Fan tanta pena...
Noi, che del fascio siamo i
componenti, abbiamo ottimo fiuto. Riconosciamo per esempio, in un sol botto, un
«comunista di merda». Con un particolare e doveroso aggiornamento: un qualcosa
che non riguarda la sincerità del «trinariciutismo», i calli sulle mani, le
salsicce dei vecchi Festival dell'Unità, i calendarietti delle società di mutuo
soccorso operaio. Niente di tutto questo. Noi, che del fascio siamo i
componenti, abbiamo sullo stomaco il fastidio dei molti comunisti di merda
travestiti nel gregge benpensante di questa porca Italia. Certe facce, certe
facce signori miei, che solo Iddio può comprenderci nella sua infinità
misericordia se tanto tanto ci fanno inalberare di santissima rabbia. Certe
facce di immacolati verginelli presi e stampati da bordelli di seconda mano che
disarmati dalla vecchiezza e dalla bruttezza recitano stancamente le poste del
Rosario. Comunisti al modo di sua nobiltà il principe Caracciolo, comunisti al
modo di sua solennità Eugenio Scalfari, comunisti al modo di sua untuosità
Achille Occhetto, o Leoluca Orlando, o Rosi Bindi, o Peppe Ayala, o come
qualsiasi gran coppola voglia dirsi.
Comunisti di merda, ad uso e consumo del potere. Comunisti travestiti, comunisti
rinfrescati, comunisti patinati, comunisti illuminati, comunisti intervistati,
comunisti stipendiati. Dice: il papa dei Veltroni era un funzionario della RAI,
e vaffanculo sì che poi diventano comunistoni con il bollo. Come diceva Flaiano:
«non sono comunista, non posso permettermelo». E sono cose miste a nuove:
vecchia metodologia togliattiana coniugata alla comunicazione contemporanea.
Conquista del tempo libero, monopolio dei luoghi comuni, avanspettacolo
elettorale. Cosa mai potevano sapere tanti buoni padri di famiglia se i propri
figli in anni non troppo lontani si masticavano il cervello con le canzoni di
Claudio Lolli? (Regolarmente prodotto e distribuito dalla libera economia
capitalista). Cosa c'è di così tremendamente incomunicabile se una volta per
tutte si dice che no, "Avanzi" non fa più ridere, che Paolo Rossi non fa più
ridere, se si dice che Claudio Fava è un invasato, se si dice che Rutelli è solo
un motorino inventato dai giornali, che De Benedetti è un magnaccio del
proletariato, se si dice infine che un Beppe Grillo qualsiasi (uno dei loro
magnifici eroi, a tanto arrivano), è un moralista da costosissimo ingaggio.
Dice: l'Italia sta cambiando, l'Italia cambia, l'Italia è già nuova, ma ci
ritroveremo traghettati da tutta questa bella banda di truffatori travestiti.
Dice: i progressisti, i retini, i verdi, i parroci, i democratici, i popolari, i
centristi, i piccoli esploratori dell'antimafia. Tutte cazzate, signori miei:
sono comunisti, comunisti di merda. E fanno puzza, sono caramellosi,
conformisti, povericristi. E non sono bolscevichi, non sono operai, non sono
soldati, non sono eroi. Sono fighetti presi in prestito dall'album della
peggiore retorica.
Ben altra cosa era Autonomia Operaia, cani per quanto si voglia, pure assassini,
feroci nemici, ma liberi infine. E pure creativi. La stagione di Autonomia
Operaia in Italia ebbe momenti di sotterranea frenesia futurista. Per un
Jovanotti di oggi che sbuca dal palcoscenico con la magliettina di propaganda
antirazzista c'erano gli Area degli anni '70, il loro essere comunisti rabbiosi
o la loro magnifica musica (fuori dal mercato discografico: era la mitica
Kramps).
Ben altra cosa rispetto alla Russia dei Soviet, cani per quanto si voglia, pure
assassini, feroci nemici ma costruttori di storia. I comunisti di merda non
erano loro, loro erano i disperati di Stalingrado, i marinai di Pietroburgo, i
contadini delle immense distese di grano. E la gente pregava come se le maestà
dei Romanov fossero ancora sopra le teste delle moltitudini dei popoli
registrate sotto le insegne dell'URSS. Con un Dio accucciato fra le pieghe del
colbacco dei capitani del popolo. Con un piede sulla luna e l'altro verso
oriente. Con Lenin, con Stalin e con tutti gli altri morti importanti del
Cremlino salutati da 210 interminabili passi di soldati perfetti come nazisti.
Con un carillon dolcissimo come le fiabe nascoste nelle barbe dei patriarchi
ortodossi.
Noi, che del fascio siamo i componenti, non abbiamo più un nemico al di là degli
Urali. Gli stivali non segnano più il passo davanti al mausoleo di Lenin, la
città di Mosca sembra sempre di più «Napoli milionaria», con i soldati
dell'Armata Rossa che accompagnano le proprie mogli nella compiacente comodità
degli alberghi ad uso e consumo dei turisti. E ci si scanna, si ruba, si spara,
ad uso e consumo dell'ordine internazionale.
Hanno deciso di levare il loro Lenin dalla Piazza Rossa. Come quando si gira la
Madonnina dal comò per fare liberamente le cose sporche? Ben altra cosa erano i
bolscevichi, parola di zarista, che del fascio è comunque componente.
Dragonera
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