«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 6 - 30 Settembre 1993

 

gli incontri

Profili d'estate


 

GIOVANNINO GUARESCHI
Qual è l'aurea massima di vita che assolve l'italiano mammone, piagnone e cialtrone da ogni responsabilità civile e morale? Presto detto: il vibrante «Tengo famiglia!» Ebbene, anche Giovannino Guareschi teneva famiglia quando, sui "Candido" del 25 aprile 1954, scriveva il suo «No, niente appello». Se il tribunale l'aveva condannato per aver diffamato De Gasperi (Guareschi aveva pubblicato sul suo fogliaccio una lettera -falsa? contraffatta? ma è stata davvero detta l'ultima parola su questa faccenda?- in cui il capo della DC, in data 19 gennaio 1944, chiedeva al Comando delle Forze Alleate di bombardare la periferia e l'acquedotto di Roma, perché la popolazione esasperata insorgesse contro tedeschi e fascisti), ebbene lui accettava di andare in galera. Soprattutto perché -si badi- teneva famiglia: infatti, primo dovere di un qualsiasi padre di famiglia, scriveva, è «quello di insegnare ai figli il rispetto della dignità personale. Se non avessi dei figli potrei infischiarmene, venire a patti, a compromessi. Potrei rinunciare a tutta o a una parte della mia dignità. Così non si può [...]. Se il mio nemico mi sputa in faccia, non posso ricorrere in Appello per ottenere che mi ripulisca la faccia con un fazzoletto».
Ecco, è di questo Guareschi, fiero di essere un piccolo borghese ostinato nella sua fede in Dio, nella Patria e nella Famiglia, che si è parlato alla Versiliana. Con Carlotta e Albertino, figli tutt'altro che degeneri, venuti qui a presentare un'autobiografia di Giuanìn, costruita mettendo insieme con grande perizia scritti paterni editi ed inediti, e a battezzare quella mostra itinerante di cose guareschiane che va dappertutto e che è ospitata adesso dal Palazzo Mediceo di Seravezza. «Poi, partiremo per la Catalogna» mi dice Carlotta. E, insieme ad Alberto, ringrazia "L'Italia settimanale" per l'intervista di Marco Ferrazzoli, «così bravo e simpatico».
Alla Versiliana, a vederli e a parlare con loro, sono venuti in tanti, vecchi e giovani: persone che conservano gelosamente le annate del "Candido", ragazzetti che hanno scoperto Don Camillo in televisione e poi sono andati a leggere le storie di "Mondo piccolo", gente che, divertendosi e commovendosi nel "Corrierino delle famiglie", ha sentito di trovarsi in simpatica confidenza con quell'ambiente, di respirare quella stessa aria, di condividere gioie e dolori del piccolo borghese Giovannino, esatto contrario del borghese piccolo piccolo ruffiano, livoroso e spietato. È un papà che piacerebbe a tutti quello che è venuto fuori dai ricordi, divertiti e inteneriti, di Alberto e Carlotta. Emiliano verace e buon patriota, dunque sprezzatore degli italici vizi (e ha fatto bene Romano Battaglia a ricordare un altro grande che di mal d'Italia soffriva: Giuseppe Prezzolini che, tornato dall'America, si ritrovò povero, perché abituato a credere nelle leggi dello Stato, dunque a pagare le tasse fino all'ultimo centesimo); attaccatissimo alla famiglia; affezionato alle sue piccole, amabili manie («l'albero di Natale lo voleva far lui, da solo», «i motori erano la sua passione: ci si dedicava per ore e ore», «se a casa c'era qualcosa da riparare, era faccenda di sua competenza: capace di stare mezza giornata a sistemare qualcosa che non funzionava», «amava tutto ciò che era genuino, detestava i concimi chimici, i precotti ecc: un pollo ruspante, trattato alla sua maniera, gli veniva a costare un occhio»); «villano malgarbato dal cuore d'oro» come il suo amato Verdi; pieno di rispetto per chiunque pensasse con la propria testa e credesse alla libertà e alla democrazia («ma non fu un galoppino della DC: la sostenne contro il Fronte Popolare, perché in quel momento si trattava di salvare l'Italia, poi ne combattè lo strapotere e la corruzione, auspicando sempre la nascita di una terza forza monarchica, cattolica e nazionale»), estraneo a qualsiasi forma di odio e di rancore. Se ne sono accorti, di recente, anche i comunisti quando su Raitre il "Visto da Destra" di Giovannino si è imposto sul "Visto da Sinistra" pasoliniano (ai due era stato chiesto nel 1961 un film di denuncia, a due mani).
Proprio i comunisti che, quando Guareschi scomparve, scrissero sull'Unità: «È morto uno scrittore che non è mai nato». Ma Guareschi, dal suo Paradiso che somiglia alla Bassa, li perdona, anche se al baffo spento di Occhetto preferisce quello ruggente di Peppone.

