«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 6 - 30 Settembre 1993

 

La voce della mummia


 

Apro uno dei cinque quotidiani del mattino, 6 settembre di questo Cinquantesimo Anniversario della Vergogna e vi trovo un articolo di Alessandro Galante Garrone, sorta di individuo mummificato, il quale non s'è accorto che i foglietti del calendario son caduti in magna copia. Perché? Perché scrive un articolo che potrebbe ben figurare nella mia emeroteca, fra gli scaffali di «Giornali di guerra». Vediamo. Cesco Giulio Baghino, presidente dell'UNCRSI, e Luigi Poli, presidente dell'ANCdL, un «repubblichino» e un «badogliano», scrivono a Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, chiedendogli di assistere alla loro storica stretta di mano». Vogliono la pacificazione alla presenza della massima autorità della repubblica. E qui scoppia l'ammuìne, che non so dove porterà. Probabilmente al nulla.
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Facciamo un inciso e qualche premessa. Mario Bernardi Guardi mi ha annoverato ("L'Italia settimanale", 10.2.1993) fra i «nipotini di Beppe Niccolai». Un titolo onorifico per me. Da Beppe ho imparato a ragionare col cervello piuttosto che con le viscere. Imparai da Lui cos'è «riconciliazione». Non una semplice stretta di mano, «scuordammoce 'o passato»... Nossignori! «Politicamente è il rientro di milioni di Italiani, fino ad oggi discriminati (40%, le due estreme); per essere utili al proprio Paese, a costruire, giorno per giorno, l'Italia. Contro coloro, i moderati, i tiepidi, i pigri, i prudenti che, facendosi forza, in modo innaturale e per volere dello straniero, dei temi della democrazia e della tolleranza, hanno tenuto in piedi gli steccati, impoverendo l'Italia, facendo della libertà limitata un punto di debolezza e non di forza e di vitalità della Patria».
Ecco perché è necessario «pacificarsi»: per la forza e la vitalità della Patria. A me ciò preme. E gli imbecilli mummificati della sponda opposta a Galante Garrone, che si divertono a darmi del «giacobino di destra», tacciano e leggano. Stanis Ruinas chiude il suo bellissimo "Pioggia sulla Repubblica" così: «Se c'è qualcuno cui la parola Patria non piace, s'impicchi. Patria vuoi dire unità e indipendenza nazionale, le cose a noi più care». Sia chiaro, non ce l'ho con Bossi, tanto più che ormai il sénatur ha confessato che la secessione del Nord era una «bufala» per bucare la coltre di silenzio dei mass-media, né credo si voglia stupidamente sostenere che anche Ruinas era «di destra».
Piuttosto, sulla questione «pacificazione» c'è da effettuare qualche chiosa. Cesco Giulio Baghino e Luigi Poli combatterono l'uno contro l'altro ma in divisa. Furono soldati ed è logico che, anche a distanza di anni, parlino il linguaggio che si fa forte dell'onore dei soldati. La loro iniziativa, peraltro da ritenersi sincera (Luigi Poli aveva già scritto su "Rivista Militare", n° 4/1993: «Inchiniamoci devoti e reverenti ai Caduti di Cefalonia, inchiniamoci ai Caduti di Monte Lungo, ma individuiamo, nell'eroismo che li accomuna, la differenza delle motivazioni. La stessa riflessione la possiamo fare per i Caduti della RSI») è comprensibile: prima di chiudere la parentesi della carne, vorrebbero risolvere il più assillante problema di coscienza. Ma il momento scelto non è quello opportuno. La massima autorità repubblicana è un uomo scelto da un parlamento delegittimato, inzeppato di manigoldi della peggior risma, che non conferisce a lui quell'autorevolezza a compiere un gesto d'alto lignaggio. Inoltre quest'uomo è compromesso con la storia: ha imperversato per le Corti d'Assise Speciali, che rappresentarono l'aberrazione della giustizia nel peggior dei modi. Chissà se Scalfaro sogna mai Enrico Vezzalini. In aggiunta non va dimenticato che l'Uomo del Colle sta dando il via a un decreto con il quale si stanziano venti miliardi per il cinquantenario della resistenza.
Però, si dirà... A Bari, al Raduno degli Alpini, l'Uomo del Colle ha posto idealmente un fiore sulle tombe della «MonteRosa». Così ha detto. In occasione del cinquantenario dell'8 settembre auspica la stretta di mano storica. È sincero? Che porti il discorso, va bene. Ma non più di tanto. Scalfaro deve andarsene. Non ha l'autorevolezza storica per far da paciere. È stato di parte e tale resta. Queste sono operazioni troppo serie e il boia non può stringere la mano della vittima. C'è da aggiungere inoltre che la «pacificazione» va effettuata anche in termini pratici. Sui fogli-matricola dei soldati della RSI vi sono ancora annotazioni infamanti. Le decorazioni non sono state riconosciute e quelle precedentemente concesse sono state annullate. Il Comandante Enzo Grossi, sepolto nella mia terra, è l'esempio classico. Si faccia questo «da farsi» e poi si vedrà.
