«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 7 - 31 Ottobre 1993

 

Fan tanta pena...


 

Noi, che del fascio siamo i componenti, abbiamo ottimo fiuto. Riconosciamo per esempio, in un sol botto, un «comunista di merda». Con un particolare e doveroso aggiornamento: un qualcosa che non riguarda la sincerità del «trinariciutismo», i calli sulle mani, le salsicce dei vecchi Festival dell'Unità, i calendarietti delle società di mutuo soccorso operaio. Niente di tutto questo. Noi, che del fascio siamo i componenti, abbiamo sullo stomaco il fastidio dei molti comunisti di merda travestiti nel gregge benpensante di questa porca Italia. Certe facce, certe facce signori miei, che solo Iddio può comprenderci nella sua infinità misericordia se tanto tanto ci fanno inalberare di santissima rabbia. Certe facce di immacolati verginelli presi e stampati da bordelli di seconda mano che disarmati dalla vecchiezza e dalla bruttezza recitano stancamente le poste del Rosario. Comunisti al modo di sua nobiltà il principe Caracciolo, comunisti al modo di sua solennità Eugenio Scalfari, comunisti al modo di sua untuosità Achille Occhetto, o Leoluca Orlando, o Rosi Bindi, o Peppe Ayala, o come qualsiasi gran coppola voglia dirsi.
Comunisti di merda, ad uso e consumo del potere. Comunisti travestiti, comunisti rinfrescati, comunisti patinati, comunisti illuminati, comunisti intervistati, comunisti stipendiati. Dice: il papa dei Veltroni era un funzionario della RAI, e vaffanculo sì che poi diventano comunistoni con il bollo. Come diceva Flaiano: «non sono comunista, non posso permettermelo». E sono cose miste a nuove: vecchia metodologia togliattiana coniugata alla comunicazione contemporanea. Conquista del tempo libero, monopolio dei luoghi comuni, avanspettacolo elettorale. Cosa mai potevano sapere tanti buoni padri di famiglia se i propri figli in anni non troppo lontani si masticavano il cervello con le canzoni di Claudio Lolli? (Regolarmente prodotto e distribuito dalla libera economia capitalista). Cosa c'è di così tremendamente incomunicabile se una volta per tutte si dice che no, "Avanzi" non fa più ridere, che Paolo Rossi non fa più ridere, se si dice che Claudio Fava è un invasato, se si dice che Rutelli è solo un motorino inventato dai giornali, che De Benedetti è un magnaccio del proletariato, se si dice infine che un Beppe Grillo qualsiasi (uno dei loro magnifici eroi, a tanto arrivano), è un moralista da costosissimo ingaggio.
Dice: l'Italia sta cambiando, l'Italia cambia, l'Italia è già nuova, ma ci ritroveremo traghettati da tutta questa bella banda di truffatori travestiti. Dice: i progressisti, i retini, i verdi, i parroci, i democratici, i popolari, i centristi, i piccoli esploratori dell'antimafia. Tutte cazzate, signori miei: sono comunisti, comunisti di merda. E fanno puzza, sono caramellosi, conformisti, povericristi. E non sono bolscevichi, non sono operai, non sono soldati, non sono eroi. Sono fighetti presi in prestito dall'album della peggiore retorica.
Ben altra cosa era Autonomia Operaia, cani per quanto si voglia, pure assassini, feroci nemici, ma liberi infine. E pure creativi. La stagione di Autonomia Operaia in Italia ebbe momenti di sotterranea frenesia futurista. Per un Jovanotti di oggi che sbuca dal palcoscenico con la magliettina di propaganda antirazzista c'erano gli Area degli anni '70, il loro essere comunisti rabbiosi o la loro magnifica musica (fuori dal mercato discografico: era la mitica Kramps).
Ben altra cosa rispetto alla Russia dei Soviet, cani per quanto si voglia, pure assassini, feroci nemici ma costruttori di storia. I comunisti di merda non erano loro, loro erano i disperati di Stalingrado, i marinai di Pietroburgo, i contadini delle immense distese di grano. E la gente pregava come se le maestà dei Romanov fossero ancora sopra le teste delle moltitudini dei popoli registrate sotto le insegne dell'URSS. Con un Dio accucciato fra le pieghe del colbacco dei capitani del popolo. Con un piede sulla luna e l'altro verso oriente. Con Lenin, con Stalin e con tutti gli altri morti importanti del Cremlino salutati da 210 interminabili passi di soldati perfetti come nazisti. Con un carillon dolcissimo come le fiabe nascoste nelle barbe dei patriarchi ortodossi.
Noi, che del fascio siamo i componenti, non abbiamo più un nemico al di là degli Urali. Gli stivali non segnano più il passo davanti al mausoleo di Lenin, la città di Mosca sembra sempre di più «Napoli milionaria», con i soldati dell'Armata Rossa che accompagnano le proprie mogli nella compiacente comodità degli alberghi ad uso e consumo dei turisti. E ci si scanna, si ruba, si spara, ad uso e consumo dell'ordine internazionale.
Hanno deciso di levare il loro Lenin dalla Piazza Rossa. Come quando si gira la Madonnina dal comò per fare liberamente le cose sporche? Ben altra cosa erano i bolscevichi, parola di zarista, che del fascio è comunque componente.

 

Dragonera

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