«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 7 - 31 Ottobre 1993

 

Dio di tutti noi...


 

Dio della noia e della disoccupazione, Dio della provvidenza assistenziale, Dio degli arrangiati, dei supplenti, dei precari. Dio dell'indolenza autunnale, Dio delle domeniche, Dio del novantesimo minuto, Dio delle verdure bollite, Dio delle ultime mosche appiccicose miracolate dai primi freddi, portaci lontano da tutti i tinelli marrò e dallo spaventoso incedere dei numeri su ogni nuova faccia del calendario.
Dio dei ritagli di tempo, di tutte le pause pranzo, Dio delle pennichelle, delle toilette, portaci lontano dalle donne raggomitolate, braccia conserte sul proprio seno, che ci guardano sempre di sbieco e ci lasciano soli, al banco del bar, inghiottiti dal fondo di una tazzina di caffè.
Dio dei lunedì, dei martedì, Dio dei giorni pari e dei giorni dispari, Dio dei turni lavorativi portaci lontano dalla grande ulcera, dalla ruminazione e dal reflusso gastro esofageo che brucia, come in mistico sottofondo, nel cantuccio delle nostre anime inacidite.
Dio dello scorporo, Dio dell'Iva, Dio del diciotto per cento, Dio inesorabile della ritenuta d'acconto, accudisci nella stretta del doppiopetto, nell'onda del loden, nel fruscio dell'impermeabile, lo sperma, il sangue, l'umore e il sudore della nostra tiepida vacuità terrena, accompagnaci infine nel forziere dei dané, facci ricchi, come caicchi, come pascià, come sceicchi. Dio di Pinocchio, dei bambini, Dio di quando eravamo tutti bambini, Dio delle fate, degli orchi, dei cavalieri erranti, Dio degli ultimi bicchieri di vino, Dio delle noccioline smozzicate nei baci Perugina, portaci nella montagna di Aladino, al capolinea di tutte le metropolitane, dove le ceste di frutta traboccano di genuina insaziata felicità.
Portaci pertanto, o Dio dei fuori sede benestanti, al residence, dimenticati in un taxi, o nella scatolina delle mentine, ma anche dentro un portafoglio, nella borsetta di una madamina, oppure nella trama elegante di una cravatta Hermés. Dimenticaci così: nel provvisorio esercizio del dovere esistenziale. Portaci invece, o Dio dei commessi viaggiatori e delle bolle di accompagnamento, tra fogli e fogli di commissioni accettate in un solo fiat da solvibilissimi clienti che pagano sicuri come la morte a trenta, a sessanta, anche a novanta giorni.
Portaci, o Dio dell'innocenza, su e giù nelle colonne delle inserzioni per la compagnia igienica di un'ora, portaci dall'imperatrice del vizio, dalle chiromanti, dalle tigri, portaci dentro le segreterie telefoniche degli appuntamenti. E tu dunque, Dio dei treni regolarmente registrati nei taccuini degli abituali pendolari del lungo e largo, vomita dai finestrini delle vetture in corsa l'indifferenza dei paesaggi per tutte le volte che ci si è guardati: gli uni, negli occhi degli altri. Avendo cura di cancellare nella foratura del biglietto, nel tac secco e preciso del controllore, tutto il dolore per il giorno a venire. Così e così, tac, tac, tanto per ricominciare.

 

Pietrangelo Buttafuoco

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