«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 7 - 31 Ottobre 1993

 

1984: Berlinguer chiama
1993: Zingaretti non risponde

A proposito dell'Hobbit '93, di Rauti dei giovani rautiani


 

Chi è mai Nicola Zingaretti? Ecco come, con pochi ed efficaci termini, lo presenta su "la Repubblica" un giornalista molto bravo, Riccardo Luna, incaricato di seguire la vicenda dei quattro giorni di "Campo Hobbit '93" organizzati con notevole successo, a Roma, nei giardini di Castel Sant'Angelo dalla corrente del MSI che fa capo a Pino Rauti: «Nicola Zingaretti è un bel ragazzo, con i riccioli neri, le spalle larghe e negli occhi quel tanto di idealismo che a 27 anni serve a guidare la Sinistra giovanile, ex-Federazione dei giovani comunisti italiani, trampolino di lancio per decine di dirigenti di PCI e PDS».
Beato lui! È bello, ha 27 anni, vanta un fisico sportivo, lo attende una brillante carriera politica. Peccato che abbia detto un mucchio di sciocchezze e sia caduto in plateali contraddizioni rispondendo alle domande dello stesso Luna. Vediamo un po', procedendo fior da fiore.
Dichiara, anzitutto: «E va bene, lo ammetto, questi giovani fascisti che dilagano nelle borgate romane sono una sconfitta per noi, ma attenti a dire che la sinistra ha ormai perduto».
Qui torna acconcio chiedersi: Come si fa ad «ammettere» una «sconfitta» sostenendo, al tempo stesso, che non si è «perduto»? E poi, che diamine ci sta a fare nelle «borgate» l'organizzazione affidata alla sua leadership se si vede costretto a registrare il «dilagare» dei veri o presunti «giovani fascisti»? Spiace dirlo a un giovinotto di tante belle speranze, ma qui c'è materia per dimissioni o per commissariamento.
Proseguiamo: «Non credo che in democrazia ci sia spazio per chi è portatore di valori che vogliono negare la cultura degli altri».
Zingaretti deve stare più attento quando si esprime in sede responsabile. Se non si fosse distratto si sarebbe ben guardato, immaginiamo, dal definire «portatori di valori» i negatori violenti della «cultura degli altri». Ma veramente i giovani rautiani appartengono alla perfida e ruinosa schiera degli oppugnatori di altrui culture? Sembra proprio di no, stando, quanto meno, allo schema politico organizzativo su cui è stato costruito questo Hobbit '93. Infatti Riccardo Luna ha buon gioco nel far presente al giovin signore quanto segue: «Accomunare i nazional-popolari agli skin-heads, non è come mettere nello stesso calderone PCI, Autonomia operaia e le Brigate rosse?».
La risposta, incauta, dell'incautissimo Zingaretti è un vero e proprio autogol: «No, anch'io conosco la differenza, ma non dialogo né con i nazi-skin né con i neofascisti perché a entrambi riconosco un elemento di intolleranza».
Perfetto. Mentre addebita ai missini di rito rautiano il peccato di intolleranza egli viene in evidenza come veicolatore di una faziosità addirittura allucinante, come assertore del «delitto d'opinione», come demonizzatore del diverso, come sostenitore di una concezione «clericale», tridentina, inquisizionista dell'antifascismo. La faccenda è talmente brutta e insostenibile che il redattore de "la Repubblica" non può fare a meno di così replicare: «A Castel Sant'Angelo i giovani rautiani avevano invitato tutti, da Rifondazione alla DC, dalla Lega al PDS...».
E qui il segretario della Quercia-baby si salva in corner: «Chi fa questo poi sostiene e utilizza la peggiore destra romana, quella dei naziskin».
Ovviamente, neppure l'ombra di una prova, nemmeno la citazione di un episodio a sostegno di tale asseverazione. Il signor Zingaretti pretende di essere creduto sulla parola, anche quando spara panzane. Noi pensiamo che per liquidare un comportamento del genere bastino le parole dell'on. Gianni Mattioli, uno dei più autorevoli esponenti del Verdi: «Sono stupefatto: in questi giorni ho ricevuto molte sollecitazioni a declinare l'invito. Ma si tratta di una manifestazione alla quale partecipano dei giovani e trovo assurdo rifiutare il confronto... Non c'è possibilità di equivoco, ho un immacolato curriculum di antifascista e sono membro dell'organizzazione per l'amicizia Italia-Israele».
Dice, ancora, Zingaretti: «II fatto è che è in atto un grande scontro per l'egemonia culturale fra i giovani, ma mi pare che la città solo nove mesi fa abbia risposto al razzismo con una clamorosa manifestazione popolare».
È vero: il successo di quella manifestazione -fortunatamente non unica, e non soltanto a Roma- ci ha riempito di gioia. Però Pino Rauti con il razzismo non c'entra niente. Qualche anno fa ebbe a dichiarare, in una intervista a un quotidiano di sinistra -"il Manifesto", se ben ricordiamo-, che lui non era razzista. Che noi si sappia, non ha cambiato idea; come, del resto, si evince dall'invito rivolto a un esponente di «Italia-Israele» quale, appunto, l'on. Mattioli. Quanto, poi, allo «scontro per l'egemonia culturale fra i giovani» stia sicuro, il buon Nicola, che lo perderà se continua a percorrere una strada erroneamente imboccata -quella del settarismo e della persecuzione- dove solo fino ad un certo punto e, pare a noi, con notevoli oscillazioni e incertezze, è stato sostenuto da "l'Unità".
Del resto, lui stesso ha ammesso di essere in grave difficoltà nelle «borgate», per il «dilagare» dei veri o presunti giovani «fascisti», con i quali si ostina a non voler dialogare, così ignorando anzitutto le regole più elementari per il conseguimento della egemonia dettate da Gramsci e, quindi, le tradizioni del suo partito. Siamo, dunque, all'ennesima, devastante intrusione della cultura azionista -il moralismo d'assalto, emarginatorio, versione borghese della «tolleranza repressiva» di marcusiana memoria; l'antifascismo «come religione», con relativi santi e demoni ortodossi ed eretici, comunicati e scomunicati; la concezione del mondo, della storia, della vita, astrattamente innervata su di una dialettica coinvolgente fino alla consumazione dei secoli non borghesia e proletariato, comunismo e capitalismo, destra e sinistra, conservazione e progresso, moderatismo e rivoluzione, bensì fascismo e antifascismo- nella Sinistra, con ovvia frantumazione dell'analisi marxista.
Ma a questo punto il discorso va oltre Zingaretti per investire il gruppo dirigente del partito, il suo leader. All'on. Occhetto, quindi, chiederemmo se valeva davvero la pena di liquidare il vecchio PCI per fare del primo partito della sinistra lo sbiadito replicante di una cultura distrutta dal popolo italiano già all'albeggiare della ripresa democratica mediante inappellabili pollice verso nelle urne. Distrutta, però, solo nella incarnazione partitica. In realtà, essa ha continuato a vivere, in modo magari anche prestigioso, nei media; nonché nei partiti di governo e di opposizione, dei quali o era riuscito a impossessarsi o a costituirvi minoranze solide e influenti. Comunque, il segretario del PDS bene farebbe a riflettere su ciò che Togliatti diceva degli odiatissimi azionisti -non senza esagerazioni ed esasperazioni da deplorare, perché uomini e idee dell'azionismo impersonarono ed espressero anche valori assolutamente degni di essere esaltati e rivendicati-, di volta in volta trattati come agenti dell'Intelligence Service, longa manus degli americani, rappresentanti di interessi stranieri etc.
In odio al conte Sforza, Togliatti riuscì perfino a diventare amico del monarchico ed ex fascista Pietro Badoglio, allora presidente del Consiglio dei Ministri del Regno del Sud. Italo De Feo, stretto collaboratore e amico del leader comunista prima della rottura che lo portò ad avvicinarsi alla Socialdemocrazia e, personalmente, a Saragat, narra in "Tre anni con Togliatti", che nelle more delle riunioni di governo il suo capo rideva di gusto e di cuore quando, accennando a Sforza, il Maresciallo asseriva, ammiccando: «È pieno di vuoto».

