siamo noi gli estranei. Noi siamo «di casa». E Bruno Loi, generale italiano, lo sa. E lo attesta. E gli viene riscontro. I soldati italiani lo amano. I somali, anche. Gli americani dell'ONU lo odiano e glielo dicono per bocca d'uno sciamano del Ghana. In forza dell'articolo 34 del Trattato di Pace. Ma Bruno Loi non è Pietro Badoglio. La storia ha girato letteralmente pagina. Speriamo che ne siano convinti anche gli italiani.

 

Vito Errico

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