«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 6 - 30 Settembre 1993

 

l'ultima

Paganti? Due citrulli...!


 

Sì, come nel film "Le vacanze intelligenti". Come Alberto Sordi. Quindi, come in quella scena di spaventosa incomprensione. Seduti a teatro, senza capire che il silenzio appartiene alla sinfonia, e che quando gli strumenti vengono accordati, dai professori chiusi nel loro golfo mistico, non è prova, ma sublime melodia. Vacanze intelligenti. In Versilia, alla «Versiliana». Ad uno spettacolo troppo intelligente: «Mr. Galilei», una specie di marmellata post-brechtiana sull'eroe pisano. L'eroe di tutti i mondi e di tutte le stelle. Uno spettacolo indecifrabile, supponente, razionalista, democratico, progressista. In una sola parola una cazzata. Ohe, un balletto commentato di quasi due ore. Una pena, una di quelle pene che vi fanno pensare quanto giusta e perfetta sia stata la condanna della Santa Chiesa contro Galileo se tanta retorica in onor suo si deve subire.
Ma tant'è che si andò a vedere lo spettacolo. Al Palazzo Mediceo, in quel di Seravezza. E la storia cominciò così. Alle nove, che poi non furono le nove, bensì le dieci. Ma meglio. Al palazzo c'era la mostra di Guareschi. Vecchio geniaccio reazionario. Fu opportuno rendere omaggio al mangiacomunisti. Opportuno e bello. Anche se lo spettacolo sembrava iniziato. Iniziato? Un cane non c'era. Oppure, qualcuno c'era (non certamente cani), un qualcuno distratto, un qualcuno perplesso. C'era pure la «musica in palco». Non c'era alcuna ipotesi di ingresso. Ovvero: si entra o non si entra nel recinto se di là non c'è nessuno? Ma questo non era un problema, il vero problema era che una parvenza di toilette non c'era. Ed io avvertiva l'umidore della sera intra le reni. Di qua, di là. Ove? «Di là del fiume, tra gli alberi». Sì, tra gli alberi, al buio, che al buio è facile librarsi. Eccetto che per richiudere. Sono problemi, furono problemi, ma la luce galeotta di un botteghino fu necessaria. Zip e via. Scusate signore. Ma finalmente dentro. Ancora nessuno, comunque dentro. Dentro il recinto. Fila tre, numeri 18, 19. Pochissima gente. Arriveranno? Non arrivò nessuno. Qualche parente. Qualche amico. Un professorone con due suoi assistenti, cioè tre comunisti in trasferta, con tanto di borsa, kway e occhiali regolamentari.
Ditemi se non è un coglione uno che va ad uno spettacolo con la borsa piena di sudati appunti. Ohibò, è la vecchia mania dei professori. E comunque lo spettacolo comincia. Comincia in famiglia: amici, parenti, più due biglietti paganti. «Mr. Galilei, mr. Galilei». Tutto un elogio della bontà. Un gruppetto di femmine si trastullano in scena con le indicazioni temporal-semantic-filosofiche di un perfetto citrullo donato su Mr. Galbusera. Infatti intona le odi al genio, ai perfetti stilemi della scienza, ma finge subito un ruolo di invincibile ferocia reazionaria: chiude in gabbia quizzarola un attor quieto da sembianze galileiane. Ma le fanciulle mostravano buon culo. Ma nonostante loro. Nonostante la buona volontà di capire, la nota calò come coltre di lana rugosa. Insopportabile noia. Perché fu insopportabile pensare il prima, il dopo, tutto ciò che era intorno. I lor libri Einaudi, i circoli dell'Arci, le feste dell'Unità, le vecchie troie stile «corsera». Con tutte quelle facce brechtiane, i passi di danza, le urla. Nonostante un robottino. Tal quale il robottino pornomane di "lezioni d'amore" della Deborah Caprioglio. Finì però. Con applausi di entusiastica supponenza e sinceri sghignazzi.
Pochissima gente, pochissimo rumore. Il critico in poltrona decretò: fucilazione. In nome e per conto di Alberto Sordi, in nome e per conto delle «vacanze intelligenti».
 

Dragonera

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