FOSCO MARAINI
«Sa, professore -fa Romano Battaglia, compiacente- qui, due anni fa, c'è stata sua figlia, a presentare "La lunga vita" di Marianna Ucrìa». Ma il professor Fosco Maraini non va al di là di un distratto «Ah, sì...?», nell'apprendere che anche Dacia è venuta tra i pini della Versiliana, nel parco della Villa dove, agli inizi del Novecento, Gabriele d'Annunzio visse travolgenti amori con Eleonora Duse. Il fatto è che Maraini ha gli occhi puntati su una costellazione di interessi culturali, di immagini, di suggestioni che ben poco hanno a che fare col mondo di Dacia, comunque cresciuta dacché ha cominciato a non vergognarsi più delle nobiliari origini materne e a rompere il cordone ombelicale con Alberto Moravia. Fosco Maraini -che, lo rileva giustamente Battaglia, a furia di occuparsi di Estremo Oriente, ha assunto fattezze e modi di un vecchio bonzo- è stato invitato ad un Incontro al Caffè, che ha come tema "La Sfida di Cina e Giappone". Sfida al resto dell'Asia e all'Occidente, è ovvio: ma, ai tavolini in ferro battuto, mentre il sole gioca tra i pini, tra megagelati e cocktail alla frutta, il pubblico dei vacanzieri sembra non preoccuparsi più di tanto del pericolo giallo di mussoliniana memoria. E così Maraini, che è venuto insieme a Piero Corradini, ordinario di Storia dell'Asia Orientale alla Sapienza di Roma e autore di uno splendido volume fotografico sulla Città Proibita di Pechino, si dispone a soddisfare le più svariate curiosità.
E racconta che fu per un caso (ma la Dea Bendata non ci parla attraverso il misterioso linguaggio delle coincidenze?) che cominciò a occuparsi di Oriente e a viaggiare, nei lontani Anni Trenta. Era andato in vacanza, in montagna: bene, tirando fuori gli scarponi da sci da un foglio di giornale, gli occhi gli caddero su una notizia: il professor Tucci torna in Tibet. Fu una folgorazione. Gli scrisse subito: professore, ha bisogno di qualcuno di spalle robuste e di cuore appassionato che venga con lei, a macinare chilometri e scoperte? Tucci rispose di sì: iniziava la grande avventura. Poi, a partire dal '38, il trasferimento in Giappone con la famiglia. Tutto bene fino all'8 settembre del '43: da allora al '45, Maraini («Perché meravigliarsi? Eravamo passati dalla parte degli Alleati, dunque eravamo nemici dei Giapponesi») fu rinchiuso con moglie e figli in un campo di concentramento. Il professore non racconta che, durante questa non piacevole permanenza, offeso nell'onore di italiano e sfidato a dar prova di coraggio, si amputò, senza fare una piega, un dito di una mano.
Lo farebbero, in un empito di frenesia autopunitiva, gli arraffoni di Tangentopoli? Ne dubitiamo. Intanto si vaga da un argomento all'altro. La Cina? Una bomba a tempo, la chiama Corradini. E aggiunge che laggiù nessuno si è scandalizzato per Tien An Men, gli avvenimenti non hanno lasciato alcun segno, non c'era e non c'è dissenso organizzato. Ma che razza di comunisti sono? Razza cinese, per l'appunto; il comunismo non ha aggiunto più di tanto a vecchie abitudini e a vecchie storie: le riforme agrarie ci sono sempre state, con tutto il loro contorno di spietatezza, e c'è da chiedersi se sia mai esistito un concetto di proprietà dei suoli; dei tatsebao, cioè dei lunghi manifesti che venimmo a conoscere con la rivoluzione culturale e cominciammo ad appendere nelle nostre università percorse dai fremiti sessantottini, parla Matteo Ricci nella sua "Storia del Cristianesimo in Cina", che è del 1608; quanto alla vocazione all'indottrinamento -avete presente i "Pensieri di Mao"?- già nel 1720 l'imperatore Yong-Chen faceva riunire tutti i capifamiglia ogni quindici giorni perché venissero lette, spiegate e assimilate le sue massime. Per non parlare dei processi postumi... Ma il conto torna, in una visione filosofica circolare in cui non c'è principio e non c'è fine -contrariamente, dunque, al Cristianesimo- e tutto è in trasformazione e in contraddizione.
«Professor Maraini, c'è differenza tra il Giappone d'oggi e quello contro cui si ribellò Mishima col suo memorabile seppukul» «C'è un ritorno nazionalistico che cavalca il cavallo del grande successo economico, favorito da un'etica del lavoro lontanissima da quella biblica che lo vede come maledizione. Per i Giapponesi il lavoro è shigoto, l'atto del fare».
Gigante economico e nano politico e militare come la Germania? «Aspettiamo».
Corre un fremito tra i vacanzieri dell'Italia sbracata e sfaticata.

