Dio di tutti noi...
Dio della noia e della
disoccupazione, Dio della provvidenza assistenziale, Dio degli arrangiati, dei
supplenti, dei precari. Dio dell'indolenza autunnale, Dio delle domeniche, Dio
del novantesimo minuto, Dio delle verdure bollite, Dio delle ultime mosche
appiccicose miracolate dai primi freddi, portaci lontano da tutti i tinelli
marrò e dallo spaventoso incedere dei numeri su ogni nuova faccia del
calendario.
Dio dei ritagli di tempo, di tutte le pause pranzo, Dio delle pennichelle, delle
toilette, portaci lontano dalle donne raggomitolate, braccia conserte sul
proprio seno, che ci guardano sempre di sbieco e ci lasciano soli, al banco del
bar, inghiottiti dal fondo di una tazzina di caffè.
Dio dei lunedì, dei martedì, Dio dei giorni pari e dei giorni dispari, Dio dei
turni lavorativi portaci lontano dalla grande ulcera, dalla ruminazione e dal
reflusso gastro esofageo che brucia, come in mistico sottofondo, nel cantuccio
delle nostre anime inacidite.
Dio dello scorporo, Dio dell'Iva, Dio del diciotto per cento, Dio inesorabile
della ritenuta d'acconto, accudisci nella stretta del doppiopetto, nell'onda del
loden, nel fruscio dell'impermeabile, lo sperma, il sangue, l'umore e il sudore
della nostra tiepida vacuità terrena, accompagnaci infine nel forziere dei dané,
facci ricchi, come caicchi, come pascià, come sceicchi. Dio di Pinocchio, dei
bambini, Dio di quando eravamo tutti bambini, Dio delle fate, degli orchi, dei
cavalieri erranti, Dio degli ultimi bicchieri di vino, Dio delle noccioline
smozzicate nei baci Perugina, portaci nella montagna di Aladino, al capolinea di
tutte le metropolitane, dove le ceste di frutta traboccano di genuina insaziata
felicità.
Portaci pertanto, o Dio dei fuori sede benestanti, al residence, dimenticati in
un taxi, o nella scatolina delle mentine, ma anche dentro un portafoglio, nella
borsetta di una madamina, oppure nella trama elegante di una cravatta Hermés.
Dimenticaci così: nel provvisorio esercizio del dovere esistenziale. Portaci
invece, o Dio dei commessi viaggiatori e delle bolle di accompagnamento, tra
fogli e fogli di commissioni accettate in un solo fiat da solvibilissimi clienti
che pagano sicuri come la morte a trenta, a sessanta, anche a novanta giorni.
Portaci, o Dio dell'innocenza, su e giù nelle colonne delle inserzioni per la
compagnia igienica di un'ora, portaci dall'imperatrice del vizio, dalle
chiromanti, dalle tigri, portaci dentro le segreterie telefoniche degli
appuntamenti. E tu dunque, Dio dei treni regolarmente registrati nei taccuini
degli abituali pendolari del lungo e largo, vomita dai finestrini delle vetture
in corsa l'indifferenza dei paesaggi per tutte le volte che ci si è guardati:
gli uni, negli occhi degli altri. Avendo cura di cancellare nella foratura del
biglietto, nel tac secco e preciso del controllore, tutto il dolore per il
giorno a venire. Così e così, tac, tac, tanto per ricominciare.
Pietrangelo Buttafuoco
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