1984: Berlinguer chiama
1993: Zingaretti non risponde
A proposito dell'Hobbit
'93,
di Rauti dei giovani rautiani
Chi è mai Nicola Zingaretti?
Ecco come, con pochi ed efficaci termini, lo presenta su "la Repubblica" un
giornalista molto bravo, Riccardo Luna, incaricato di seguire la vicenda dei
quattro giorni di "Campo Hobbit '93" organizzati con notevole successo, a Roma,
nei giardini di Castel Sant'Angelo dalla corrente del MSI che fa capo a Pino
Rauti: «Nicola Zingaretti è un bel ragazzo, con i riccioli neri, le spalle
larghe e negli occhi quel tanto di idealismo che a 27 anni serve a guidare la
Sinistra giovanile, ex-Federazione dei giovani comunisti italiani, trampolino di
lancio per decine di dirigenti di PCI e PDS».
Beato lui! È bello, ha 27 anni, vanta un fisico sportivo, lo attende una
brillante carriera politica. Peccato che abbia detto un mucchio di sciocchezze e
sia caduto in plateali contraddizioni rispondendo alle domande dello stesso
Luna. Vediamo un po', procedendo fior da fiore.
Dichiara, anzitutto: «E va bene, lo ammetto, questi giovani fascisti che
dilagano nelle borgate romane sono una sconfitta per noi, ma attenti a dire che
la sinistra ha ormai perduto».
Qui torna acconcio chiedersi: Come si fa ad «ammettere» una «sconfitta»
sostenendo, al tempo stesso, che non si è «perduto»? E poi, che diamine ci sta a
fare nelle «borgate» l'organizzazione affidata alla sua leadership se si vede
costretto a registrare il «dilagare» dei veri o presunti «giovani fascisti»?
Spiace dirlo a un giovinotto di tante belle speranze, ma qui c'è materia per
dimissioni o per commissariamento.
Proseguiamo: «Non credo che in democrazia ci sia spazio per chi è portatore di
valori che vogliono negare la cultura degli altri».
Zingaretti deve stare più attento quando si esprime in sede responsabile. Se non
si fosse distratto si sarebbe ben guardato, immaginiamo, dal definire «portatori
di valori» i negatori violenti della «cultura degli altri». Ma veramente i
giovani rautiani appartengono alla perfida e ruinosa schiera degli oppugnatori
di altrui culture? Sembra proprio di no, stando, quanto meno, allo schema
politico organizzativo su cui è stato costruito questo Hobbit '93. Infatti
Riccardo Luna ha buon gioco nel far presente al giovin signore quanto segue:
«Accomunare i nazional-popolari agli skin-heads, non è come mettere nello stesso
calderone PCI, Autonomia operaia e le Brigate rosse?».
La risposta, incauta, dell'incautissimo Zingaretti è un vero e proprio autogol:
«No, anch'io conosco la differenza, ma non dialogo né con i nazi-skin né con i
neofascisti perché a entrambi riconosco un elemento di intolleranza».
Perfetto. Mentre addebita ai missini di rito rautiano il peccato di intolleranza
egli viene in evidenza come veicolatore di una faziosità addirittura
allucinante, come assertore del «delitto d'opinione», come demonizzatore del
diverso, come sostenitore di una concezione «clericale», tridentina,
inquisizionista dell'antifascismo. La faccenda è talmente brutta e insostenibile
che il redattore de "la Repubblica" non può fare a meno di così replicare: «A
Castel Sant'Angelo i giovani rautiani avevano invitato tutti, da Rifondazione
alla DC, dalla Lega al PDS...».
E qui il segretario della Quercia-baby si salva in corner: «Chi fa questo poi
sostiene e utilizza la peggiore destra romana, quella dei naziskin».
Ovviamente, neppure l'ombra di una prova, nemmeno la citazione di un episodio a
sostegno di tale asseverazione. Il signor Zingaretti pretende di essere creduto
sulla parola, anche quando spara panzane. Noi pensiamo che per liquidare un
comportamento del genere bastino le parole dell'on. Gianni Mattioli, uno dei più
autorevoli esponenti del Verdi: «Sono stupefatto: in questi giorni ho ricevuto
molte sollecitazioni a declinare l'invito. Ma si tratta di una manifestazione
alla quale partecipano dei giovani e trovo assurdo rifiutare il confronto... Non
c'è possibilità di equivoco, ho un immacolato curriculum di antifascista e sono
membro dell'organizzazione per l'amicizia Italia-Israele».