GIOVANNI SPADOLINI
Tra gli uomini politici partoriti da questo secondo dopoguerra, Spadolini non è certo uno dei peggiori. Dipenderà dal fatto che collaborò, giovanissimo, con i fascisti di "Italia e Civiltà", gente appassionata, sposata all'Italia per sempre, ma non faziosa né becera: e ci scommettiamo che qualcosa del repubblichino deve essere restato nella memoria, o addirittura nel cuore, del repubblicano. Poi, Spadolini, fino a prova contraria, non è un ladro; è stato un buon giornalista; conosce particolarmente bene la storia italiana da cent'anni a questa parte e ha scritto diversi libri le cui pagine non possono certo far pensare al cervello e alla penna di Gioacchino Volpe ma restano comunque abbastanza efficaci per la vocazione italiana che le ispira; infine Spadolini non ha mai rinnegato, a quanto ci risulta, certe vicinanze umorali -se non morali e politiche- con il bastian contrario Prezzolini, anche quando gli sarebbe stato comodo farlo.
Sparsi questi incensi, riconosciuto un galantomismo di fondo un po' enfatico ma non insincero, apprezzato anche, da toscano, il ribadito legame con la nostra cultura, e, da italiano, l'appello a una Patria pulita e rinnovata, arrivo alle critiche. Che non vogliono essere ispirate a malevolenza ma, se possibile, a cordiale franchezza. E si riferiscono alla calda domenica d'agosto, l'8 per esattezza, in cui il Nostro con codazzo di questurini, carabinieri, guardaspalle, portaborse, amici, giornalisti, vacanzieri infiltrati, è arrivato alla Versiliana, ospite, come tutti gli anni, di Romano Battaglia (anche Andreotti era un ospite fisso dell'estate ma quest'anno non l'ha chiamato nessuno: soffio di vento e cenere è la mondana gloria ...). Bene, da battistrada gli fa Vittorio Orefice che per una mezzoretta presenta il suo libro, "Titanic Italia. Storia di un naufragio annunciato (E.R.I.)" e che, con voce trepida, accorata e melensa, discetta su mali e prospettive, parla di crisi delle leadership, di caduta dei valori, di necessità che, però, i partiti restino in piedi, perché «senza di loro il cittadino è nudo», di un nuovo da collegare a un progetto sicuramente democratico ecc. ecc. C'è posto pure per un richiamo, un po' abborracciato, a Spengler e al suo "Tramonto", e per una patetica captatio benevolentiae nei confronti del pubblico che rumoreggia e applaude chi fa domande provocatorie («Tutto è contro di me, tranne la vostra personale cortesia nell'ascoltarmi»). Ma di un abbozzo di autocritica personale, per carità, non se ne parla: che cosa ha a che fare il Prence dei Velinari con i misteri e le vergogne di un Palazzo che si sgretola? Nulla, è ovvio.
