«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 5 - 15 Agosto 1993

 

le interviste

Fascisti (1943-1945)



Adalberto Baldoni, intellettuale di area missina, giornalista parlamentare nonché redattore capo del Secolo d'Italia, dirigente del MSI-DN varie volte da lui rappresentato nel Consiglio comunale di Roma. Saggista di successo, ha licenziato alle stampe opere quali "Noi rivoluzionari, storia della destra italiana dal 1960 al 1986"; "La notte più lunga della Repubblica (la storia della lotta armata in Italia dal 1968 al 1990)"; "Fascisti (1943 -1945)". Quest'ultima ha raggiunto le librerie solo qualche settimana fa già suscitando un notevole interesse fatto di commenti molto positivi; di reazioni dolci, agre e agrodolci; di dibattiti forse un po' disordinati ma appassionati. La stiamo leggendo con grande diletto, attirati dalla vastità di una documentazione non di rado inesplorata, inedita; e dalla serietà con la quale l'Autore si è impegnato nel compito di ravvivare la memoria storica, non soltanto del suo ambiente politico, intorno a una vicenda -quella della Repubblica Sociale Italiana- che ancora attende di essere analizzata, studiata, valutata con quel necessario distacco che solo può derivare dalla collocazione in una temperie psicologica placata dalla consapevolezza piena che da quegli eventi siamo ormai lontani da mezzo secolo e le generazioni frantumatesi ed affrontatesi in una guerra civile feroce ora in gran parte dormono in pace il sonno dei giusti. E ciò indipendentemente dalla circostanza che siano periti per mano fraterna o straniera.
Naturalmente la diversità di affiliazione culturale e politica nostra non può non generare rilievi e obiezioni al taglio conferito dall'Autore ad un testo che, complessivamente, riscuote tutto il nostro apprezzamento. Ma su ciò ci esprimeremo prossimamente, Direttore di "Tabularasa" permettendo. Per ora riferiamo su di una conversazione avuta con Baldoni mentre è in corso la lettura delle 350 densissime pagine e dopo aver preso visione di un certo numero di recensioni.


* * *


«La imbarazza questo colloquio con un commentatore di sinistra e della Sinistra?»
«Assolutamente no! Perché mai dovrebbe imbarazzarmi? Non dimentichi che "La notte della Repubblica" è un libro scritto a quattro mani. Le altre due sono di Sandro Provvisionato, un giornalista di sinistra la cui esperienza attivistico-ideologica affonda le radici nel Sessantotto».

«Perché ha pubblicato questo libro?. È stato sollecitato solo dallo scoccare del cinquantesimo della fondazione della RSI, oppure occorre scorgere altre componenti nel suo divisameno?»
«È vero. Nel prendere la decisione di trattare della RSI non ho obbedito a un unico impulso. Vede, non si possono avere cognizioni esaurienti circa le radici della destra in Italia senza esaminare attentamente ciò che è successo dalla caduta del Fascismo al giorno tragico di Dongo. Di più: per approfondire ciò che è stata l'Italia dal 1945 ai nostri giorni è d'uopo investigare il ciellenismo bellico e il ruolo in esso avuto dal PCI».

«Ma, al di là delle forme, delle liturgie e delle apparenze, che c'entra -per quanto attiene alla sostanza delle cose e della storia- la destra con la RSI? Che poteva esserci di destra in uno Stato il quale, con il suo Capo anzitutto, si era fatto un punto di onore di socializzare integralmente l'economia del Paese? Il segretario del suo partito ignora totalmente la parola socializzazione e si limita a parlare anonimamente di funzione sociale del capitalismo».
«Per carità, non mi trascini in un contenzioso filologico-storico-politico defatigante e sterile. Sia chiaro: non temo un confronto su questo terreno e, certo, non mancherà occasione per darvi luogo. Al momento, però, preferirei ci attenessimo all'...ordine del giorno concordato. Almeno così non facciamo confusione».

