«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 6 - 30 Settembre 1993

 

Ha paura, signor Rossi?


 

È bastato che il "Movimento Federalista Calabria Lìbera" annunciasse l'Assemblea costituente di una grande «Lega dei Meridionali» e che la stampa nazionale ("il Giornale", 6.9.1993) s'interessasse dell'avvenimento per mandare in crisi il Signor Rossi. Per chi non lo sapesse il Signor Rossi, all'anagrafe Oreste, è un deputato della Lega Nord e, per come riferiscono le agenzie, sarebbe stato incaricato dal senatur di coordinare la "Lega Italia Federale" «struttura impegnata nelle regioni centrali e meridionali».
«La vera ed unica Lega, l'unico movimento di popolo impegnato dalle Alpi a Pantelleria -s'è affrettato a puntualizzare- è la Lega guidata da Umberto Bossi». Boom!
Ora, che il Signor Rossi sia giustamente preoccupato è un conto, ch'egli pretenda di dirci cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo fare è tutt'altra cosa. D'altra parte, bastava che domandasse al suo capo per quali motivi ha ritenuto di chiedere un incontro col nostro Movimento, alle idi di marzo, e quali ponti d'oro ci avrebbe fatto se avessimo accettato di trasformarci in ascari della Lega, per risparmiarsi una brutta figura. Ma non è questo il punto. A volte, infatti, sono proprio le banalità del Signor Rossi di turno a testimoniare sconosciute verità. Non è forse sospetto, per chi sostiene di battersi contro l'assistenzialismo e lo Stato centralista, per la realizzazione di una Repubblica federale, aggredire con particolare virulenza un Movimento che al Sud persegue, da oltre due anni e con crescente consenso, i medesimi obiettivi? A meno che non si pensi, magari utilizzando il federalismo come alibi, non solo alla Repubblica del Nord, quanto a disegnare un'italietta federal-coloniale a sud di Roma dimostrando una sconcertante sottovalutazione dell'attuale stato d'animo del popolo meridionale.
Attenti, ragazzi. La corda è tesa. Dopo quella piemontese, nessuno da queste parti -eccezion fatta per qualche leccaculo di paese- accetterebbe un'altra colonizzazione. Ed a tal proposito, è giunto ormai il momento di risalire il fiume di retorica pre e post-risorgimentale -al quale non poca acqua è stata portata da certa cultura meridionalistica- per capire le ragioni autentiche del fallimento del processo unitario. Tuttavia, non è questa la sede. In questo momento ci preme puntualizzare che il nemico contro il quale ci stiamo battendo è un sistema di potere e di alleanze, palesi ed occulte, legali ed illegali, ancora assai presente al Sud. Sono i feudatari della politica il nemico principale; sono i resti del consociativismo partitocratico l'obiettivo della nostra lotta di «liberazione».
Epperò, se altri vorranno lo scontro non ci tireremo indietro. Non siamo abituati a disertare il combattimento. D'altra parte un concetto dev'esser chiaro: mentre Bossi ed i suoi non hanno alcuna legittimità al Sud, un Movimento che si batte per la liberazione -vorrei dire per la resurrezione- del Meridione ha il diritto-dovere di portare il suo messaggio ai meridionali di Milano e Torino, a quelli di Francoforte o di Toronto, di Buenos Aires o di New York: così come ci è stato chiesto di fare.
D'altra parte -lo ripetiamo- non ci muove soltanto il pur legittimo desiderio di contribuire a ripulire le strade ed i villaggi dalle macerie e dai cocci del vecchio impero partitocratico per avviare la ricostruzione di regioni troppo a lungo mortificate, quanto la lucida percezione di un mondo in cui sta drammaticamente avvicinandosi il momento dello scontro tra Nord e Sud. E poiché quello scontro vorremmo fosse evitato, abbiamo iniziato a ragionare su come possano coniugarsi le esigenze del libero mercato con quelle della solidarietà e della giustizia sociale: senza che le prime diventino terreno di coltura di una società sempre più cinica ed egoista, quanto disancorata da ogni valore; e le seconde sfocino nell'assistenzialismo, antico cavallo di battaglia del ceto politico dominante, quanto delle finte opposizioni populistico-demagogiche responsabili in solido del mancato sviluppo del Meridione, della sua attuale, devastante, emarginazione.
Questa è stata, fin dall'inizio, "Calabria Libera": uno stato d'animo, una mentalità, prima ancora che un progetto politico. E l'appuntamento costituente del 26 settembre non vuole essere nient'altro che una provocazione ed una sfida lanciata al resto dei popoli meridionali perché si uniscano a noi -o noi a loro- per una grande battaglia di riscatto e di civiltà. Sono già arrivate adesioni e disponibilità, idee e proposte.
Suona la sveglia, direttore. Questa non è solo una battaglia di calabresi e lucani, campani e sardi, siciliani e pugliesi. Dentro questa sfida ci sono gran parte delle ragioni che ci hanno spinto a dar vita a "Tabularasa". Suona la sveglia! Non è possibile che ci si sia improvvisamente rammolliti. Che tanti amici che conosciamo ed apprezziamo per le indubbie capacità abbiano deciso di votarsi ad una sterile testimonianza, in un'epoca di grandi trasformazioni e di sconvolgimenti rivoluzionarii.
Se il fenomeno "Calabria Libera" -che fino a ieri sembrava velleitario- ci sta esplodendo tra le mani una ragione deve pur esserci. E perché non ipotizzare una Toscana libera? Una Romagna libera? L'Abruzzo, come le Marche e così via. Senza con ciò pretendere di costruire partiti o chiese, ideologie o dottrine, identità od appartenenze totalizzanti. Ma con la volontà -quella sì, perdio!- di dare un contributo al nuovo che ci viene addosso. Avanti, strapazza alla tua maniera i pigri. Tirali giù dal letto. Invitali a rivisitare, con spirito autocritico ed anche con un pizzico di umiltà, antiche e dogmatiche certezze. Che parlino alla gente il linguaggio della gente, avendo consapevolezza che un'epoca si è chiusa. Che passino all'azione. Che tirino fuori le palle, se davvero non vorranno mangiarsi le mani per aver inseguito utopie e miti e sogni... salvo poi defilarsi nel momento decisivo.
Noi la faremo questa grande Lega od Alleanza -non è il nome che conta!- e ci andremo davvero a Milano ed a Torino ed anche all'estero, per parlare al popolo del Sud. Gli scettici vengano in Calabria il 26 settembre prossimo e verifichino di persona cosa sta succedendo.
Concludo con alcune notazioni di cronaca che converrà tenere bene a mente.
6 settembre 1993, ore 20,45: Crotone: l'Enichem brucia. Lunghe lingue di fuoco al fosforo illuminano per tutta la notte la città di Pitagora, il mare manda sinistri bagliori metallici, centinaia di operai distruggono tutto ciò che gli capita a portata di mano e, finalmente, conquistano un titolo sulle prime pagine di tutti i giornali.
7 settembre, Crotone. le mogli degli operai bloccano la linea ferroviaria, quell'unico, patetico ed umiliante binario dove, nell'epoca dell'alta velocità, corrono e sbuffano trenini che ricordano il Far West. È stanco il Sud. Terribilmente stanco. E comincia a far valere le sue ragioni ed a rivendicare i propri sacrosanti diritti.

Che fa? Ha paura, Signor Rossi?

 

Beniamino Donnici

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