Dice, ancora, Zingaretti: «II fatto è che è in atto un grande scontro per
l'egemonia culturale fra i giovani, ma mi pare che la città solo nove mesi fa
abbia risposto al razzismo con una clamorosa manifestazione popolare».
È vero: il successo di quella manifestazione -fortunatamente non unica, e non
soltanto a Roma- ci ha riempito di gioia. Però Pino Rauti con il razzismo non
c'entra niente. Qualche anno fa ebbe a dichiarare, in una intervista a un
quotidiano di sinistra -"il Manifesto", se ben ricordiamo-, che lui non era
razzista. Che noi si sappia, non ha cambiato idea; come, del resto, si evince
dall'invito rivolto a un esponente di «Italia-Israele» quale, appunto, l'on.
Mattioli. Quanto, poi, allo «scontro per l'egemonia culturale fra i giovani»
stia sicuro, il buon Nicola, che lo perderà se continua a percorrere una strada
erroneamente imboccata -quella del settarismo e della persecuzione- dove solo
fino ad un certo punto e, pare a noi, con notevoli oscillazioni e incertezze, è
stato sostenuto da "l'Unità".
Del resto, lui stesso ha ammesso di essere in grave difficoltà nelle «borgate»,
per il «dilagare» dei veri o presunti giovani «fascisti», con i quali si ostina
a non voler dialogare, così ignorando anzitutto le regole più elementari per il
conseguimento della egemonia dettate da Gramsci e, quindi, le tradizioni del suo
partito. Siamo, dunque, all'ennesima, devastante intrusione della cultura
azionista -il moralismo d'assalto, emarginatorio, versione borghese della
«tolleranza repressiva» di marcusiana memoria; l'antifascismo «come religione»,
con relativi santi e demoni ortodossi ed eretici, comunicati e scomunicati; la
concezione del mondo, della storia, della vita, astrattamente innervata su di
una dialettica coinvolgente fino alla consumazione dei secoli non borghesia e
proletariato, comunismo e capitalismo, destra e sinistra, conservazione e
progresso, moderatismo e rivoluzione, bensì fascismo e antifascismo- nella
Sinistra, con ovvia frantumazione dell'analisi marxista.
Ma a questo punto il discorso va oltre Zingaretti per investire il gruppo
dirigente del partito, il suo leader. All'on. Occhetto, quindi, chiederemmo se
valeva davvero la pena di liquidare il vecchio PCI per fare del primo partito
della sinistra lo sbiadito replicante di una cultura distrutta dal popolo
italiano già all'albeggiare della ripresa democratica mediante inappellabili
pollice verso nelle urne. Distrutta, però, solo nella incarnazione partitica. In
realtà, essa ha continuato a vivere, in modo magari anche prestigioso, nei
media; nonché nei partiti di governo e di opposizione, dei quali o era riuscito
a impossessarsi o a costituirvi minoranze solide e influenti. Comunque, il
segretario del PDS bene farebbe a riflettere su ciò che Togliatti diceva degli
odiatissimi azionisti -non senza esagerazioni ed esasperazioni da deplorare,
perché uomini e idee dell'azionismo impersonarono ed espressero anche valori
assolutamente degni di essere esaltati e rivendicati-, di volta in volta
trattati come agenti dell'Intelligence Service, longa manus degli americani,
rappresentanti di interessi stranieri etc.
In odio al conte Sforza, Togliatti riuscì perfino a diventare amico del
monarchico ed ex fascista Pietro Badoglio, allora presidente del Consiglio dei
Ministri del Regno del Sud. Italo De Feo, stretto collaboratore e amico del
leader comunista prima della rottura che lo portò ad avvicinarsi alla
Socialdemocrazia e, personalmente, a Saragat, narra in "Tre anni con Togliatti",
che nelle more delle riunioni di governo il suo capo rideva di gusto e di cuore
quando, accennando a Sforza, il Maresciallo asseriva, ammiccando: «È pieno di
vuoto».
* * *
Torniamo a Zingaretti. Egli dice: «Io sono il primo ad essere interessato a
dialogare anche con un'area giovanile diffidente verso i valori della
solidarietà».
Impeccabile. Ma allora cosa aspetta per aprire un confronto, un discorso, con i
giovani rautiani, indiscutibilmente fra i più solidaristi non solo nel MSI ma in
tutta l'area giovanile culturalmente e politicamente impegnata? Tenga presente
che gli organizzatori dell'Hobbit '93 da anni confliggono dentro e fuori il
partito per promuovere l'idea della socializzazione, ossia la redistribuzione
solidaristica degli utili, del potere, della gestione all'interno della impresa
e, più in generale, della economia. Zingaretti è ancora un uomo di sinistra o è
già diventato un intellettuale azionista? Se, come nonostante tutto pensiamo, fa
ancora parte della Sinistra, il dialogo con i vari esponenti e militanti di
"Andare oltre" (questa la denominazione della corrente di Rauti) delle ultime
generazioni dovrebbe interessarlo.
