Il vuoto della politica
«nel centro del mirino»
«Pensando a questo punto
della gioventù, grido: terra! terra! Basta e strabasta con l'errare folle e che
cerca appassionatamente su mari scuri stranieri. Ora finalmente si mostra una
costa: qualunque essa sia; ad essa bisogna approdare ed il peggiore porto di
fortuna è migliore del vago movimento di infinità scettica e priva di speranza.
Aggrappiamoci prima alla terra, più tardi troveremo i porti buoni e faciliteremo
l'arrivo a coloro che giungeranno dopo di noi»
Friedrich Wilhelm Nietzsche
«Non c'è ideale al quale possiamo
sacrificarci perché di tutti noi conosciamo
le menzogne, noi che non sappiamo
che cosa sia la verità»
Andre Malraux
Da una parte c'è la preda, dall'altra il cacciatore.
Entrambi disillusi. Entrambi prigionieri di una solitudine volontaria. Quasi
ieratica.
L'uno, la preda, incarna il mito dionisiaco. L'altro, il cacciatore, è il mito
apollineo.
Sullo sfondo di una sfida all'ultimo sangue, il nulla globale della politica
contemporanea. Siamo nel day after di Dallas dalle parti dell'omicidio che ha
infranto il sogno dell'innocenza, tutta americana, della politica. Quel giorno è
caduto l'argenteo castello di Camelot. Qualche stagione dopo sono caduti i
mattoni del «Muro».
E oggi che il presidente è solo «il viaggiatore», non rimane niente da
riscattare se non i valori personali. Ciò che si è o ciò che si è stati. Così la
nuova mappa del mondo e la morte della politica fanno tornare in repertorio le
sfide individuali.
Non più cause, non più ragioni di vita. Solo istinto, caccia e ritorno al mito.
Classico come le colonne del «tempio della democrazia» americana, oppure ebbro e
delirante e senza volto. O con mille contraffatti.
Il cacciatore gode del privilegio di qualche ruga in più sul volto e del fatto
di giocare in difesa. La sua cultura è improntata al nichilismo decadente «Biedermeier»,
onesto, piccolo borghese, lobbista di una lobby che rappresenta solo lui,
disilluso e minimalista al punto di trovare insano sacrificare la propria vita
alla carriera. Ma non ritiene del tutto vano rischiarla nel duello che ha per
posta un omicidio presidenziale.
È Martin Venator, l'anarca di Junger, protagonista di «Eumeswil», colui che pur
lavorando per il despota è per lui il solo possibile nemico. L'altro, il
predatore è accecato dal furore nei confronti del simbolo che incarna il potere
che l'ha usato e poi messo da parte. È malato di onnipotenza e si serve della
tecnologia per emulare Booth, l'assassino di Lincoln. «Che tempi! Ti avrei
guardato le spalle!»
Un pensiero trova voce sulla scalinata del Campidoglio a Washington ed è rivolto
ad Abramo, «II capitano! Mio capitano», di Walt Whitman.
Due anti-eroi, l'un contro l'altro armati. Ciò che li divide è solo una scelta
etica. Nessuna animosità da «guerra santa», nessun furore ideologico, ma
l'enorme privilegio di fare scelte estreme individualmente. Il difensore è
impegnato a fare bene il suo lavoro. L'attaccante sa che la sfida sarà epica
solo in virtù di ciò. Nella stagione di "Jurassic Park", lui è il dinosauro.
Quello che lascia messaggi postumi attraverso segreterie telefoniche.
L'attentato al «viaggiatore» è solo un pretesto. Una vita da giocare
intercettando la traiettoria di una pallottola destinata al «viaggiatore». Ma
non senza aver prima saggiamente indossato un giubbotto anti-proiettile. Come il
buon vecchio Rick, il guardaspalle del «viaggiatore» strimpella «As time goes by»
al pianoforte, ma poi insegue lei dentro l'ascensore e la corteggia.
Nessuna strategia, per quanto minimalista, può prescindere dalla conoscenza
degli uomini... O da quella dei piccioni!
La perfezione, semmai esiste, non è nella tecnologia. E tutto il resto che muove
intorno «è solo fumo negli occhi».
Mentre solo chi cerca la pace dentro di sé, può trasferirla agli altri. Solo chi
si scava impietosamente dentro può far riaffiorare i piccoli valori smarriti da
tutti coloro che inseguono i grandi valori, le «visioni del mondo» e quelle di
una politica fatta di 5 o 6 punti percentuali da recuperare sull'avversario
elettorale...
Ancora «fumo negli occhi» o, nella migliore delle ipotesi, manipolazione delle
«immagini» e attraverso questo, fabbricazione di falsi miti che perlopiù
addormentano la coscienza della gente. Ma non quella del «ribelle». Capita la
metafora del «Rimetto»?
Barbanera
|