«D'accordo. A parte l'intrinseco valore riconosciuto già da coloro -camerati e avversari- che lo hanno chiosato, quale dato strategico è possibile riconoscere al suo libro?»
«Io mi sono messo alla macchina da scrivere con l'intenzione di mandare in tipografia pagine ispirate ai valori del dialogo, del confronto, della discussione pacata, della solidarietà fra italiani. E senza, ovviamente, dar luogo a grigi fenomeni di pentitismo o di pur sottile e graduale rinnegamento di quella remota ma vivida esperienza sociale, guerriera, culturale, rivoluzionaria, nazionale che fu la RSI».

«Lei crede che, volendo, si sarebbe potuto evitare la nascita della Repubblica Sociale Italiana?»
«Guardi, la RSI era ineludibile. E non solo per i due motivi di fondo già largamente conosciuti -il recupero dell'onore militare e diplomatico, compromesso di un regime che impegna solennemente la parola del Capo dello Stato e del Capo del Governo all'alleato mentre tratta una resa dalle forme e dai contenuti infamanti, proditori; l'utilità del ritorno alla guida del Paese di un uomo del prestigio di Mussolini, l'unico in grado di impedire la famigerata polonizzazione dell'Italia-, ma anche perché era stata variamente e in misura ampia anticipata da reparti e segmenti delle tre armi che, rifiutata la resa, avevano continuato a battersi a fianco delle truppe germaniche. Orbene, come non avvertire l'esigenza di dare sigla statuale e leadership politica a questi combattenti? Se non altro, per evitare il loro organico inquadramento nelle FF.AA. del Reich».

«Quanto tempo ha impiegato per stilare il suo terzo volume?»
«Quattro anni, fra raccolta, esame, selezione del materiale documentario e scrittura del testo».

«Baldoni, lei parla di questa ricerca come di un contributo all'avvio di una fase nuova, caratterizzata da scioltezza di rapporti fra le due culture che fra il '43 e il '45 entrarono in sanguinosa rotta di collisione da Napoli in su. Che prove porta, scusi tanto, di tale intenzione?»
«Le prove sono anzitutto nella terza pagina del libro, dove campeggiano tre dediche. La prima è per i "ragazzi repubblicani fucilati a Firenze dai partigiani sul sagrato di Santa Maria Novella nel settembre 1944". La seconda per i "giovani partigiani Giancarlo e Giovanni Osmani, caduti in combattimento sull'Appennino modenese nel giugno 1944". La terza per "tutte le vittime della guerra civile in Italia". Va da sé che se avessi voluto scrivere in termini di rottura tutto avrei fatto meno che aggregare alla prima la seconda e la terza dedica».

«Ammetto la validità, l'importanza, di questi messaggi. C'è altro?»
«Sì. L'ultimo, brevissimo capoverso di una introduzione frutto della mia penna. Testualmente recita: "La mia speranza è che questa nuova, impegnativa fatica susciti un costruttivo dibattito tra chi ha sete di verità, di giustizia, di pacificazione"».

«Dalle sue indagini storiche è emerso il dato dell'esistenza, nel Regno del Sud, di un fenomeno in qualche modo e misura assimilabile alla Resistenza?»
«Risposta affermativa. Il materiale relativo al resistenzialismo fascista l'ho utilizzato per il terzo capitolo intitolato "Il Fascismo clandestino". In esso, per esempio, mi occupo del piano per rapire Benedetto Croce».

«Esiste un collegamento fra i suoi tre libri?»
«Soltanto sotto il profilo documentativo e metodologico».

«Senta, Baldoni, secondo lei Mussolini quante guerre ha combattuto nel corso dei seicento giorni gardesani?»
«Tre: una contro gli angloamericani, un'altra contro la Resistenza, una terza contro i tedeschi. Scopo di costoro era la minimalizzazione o, addirittura, la riduzione a pura facciata, a realtà statuale di princisbecco, della RSI. Ciò, ovviamente, al fine di concentrare nei comandi militari, economici, diplomatici, la totalità di un potere oppressivo, funzionale ai soli interessi della Germania nazista».

