«Amano Dio, fottono il
prossimo»
La linguacciuta avversione
popolare svela il rancore anticlericale con un proverbio: «amano Dio, fottono il
prossimo».
Un altro proverbio tradisce la speranza delle sostanze: «la vera fortuna è di
avere un figlio prete». Che significa mantenere una garanzia per il benessere:
potere e ricchezza.
Qualcuno azzarda la massima folgorazione mafìosa: comandare carne battezzata.
L'immagine infatti salta negli occhi della memoria: il cardinale Ruffini.
Qualcun altro vorrebbe smozzicare verità su verità e intanto sospira: «altro che
mani pulite, le tonache sporche ci sono». C'è un ultimo proverbio: «cu futti,
futti, Dio perdona tutti». Si ruba per il ventre, non per il Cielo.
Così nell'immaginario popolare per esorcizzare una secolare prudenza, così
soprattutto in Sicilia. Forse per un antico privilegio concesso da Urbano II nel
1098 all'autorità ecclesiale dell'Isola: l'Apostolica Legazia. Una forma di
autonomia con particolari attribuzioni giurisdizionali. L'amministrazione delle
anime e dei beni. Comunque la storia si diverte, nella Bolla pontificia si
legge: «moralmente lecita la corruzione del funzionario» purché versi alla
Chiesa «tari due, grana dodici e piccioli cinque per ogni tari settantasette e
grana sette del valore del corpo di reato».
E comunque la storia si incunea nella memoria culturale dei giorni nostri. Si
incunea pericolosamente. Potere più ricchezza, per coniugare, nella
manipolazione del consenso, l'abuso politico. Non c'era solo il parroco del
vecchio film di Pietro Germi, quello della predica pre-elettorale: «ricordatevi
di votare per un partito che sia democratico e cristiano». L'altro ieri come
ieri, ieri come oggi.
C'è il Padre Barbarino de "L'onorevole" di Leonardo Sciascia: «Noi stessi
(battendosi ipocritamente il petto) costretti a scendere sul terreno precario e
infido della politica sosteniamo persone che non assolveremmo mai in
confessione».
Sciascia fondò proprio su questo capitolo l'archetipo Chiesa-Clero come metafora
dell'arretramento civile.
Gaetano Rizzo Nervo, autore de "II fascino della Medusa", un trattato di
«mafioneria» elaborato nel Centro studi e documentazione sulla criminalità
mafiosa dell'Università di Messina, spiega con sufficiente disincanto un fatto:
«il clero siciliano ha condiviso nel tempo, con l'uomo di rispetto, la
distribuzione dei torti e delle ragioni, mentre dagli anni '60 in poi,
concentrandosi quindi nella costruzione del consenso elettorale, ha preferito
porsi in vendita al miglior offerente».
Ieri come ieri. Infatti il punto è questo. E c'è da porre una domanda: quanti
altri padre Barbarino ci sono ancora in Sicilia? Un calcolo di pudore può far
dire uno, almeno due, in ogni paese. E, un peccatuccio temporale, almeno due,
consumato fino a un anno fa, devono pur metterlo all'incasso: il voto di
scambio. Ovvero, in fior di metafora, amministrazione dei beni e delle anime.
Ovvero, in fior di concretezza, l'aver veicolato e vincolato il consenso. In
attivo supporto alla Democrazia Cristiana. Preferenze, contributi,
raccomandazioni, e naturalmente un'alta percentuale sulla destinazione dei posti
di lavoro: dall'amministrazione delle Poste, ai turni delle Guardie Forestali,
ai concorsi pubblici. Dietro le fortune di un ingegnere, ed è un modo di dire,
c'è sempre uno «zio parrino». Spesso, questo, è stato verità.
Ieri come oggi. All'indomani dell'elezioni, all'indomani di un improbabile
trasformazione delle rappresentanze politiche sembra che la lunga mano del
potere abbia ancora il candore della sagrestia. «Il cattolico deve ubbidire»
-continua Rizzo Nervo- «anche la stessa rottura di Padre Pintacuda, il padre
spirituale di Leoluca Orlando, è in realtà una manovra teleguidata». Lo schema è
questo: la DC è in crisi, qualcosa si squaglia fra gli ingranaggi e gli
equilibri, niente di meglio allora che incoraggiare altri schieramenti come la
Rete -«testimoni di Geova della politica»-, vagamente intransigenti, vagamente
leninisti, dove si possa continuare in felice «disubbidienza» rispetto alla casa
madre. «Nessuno infatti ha sospeso a divinis il gesuita. Non c'è qualcuno che se
lo sogna». Oggi come domani. Un rinnovamento che passa attraverso gli
esperimenti. Per esempio il «mito» della società civile sull'onda di «un calo di
idealità. Un modo come un altro per sostituire il vestito all'egemonia sul
territorio. La mobilitazione della società civile sui temi della legalità e
della trasparenza oggi traduce le esercitazioni elettorali di ieri». Come dire
che la predica sbaglia volutamente il pulpito.
Intanto, un ultimo proverbio cattivo (è di Savonarola) aspetta di essere
smentito. Quando c'erano i calici di legno, c'erano i sacerdoti d'oro, adesso
che i calici sono d'oro, i sacerdoti sono di legno. Ma è una piccola malvagità
nichilista. La processione si alza sullo sguardo della Madonna del Carmelo, ma
pochissimi, proprio pochissimi, guardano l'officiante. Evidentemente la pietà
non basta, il sangue dei disperati invoca la Misericordia.
Pietrangelo Buttafuoco
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