«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 6 - 30 Settembre 1993

 

«Valori» e inettitudine


 

«Occorre, perciò, ridare spazio all'emozione, all'amore, all'entusiasmo, alla pietà, alla benevolenza, al rispetto, alla cura. E occorre una persona con una biografia e una storia, occorre una persona che sa di esistere al di là di ogni sua manifestazione, e che si considera responsabile di ciò che ha fatto, che si impegna per il futuro e che si riconosce negli altri la sua stessa natura». Così Francesco Alberoni, in "Valori", ed. Rizzoli, 1993.
Chissà se Alberoni ha conosciuto uomini di tal fatta. Nella facoltà di sociologia dell'Università di Trento dove egli insegnava, ben altri individui sono stati forgiati. "Valori", questa raccolta di riflessioni, se altri fosse stato l'estensore, avrebbe convinto anche noi (disperatamente scettici, restii a credere nella onestà intellettuale degli uomini) che, tale «fatica», dovesse meritare grande attenzione. Una fonte a cui dissetarci, per approfondire il nostro pensiero, per annullare molti dei nostri dubbi, per essere più tolleranti di fronte alle bassezze umane. Ma il pulpito da cui viene la predica ci costringe ad arguire che il professore scrive ed esprime concetti in cui non confida e non vi aderisce. Che, poi, in definitiva, sono la summa di ciò che i Grandi Educatori del passato hanno trasmesso all'umanità con l'esempio ed il quotidiano operare in mezzo ad essa. Un comportamento ben diverso da quello di chi, per motivi di cassetta, ne plagia il pensiero vendendolo come frutto della propria esperienza personale e sofferta intima macerazione. Per fortuna è finito il tempo dei salotti radical-chic, laddove vi era chi si infervorava nella elaborazione di pseudo-valori intonati al raggiungimento di una esistenza egoistica ed artificiosa, propalata, dai media, come condizione essenziale per poter partecipare, in veste di protagonisti, alla costruzione del futuro. La società, invece, ha ritrovato il sentimento della ripulsa (anche questo è un valore, perché no?) ed è divenuta un laboratorio dove tutto è dedicato alla appassionata rivalutazione degli antichi valori, quelli eterni, nati con l'uomo; che fin dal primo momento della sua apparizione ha compreso quali fossero i confini tra il bene e il male.
A nulla vale che il professore dichiari, in una intervista, avere egli amarezza e senso di colpa, di provare «vergogna per non essere stati capaci, noi tutti, di indignarci prima». Egli ha contribuito, e con maggiori responsabilità di altri essendo educatore, a dare impulso a questa società che oggi, a parole, vorrebbe rigettare. Infatti, per provare vergogna, è necessario, innanzi tutto, soffrire. Farsi male. Per comprendere quali e quante siano le sofferenze altrui. Il mea culpa non va recitato come semplice autoassoluzione, ma con i fatti. Andando tra la gente. Non bastano i corsivi del lunedì su "Il Corriere della Sera" e neppure libri come "Valori". Sono una ulteriore presa a giro per i gonzi.
E ritornando alla frase di Alberoni da noi riportata all'inizio di questo «pezzo», ricorre la domanda: esistono uomini di tal fatta? Sì, certo, ma quando essi appaiono sulla terra, durano lo spazio di un mattino. Non tramandano opere letterarie, ma esempi. Non sono docenti e neppure vi si atteggiano. Vivono nella spasmodica ricerca della verità.
Ne abbiamo conosciuto uno: Beppe Niccolai. In vita, era attorniato da ciurme di accoliti che gli si stringevano attorno e, nella luce riflessa, incantavano i semplici attingendo al pozzo dei privilegi. Poi, trascorso il mattino, l'oblio si è diffuso greve e se un raggio ogni tanto lo penetra, può produrre soltanto queste poche righe. Inadatti noi pure, che tanto lo abbiamo ammirato ed amato e presuntuosi fino al punto di sognare poter avere la volontà di seguirne le orme, ma incapaci di muovere anche i primi passi.
Perché, egregio professore, uomini siffatti non lasciano eredi e neppure allievi. I loro insegnamenti sono troppo difficili da seguire e richiedono dedizione assoluta e sacrifici immani. Si dirà: ma che c'entra Beppe Niccolai con il libro di Alberoni? C'entra, c'entra. C'entra perché irrita il confronto cui siamo stati obbligati dopo aver letto «quella» frase. Tra chi predica bene e razzola male e chi ha seminato senza aver avuto la possibilità di raccoglierne i frutti. Anche a causa di coloro che, nei solchi della buona seminagione, vi hanno sparso il sale.

 

a. c.

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