Come, del resto, a suo tempo ebbe ad interessare qualche suo illustre
predecessore sulla poltrona di segretario giovanile. Facciamo riferimento a
Enrico Berlinguer, il quale guarda caso, nel 1948 sollecitò Pino Rauti a un
dibattito sulla RSI, la Resistenza, il destino politico delle masse giovanili
fasciste reduci dall'esperienza di Salò. Il «faccia a faccia» ebbe luogo alla
sezione Montesacro del PCI, ma non si riuscì a portarlo a termine. Infatti i
vari Zingaretti dell'epoca, adeguatamente muniti di esplosivo psicologico
azionista, fecero deflagrare l'iniziativa. Ci fu qualche incidente. Berlinguer
si scusò e disse che bisognava riprovarci, magari preparando meglio le
manifestazioni. Fu di parola. Anzi, applicando una linea che era stata di
Togliatti fin dal 1937 -iniziata con il famoso-appello su "Stato Operaio" «Ai
nostri fratelli in camicia nera»- fece dell'incontro ed anche della
collaborazione con i giovani fascisti la politica ufficiale della FGCI.
A questo punto vorremmo scusarci con Nicola Zingaretti per il tono, qualche
volta involontariamente aspro, con cui veniamo criticando le sue posizioni, che
non fa parte del nostro stile. Ciò che ha messo a dura prova il nostro naturale
fair play è la richiesta alla Questura di vietare l'Hobbit '93.
Chi, come noi, si riconosce nell'area culturale della sinistra libertaria,
popolare, non violenta -non violenza che riguardi non solo le persone e le cose,
ma anche le idee, le identità, le dottrine, le strutture atte a esternarle- può
ben comprenderci. Amiamo quella parte creativa del Sessantotto che ci ha
gratificati di apoftegmi memorandi: «Vietato vietare», «L'immaginazione al
potere», «Contentatevi: chiedete l'impossibile», etc. Pertanto, invitiamo il
leader dei giovani pidiessini a giammai sollecitare il divieto di qualunque cosa
non espressiva di criminalità (se non altro per non farsi dire che la tendenza
al liberticidio denuncia il persistere, in lui e nei suoi modi, di una
inobliterabile vocazione al vetero-comunismo e al neo stalinismo); e a fondare
una realtà di potere giovanile appunto sulla immaginazione (anche al fine di non
farsi obbiettare che già dall'avvio della «svolta» della Bolognina il PCI-PDS,
gira e rigira, non ha «immaginato» nulla, preferendo, evidentemente, affidarsi
ai vecchi materiali intuitivi, culturali, psicologici di un azionismo appena
appena riveduto, corretto, aggiornato).
Purtroppo, la Sinistra Giovanile non si è... vietato di vietare. La mattina
precedente il giorno (inaugurale dell'Hobbit), suoi rappresentanti, unitamente a
quelli di altre organizzazioni (però non di partito), hanno addirittura
convocato una conferenza stampa per demonizzare la manifestazione di Castel
Sant'Angelo, in quanto «raduno di movimenti neonazisti e neofascisti italiani».
Ciò dopo avere ripetutamente chiesto alla Questura di revocare il permesso.
A sua volta il Signor Valerio Marchi, direttore dello "Osservatorio sulle
culture giovanili" dell'ISPES, ha perso una eccellente occasione per tacere
affermando che «esiste un collegamento fra i naziskin e i giovani dell'area
della destra rivoluzionaria di Pino Rauti».
A questo punto ci punge vaghezza di sapere cosa diamine osserva dal suo
«Osservatorio» il dott. Marchi. Anzitutto, l'on. Rauti non può essere il Number
One di qualsivoglia area di destra. Perché? Per la contraddizione che noi
consente. .. Egli, infatti, rifiuta polemicamente la qualifica di destra non
solo per sé e per il gruppo, ma anche per il partito, secondo lui bisognoso di
liberarsi veracemente e tempestivamente di questa targa e, soprattutto, dei
contenuti conservatori che presuppone. Non si tratta di una mascherata
demagogica: sul tema i rautiani hanno combattuto battaglie al calor bianco sia
contro Almirante che contro Fini, soprattutto in quel congresso che innalzò, sia
pur precariamente, il loro leader al soglio segretariale.