«Ci pensi bene. A me pare ne abbia combattuto quattro».
«E quale sarebbe la quarta, scusi?»

«Quella contro l'ala del partito contraria alla socializzazione e diffidente verso quella che riteneva eccessiva, radicale, perfino classista, dei princìpi socializzatori. Un uomo come Francesco Grossi, sindacalista e da sempre membro della sinistra del Regime, in una raccolta di ricordi si diffonde sulla sua opposizione -manifestata in seno ad un organismo ad hoc di cui faceva parte- alla prevalente concezione estensiva della socializzazione. E dire che detta "estensività" era patrocinata dallo stesso Mussolini, ormai definitivamente contrario a pratiche riformiste. Personalmente, sono anche persuaso che sulla sproporzionatissima condanna a trent'anni di reclusione inflitta a Tullio Cianetti dal tribunale di Verona -per un voto al Gran Consiglio del 25 luglio ritrattato poche ore dopo- abbiano influito le pressioni di coloro che temevano il ritorno nel PFR di colui che era stato nel Ventennio il leader del rivoluzionarismo sindacalista più coerente e da sempre vi aveva incarnato l'idea stessa della socializzazione».
«Non parlerei di un quarto fronte. Gira e rigira -e pur con l'avvio-concreto di un ampio processo di democratizzazione- anche a Salò l'ultima parola era appannaggio di Benito Mussolini. Diciamo, allora, che quella di Grossi e altri era una posizione manifestata all'interno di una dialettica di partito e di regime. Nessuna guerra, dunque. Costoro neppure si sognavano di contrapporsi frontalmente al Duce».

«Lei si interessa anche della Resistenza. Ancora non sono giunto a questo capitolo e darò un giudizio di merito solo ad esaurimento dell'intero testo. Mi anticipa la sua interpretazione?»
«Mi limito a farle presente che nella Resistenza ampia e forte era la egemonia che vi esercitava il PCI. Né poteva essere diversamente, essendo quello comunista il partito già dotato di una strategia a lungo termine. Cosa di cui era sprovvisto, per esempio, il Partito d'Azione, per di più molto confuso ideologicamente. Tuttavia gli azionisti potevano vantare una presenza partigiana niente affatto irrilevante».

«Senta, Baldoni, adesso le parlo da ricercatore relativamente ai temi di cui veniamo discorrendo. È mia sensazione che nella RSI siano esistiti tre filoni. Il primo: rivoluzionario-socializzatore e nazionale-popolare; nonché pacificatore e movimentista. Il secondo: militare-patriottico. Il terzo: filonazista e collaborazionista. Lei concorda?»
«In linea di massima sì».

«Quale l'orrore più grande commesso dal governo salodino?»
«La leva obbligatoria, voluta anzitutto da Graziani in contraddittorio soprattutto con Pavolini. Il Maresciallo muoveva da una idea in sé giusta: l'esercito non doveva assolutamente essere coinvolto in logiche di partito, ma venire in evidenza come prodotto ed espressione della intera Nazione. Ebbe tuttavia il torto di esasperare talmente questa intuizione da renderla controproducente. E ciò proprio nel momento in cui, soprattutto per iniziativa del blocco nemico, il carattere ideologico del conflitto veniva rimarcato con grande intensità».

«Risultato del prevalere del punto di vista di Graziani?»
«II carattere di massa del movimento partigiano. Col saggio "Il mito della Resistenza", Romolo Gobbi, uomo di sinistra, si attesta su questa tesi. E così, prima di lui, Giorgio Bocca, con la "Storia della Resistenza". Adesso le dico di una mia persuasione. La renitenza diffusa alla leva non fu generata tanto dalla volontà di non combattere, come diceva la propaganda angloamericana e resistenziale, "la guerra criminale di Hitler e di Mussolini", quanto dal timore dei giovani, condiviso dalle famiglie, di finire in Germania, mediante, magari, il lavoro obbligatorio organizzato dalla Todt».

 

Enrico Landolfi

Indice