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Ma con le mummie che pontificano ancora, ciò è realizzabile? Luciano Lama, che durante la guerra civile combatteva per la Russia, come tutti i comunisti, e non per l'Italia, dice ("La Stampa", 7.9.1993): «... francamente non vedo cosa ci sia da riconciliare». Ugo Pecchioli, un altro che sognava l'Armata Rossa al Colosseo, ritiene: «È un maldestro tentativo di revisionismo alla De Felice». Sullo stesso tenore Arrigo Boldrini, Paolo Emilio Taviani, Gerardo Agostini. Non potevano mancare Norberto Bobbio e Leo Valiani. Il Museo Egizio.
Di essi Beppe Niccolai ebbe a dire (Sorrento, 11.12.1987): «"Impotenti" a creare l'evento creativo si vendicano, falsando la storia».
E continuano. Leggiamo il Galante Garrone: «E giusto dire che è stata una guerra civile. [...] Ma questo termine va inteso nel senso di una guerra di civiltà. In questo preciso significato, anche le guerre del nostro Risorgimento sono state guerre civili: da un lato borbonici, aristocratici, plebi aizzate da preti reazionari, e dall'altro liberali, repubblicani, mazziniani, garibaldini, Carlo Pisacane». Soffermiamoci un attimo di fronte a questo falso storico. La confusione di costui, il tentativo di piazzare patacche è sommo. Sua «figlia» non poteva essere che quest'Italia puttana, copulata da tutti e pagata nei postriboli di Tangentopoli in marchette acquistate con soldi rubati. Dov'era la «civiltà»? Qui le truppe dell'allora tenente Poli non c'entrano: esse morivano a Monte Lungo e a Cassino. Gli americani si risparmiavano e gli Italiani morivano. Il discorso è politico, ora. E storico. Perché il Galante Garrone è rimasto chiuso nella sua turris eburnea e non ragiona più, posto che l'abbia mai fatto. Quanto serve dirgli che l'affare di via Rasella fu una sporca storia, perpetrata da una ciurma di manigoldi infingardi che lasciarono fucilare quelli che caddero alle Fosse Ardeatine? Quanto serve rammentargli la ferocia dell'assassinio di Giovanni Gentile? Quanto serve fargli capire che la strage di Marzabotto poteva essere evitata? Quanto serve ricordargli l'Otello Montanari del «Chi sa, parli» del Triangolo della Morte? Quanto serve richiamargli che resistenza è stata anche Lucky Luciano, Vito Genovese, Calogero Vizzini? Maledetti i bandi di arruolamento nella RSI, voluti da un insulso generale italiano, che amava abbracciarsi con Andreotti. Se non ci fossero stati, la resistenza sarebbe stato soltanto quel nucleo insulso, melenso, confusionario e striminzito della «Concentrazione degli Italiani all'estero», canaglia sorda, sordida e traditrice al soldo del Deuxiéme Bureau, dell'Intelligence Service, dell'Office Strategie Service, del Narodny Kommissariat Vnutrennich Del.
Resistenza come secondo Risorgimento? Certo. Il primo fu l'uccisione a sangue freddo di Pellegrino Rossi, le fucilazioni facili di Bronte e Scurgola, le violenze gratuite e spietate di Barile, Rionero e Ripacandida, la camorra portata a Napoli dai piemontesi e personificata istituzionalmente da Liborio Romano, il trasformismo dei soliti voltagabbana.
Serve parlare alle mummie? Non serve perché queste storie per esse sono «il senso della civiltà che avanza e che abbatte i suoi nemici». E queste erano le storielle alle quali credevano i ragazzi in buona fede che ci sono sempre stati, fra i Piemontesi e i Borbonici, i partigiani e i repubblichini.
Quando un uomo, a cinquant'anni dai fatti, afferma che «per noi i nemici furono e restano i tedeschi hitleriani, e insieme a loro gli italiani che si misero e restarono al loro servizio» e non s'accorge che il suo essere sul libro-paga di americani, inglesi, canadesi eccetera è più grave, per aver subito supinamente la volontà di padroni stranieri, mentre nella RSI non esisteva affatto -e questa è ormai storia acclarata- amore e accordo con i tedeschi, non c'è altro da fare che aspettare la morte naturale di queste cariatidi. Che non dovrebbe tardare ad arrivare. E nel frattempo andare avanti perché gli interessi della Nazione, i bisogni del popolo, le necessità dello Stato, le esigenze della Patria vanno soddisfatti oltre e contro la volontà di chi persegue velleità faziose che hanno sfarinato un popolo rendendolo preda di potenze straniere e riducendo nuovamente l'Italia a quell'«espressione geografica» che fu.

 

Vito Errico

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