Ma ecco che arriva Spadolini: lo intervisteranno, tra gli altri, il Notturno Italiano Marzullo, Giovanni Giovannini, presidente della FIEG, e la Delfina della pregiata compagnia Agnelli & Rattazzi, che, si dice, veleggia verso la Lega, dopo aver occhieggiato al liberaldemocratico Occhetto. Dunque, che cosa ci dice Spadolini (anche lui ha un libro da presentare, "Gli uomini che fecero l'Italia", Longanesi, dove c'è posto, udite! udite!, anche per Mussolini e per Gentile: ma ne parleremo a suo tempo) in un'ora e mezza di riflessioni, battute, domande, risposte, ammonimenti, sdegni, patriottici trasalimenti, professorali richiami ecc? Ecco un veloce Bignami. Tradizione politica italiana: di essa fa parte l'idea del connubio, con grandi alleanze al centro che isolino le estreme; questa è la strada battuta da Cavour, Depretis, Giolitti, De Gasperi e, par di capire, è la strada che vorrebbe battere anche Spadolini. Domanda: dov'è il centro?
Servizi segreti: indubbiamente ci sono stati momenti di deviazione dai loro fini istituzionali. Ecco il perché della strategia della tensione ecc. Ma io, dice Spadolini, nell'80-'81 ho liberato dal cancro piduista i vertici dei Servizi. Adesso, se non si può più giurare sulla loro efficienza, per lo meno si può sperare che non complottino. Domanda: buon Dio, prima stragisti e complottardi, poi inefficienti: chi ci ha dannato a una sicurezza tanto insicura? Massoneria: non mi sento di demonizzare la Massoneria, esistono, però, massonerie deviate, io, comunque, ho sciolto la P2. Domanda: come mai, oggi che la P2 è sciolta, si parla ancora tanto di massonerie deviate? Ce n'è una non deviata? E, poi, deviata da che? da chi? perché? Tangentopoli e processi: vanno condannati i colpevoli e assolti gli innocenti (Beccaria dixit...). Non esistono forze politiche che possano condizionare i magistrati. Domanda: non esiste forse un Parlamento che così com'è (e come sarà ancora per un bel po' di tempo) sta invece tentando di condizionare l'azione dei magistrati, di comprometterla, di vanificarla?
Corruzione: ho sempre combattuto contro i finanziamenti occulti, le camarille politico-finanziarie, il marcio delle USL ecc. Ma non sono stato seguito. Domanda: perché, Presidente, nello spirito del Risorgimento, non si è ribellato, non ha denunciato, non si è dimesso, non ha fatto appello alle forze sane del Paese (anzi, della Patria, dello Stato, come Lei dice giustamente)?
Insomma, in questo pomeriggio d'estate, tra domande infiorettate che ricevono generiche risposte tutte tessute di buone intenzioni future e domande urlate che ricevono risposte esattamente dello stesso tipo, il grande, fatale interrogativo resta sospeso e irrisolto: perché i pochi galantuomini del sistema per partire lancia in resta contro il malaffare politico ed economico hanno aspettato Di Pietro? Perché?
 

Mario Bernardi Guardi

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