La speranza è nel Sud
«Vi è un nobile orgoglio di un uomo o di un popolo, quando
memore di sé stesso, e giudicandosi non da quello che egli è tenuto,
ma da quello ch'egli sente di essere, osa mirare in faccia coloro che
gli stan sopra, ed hanno il nome di grandi»
Francesco De Sanctis
L'amico Donnici -sullo scorso numero di "Tabularasa"- entusiasta della sua
creatura, «Calabria Libera», che cresce e raccoglie consensi ed adesioni
numerose, mi invita a «... strapazzare alla mia maniera i pigri. A tirarli giù
dal letto», per dare un contributo al nuovo che ci viene addosso.
Riguardo al nuovo, ho già in altra occasione espresso tutto il mio scetticismo.
Non si possono vendere le parole come mercanzia sui banchi del mercato. Occorre
reperire gli acquirenti. E dove li troviamo se questo malnato popolo da dieci
lustri riesce a sopportare tutto, a farsi tassare oltre misura, a farsi derubare
di ogni suo avere?
Gran parte della mia vita l'ho vissuta come un cane rabbioso, inviso alla
maggior parte di coloro che per avventura mi stan d'accanto. Io nel torto? Può
darsi... Ma lo sono anche gli amici che si ritrovano in "Tabularasa"?
Guardiamoci intorno, e, freddamente, soffermiamoci a porre attenzione a ciò che
i casuali incontri giornalieri di alcuni interlocutori producono in noi. Nella
maggior parte dei casi, anzi, talvolta nella totalità di essi, dobbiamo
verificare che perdiamo parte del nostro tempo a conversare con degli emeriti
cretini. E per quanto si cerchi di abbreviare il nostro colloquio, esso è sempre
troppo lungo, causato probabilmente da una educazione in noi innata.
Siamo diventati intolleranti? Non credo. Secondo me è tramontata un'epoca, un
modo di pensare, di essere, di comportarsi. Le responsabilità che dovremmo
assumerci, per quanto gravose potessero essere, non dovrebbero spaventarci, è
vero. Ma con chi vogliamo partecipare al cambiamento? C'è negli altri la stessa
animosità che ha segnato ogni passo della nostra esistenza?
Grossi dubbi mi assalgono. Quando diciamo le cose più semplici, dimostriamo con
gli esempi più acconci che certe questioni che avvelenano la vita politica
italiana potrebbero essere risolte con estrema facilità, la gente si ritrae come
se fossimo individui che alzano la voce perché non hanno argomenti.
Da noi, al Centro Nord, spopola la Lega. È più una protesta dei ceti medi,
dettata dalla necessità di difendere particolari privilegi acquisiti nei periodi
di vacche grasse, piuttosto che una sana e, perché no!, feroce ribellione di
popolo. E gli italiani del Centro-Nord, caro Donnici, si limitano a fare il loro
piccolo scioperetto od a lanciare delle uova contro qualche sindacalista. Tutta
lì, la loro protesta.
E se Bossi oggi agita il mitra, l'indomani, smesso di piovere, al braccio che lo
sorreggeva vi appoggia l'ombrello. Non ci credo. Sul serio lo prendono i
partiti, vecchi e nuovi, ma soltanto perché si vedono ridurre gli spazi
elettorali, gli scranni parlamentari.
La speranza per una rinascita di questa Italia impoltronita videodipendente può
venire dal Meridione. E non dicano, alcuni amici meridionali, che il loro è un
popolo schiavizzato da secoli, uso a sopportar la frusta e il basto, assuefatto
a sentire il fiato del potente sul collo. Oggi, nella dissoluzione di tutti i
poteri, «osino mirare in faccia coloro che gli son stati sopra».
A differenza dei loro fratelli del Nord, i meridionali conoscono il sacrificio,
lo strazio delle sofferenze troppo a lungo patite, l'odore e il sapore del
proprio sangue. E quello dei potenti non ha sicuramente un colore, un sapore, un
odore diverso.
a. c.
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