E la lotta contro l'identità di destra continua da posizioni nuovamente
minoritarie. Rauti è un capo, un intellettuale che difficilmente demorde e ai
climi duri c'è abituato. Stiamo dicendo la verità -secondo Marx l'unica
«veramente rivoluzionaria»- e non difendendo un caratterizzatissimo uomo
politico, che, del resto, della nostra difesa non sa cosa farsene.
Se, dunque, il leader di «Andare oltre» non è un destrorso, davvero non si
comprende cosa possa farsene dei gruppuscoli della estrema destra, ossia dei
nazi-skin. E, parimenti, costoro di lui.
C'è stato un periodo durante il quale la stampa di sinistra ha scoperto Pino
Rauti. Dopo "il Manifesto", l'Unità, "la Repubblica", "L'Espresso",
"Ragionamenti", "l'Avanti!" ed altri non gli hanno lesinato spazio per chiose,
cronache, notizie, interviste. Ciò, inopinata conclusione di lustri di
satanizzazione galoppante, di bombardamenti contro il... «bombardo nero»
(cosiddetto). Come mai, allora, questo deja vu?
Perché questo voltafaccia, che, tutto sommato, favorisce solo Gianfranco Fini,
consentendogli di presentarsi, con la sua "Alleanza Nazionale", con le
connotazioni della destra perbenista, immune dalla contaminatio nazista e
razzista? Non vorremmo che fosse nella vocazione della Sinistra fare, come suoi
dirsi, «il gioco del re di Prussia» dopo quello del re di Russia. Ambedue,
certamente, devastanti.
* * *
II giovane Zingaretti -che poi tanto giovane non è a 27 anni suonati- ha
incassato una sconfitta che si sarebbe potuto tranquillamente risparmiare se
fosse stato più prudente. Le Autorità della Repubblica -autorità molto meno
autoritarie di lui, che avrebbe il dovere di venire in evidenza come un
libertario- si sono ben guardate dall'accogliere la sua richiesta liberticida.
Né, a ben vedere, la stampa del PDS gli è stata solidale nella misura che,
immaginiamo, avrebbe desiderato. Su "l'Unità" abbiamo letto con piacere ottimi
pezzi di Delia Vaccarello, ispirati a equilibrio, correttezza, buon senso. Da
elogiare, dunque, insieme a quelli di Riccardo Luna de "la Repubblica".
Personalità politicamente insospettabili quali, ci limitiamo solo a qualche
nome, gli on.li Mattioli, Pannella, Pivetti, Rippa, nonché giornalisti e
intellettuali, hanno dato vita a dibattiti brillanti e seguitissimi. A loro
volta gli assenti più o meno giustificati hanno ritenuto di dover esplicitare
che trattavasi di disimpegno del tutto indipendente dalla loro volontà.
L'on. Lento, di "Rifondazione Comunista", intervistato subito dopo l'invito,
dichiarava, fra l'altro: «Personalmente non avrei problemi... Comunque andrei a
titolo personale... Penso che andrò. Io sono comunista e cattolico, e convinto
di poter esporre le mie idee in qualunque posto senza contaminarmi». Ed ecco
scattare il meccanismo repressivo del partito, di quel partito il cui ex
segretario, l'on. Sergio Garavini, ci aveva espresso l'opinione -nel corso di
una conversazione-intervista risalente alla scorsa primavera- della esigenza
decisiva di mai sottrarsi al dialogo con quelli che noi ci ostiniamo a definire
«i veri o presunti fascisti». Perché, aveva seguitato l'allora segretario, è
nell'interesse della democrazia non escludere i fascisti dai vari circuiti della
vita democratica, ma anzi coinvolgerli in essa nella maggior misura possibile.
L'on. Apuzzo, dei Verdi, motivava il ritiro dell'adesione con le seguenti
parole: «Rinuncio per non accentuare attriti a sinistra scaturibili da un
malinteso antifascismo». Però, con il dente avvelenato per aver dovuto
autoreprimersi infliggendo un colpo duro ai diritti della sua libera
decisionalità, si affrettava a soggiungere: «Intendo comunque precisare che fino
a quando si avrà paura delle parole in nome di un malinteso antifascismo, si
darà sempre più adito e spazio alla violenza. Infatti non sarei andato a
chiacchierare fra tarallucci e vino con squadristi, naziskin e xenofobi
incendiari. Ma avrei parlato a giovani che possono essere convinti».
Convinti relativamente a cosa? Alla libertà di espressione? Al libero esame? Al
libero confronto con opinioni e dottrine da rispettare? Suvvia! È da un pezzo
che i giovani rautiani sono -Hobbit o non Hobbit- di ciò profondamente persuasi.
Enrico
Landolfi
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