Voglio una vita
Ho letto tempo fa la recensione
del saggio di non so quale psicologo, il quale sostiene che la spinta
all'impegno sociale-politico e la voglia di andarsene, di viaggiare, di scoprire
sono due facce della stessa medaglia, convivono spesso negli atteggiamenti della
stessa persona. È stata per me una lettura illuminante, mi ha fornito la chiave
di lettura della mia vita, per le mie tentazioni, per le mie contraddizioni. E
mi ha fatto tornare alla mente una cosa che mi disse, una decina d'anni fa,
Gianni Alemanno nel corso di una discussione sulle nostre scelte all'interno
dell'allora comune partito. «Per te è facile» mi diceva Gianni «comportarti in
questo modo, perché ti senti già con le valigie fuori dalla porta». Gli risposi
quel che pensavo e penso, e cioè che l'avere le valigie fuori della porta non
era uno stato d'animo relativo a quella situazione ed a quel tempo, ma è un modo
di vivere. L'unico modo di vivere e di rapportarsi con le cose che io
concepisca. È una condizione essenziale che consente di vivere ogni esperienza
con incantato distacco (o con disincantata passione?). Saper cioè agire con
passione ma sempre coscienti che l'azione svolta è comunque una metafora,
risponde ad un bisogno più profondo, un richiamo più lontano rispetto
all'attualità. Con la necessaria salvaguardia del senso critico, della
curiosità.
Questa piccola riflessione mi rimanda ad una questione ulteriore. Mi accorgo che
noi tutti siamo poco portati ad interrogarci sul senso delle cose che facciamo.
Per facilità, per pigrizia, ci fermiamo al senso apparente, formale, immediato,
senza saper dare poi un nome alle insofferenze, sbattendo la testa contro le
inevitabili contraddizioni. Credo che ogni scelta, ogni impegno, ogni entusiasmo
e sacrificio, rimandi, al fondo, ad un modo di vivere. O meglio, al bisogno di
vivere in un certo modo. Coniugato nelle forme che le circostanze ci offrono.
Capire questo forse non risolve ma, come nella pubblicità di certe caramelle,
sicuramente aiuta. Ciò non significa che non si possano avere princìpi, anche
sacri princìpi, ma che tali princìpi non debbano essere legati ad una sola forma
espressiva. Non solo si può rimanere sé stessi, ma si possono produrre gli
stessi effetti, facendo cose diverse, stando in posti diversi.
Ma questo che c'entra? C'entra. Perché ha a che vedere con il senso delle cose
che facciamo, serve a spiegare (non «a giustificare») anche il nostro percorso,
che potrebbe sembrare contorto, secondo certa retorica «senza approdi». Navigare
necesse, e, intanto navighiamo e nel navigare troviamo il senso del
nostro fare. La nostra rotta è nella vita che ci siamo dati e ce la siamo scelta
(vero Carli?) «piena di guai».
È questa una lettura riduttiva, che ci sposta sul piano esistenziale, ci porta
lontani dalla politica? Ancora un esempio letterario mi fornisce una risposta. È
quello, noto, del «marinaio del Mahelstrom» di Lovecraft. Preso nelle acque di
un gorgo e trascinato verso il fondo insieme ai suoi compagni, il nostro
personaggio, si sottrae al panico che attanaglia l'intero equipaggio. Lo
spettacolo dei colori del gorgo attira la sua attenzione, distraendolo,
rilassandolo: questo disincanto gli consente di individuare una via d'uscita e
salvarsi. Il nostro stare in politica, il saperla metafora, il godere del suo
spettacolo, ci carica di una capacità diversa nel capire il suo svolgersi, di
nuotare nel suo mare anche quando, a chi in esso galleggia, il nostro sembra un
inutile agitarsi. E lo spettacolo che la politica oggi ci offre è grande,
meschino a volte, ma spesso affascinante.
Mi è già capitato di sottolinearlo, se andiamo a rileggere anche le piccole cose
che abbiamo scritto su questo foglio, troveremo una grande messe di
anticipazioni, di intuizioni, spesso solitarie, tante conferme. Solo un mese e
mezzo fa, partendo, scrivevo che nella condizione di Gabriele Cagliari,
Ferruzzi, di molti politici, avremmo presto visto qualche giudice. Al mio
rientro ho trovato Curtò in quelle condizioni.
Più volte ci siamo soffermati sul significato e le modalità di svolgimento della
rivoluzione, della transizione che sta investendo l'Italia e l'Europa. Così i
fatti di Mosca in questi giorni ed i risultati delle elezioni polacche che
relegano Solidarnosc all'opposizione ci offrono conferme ed ulteriori strumenti
di interpretazione di quanto sta succedendo e succederà nel nostro Paese. I
nuovi, gli innovatori, più o meno reali, più o meno compromessi con il vecchio,
sono comunque quelli che offrono una via possibile di cambiamento. Ma saranno i
primi ad esserne travolti. Noi lo abbiamo saputo e detto fin dall'inizio.
Profeti? No: navigatori. Benedetta allora la nostra vita da marinai, che ci ha
fatto incontrare, che ci ha fatto stare insieme, che ci ha fato qualche volta
separare. Che ci porta ora a fare scelte individuali diverse, ma che ci fa
sentire simili e forse utili anche se «ognuno infondo perso dietro ai sogni
suoi».
Così ci conforta il constatare che rompemmo con una comune appartenenza quando
capimmo che quella appartenenza (e, per un po', ogni appartenenza) aveva
concluso il suo corso, il suo senso. E chi l'ha ereditata, nel tentativo di
farla sopravvivere a sé stessa, l'ha portata a collocarsi in una posizione
nuova, sempre più chiara, sempre più lontana da quella in cui noi l'avremmo
voluta.
E siamo ancora qua, a roderci il fegato, a dividerci tra la voglia di fare e
quella di fuggire e poi, alla fine, tutti immersi in qualche serio impegno,
legato alla vita della nostra città, del nostro Paese. Con scelte individuali
diverse, a volte lontane, a volte contigue. Con molti senza sentirci per lungo
tempo, ma sapendo di esserci. Con alcuni ci troviamo «come la star a bere del
whisky al Roxy bar, con altri non ci incontreremo mai, ognuno a rincorrere i
suoi guai».
Umberto
Croppi
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