* * *

Torniamo a Zingaretti. Egli dice: «Io sono il primo ad essere interessato a dialogare anche con un'area giovanile diffidente verso i valori della solidarietà».
Impeccabile. Ma allora cosa aspetta per aprire un confronto, un discorso, con i giovani rautiani, indiscutibilmente fra i più solidaristi non solo nel MSI ma in tutta l'area giovanile culturalmente e politicamente impegnata? Tenga presente che gli organizzatori dell'Hobbit '93 da anni confliggono dentro e fuori il partito per promuovere l'idea della socializzazione, ossia la redistribuzione solidaristica degli utili, del potere, della gestione all'interno della impresa e, più in generale, della economia. Zingaretti è ancora un uomo di sinistra o è già diventato un intellettuale azionista? Se, come nonostante tutto pensiamo, fa ancora parte della Sinistra, il dialogo con i vari esponenti e militanti di "Andare oltre" (questa la denominazione della corrente di Rauti) delle ultime generazioni dovrebbe interessarlo.
Come, del resto, a suo tempo ebbe ad interessare qualche suo illustre predecessore sulla poltrona di segretario giovanile. Facciamo riferimento a Enrico Berlinguer, il quale guarda caso, nel 1948 sollecitò Pino Rauti a un dibattito sulla RSI, la Resistenza, il destino politico delle masse giovanili fasciste reduci dall'esperienza di Salò. Il «faccia a faccia» ebbe luogo alla sezione Montesacro del PCI, ma non si riuscì a portarlo a termine. Infatti i vari Zingaretti dell'epoca, adeguatamente muniti di esplosivo psicologico azionista, fecero deflagrare l'iniziativa. Ci fu qualche incidente. Berlinguer si scusò e disse che bisognava riprovarci, magari preparando meglio le manifestazioni. Fu di parola. Anzi, applicando una linea che era stata di Togliatti fin dal 1937 -iniziata con il famoso-appello su "Stato Operaio" «Ai nostri fratelli in camicia nera»- fece dell'incontro ed anche della collaborazione con i giovani fascisti la politica ufficiale della FGCI.
A questo punto vorremmo scusarci con Nicola Zingaretti per il tono, qualche volta involontariamente aspro, con cui veniamo criticando le sue posizioni, che non fa parte del nostro stile. Ciò che ha messo a dura prova il nostro naturale fair play è la richiesta alla Questura di vietare l'Hobbit '93.
Chi, come noi, si riconosce nell'area culturale della sinistra libertaria, popolare, non violenta -non violenza che riguardi non solo le persone e le cose, ma anche le idee, le identità, le dottrine, le strutture atte a esternarle- può ben comprenderci. Amiamo quella parte creativa del Sessantotto che ci ha gratificati di apoftegmi memorandi: «Vietato vietare», «L'immaginazione al potere», «Contentatevi: chiedete l'impossibile», etc. Pertanto, invitiamo il leader dei giovani pidiessini a giammai sollecitare il divieto di qualunque cosa non espressiva di criminalità (se non altro per non farsi dire che la tendenza al liberticidio denuncia il persistere, in lui e nei suoi modi, di una inobliterabile vocazione al vetero-comunismo e al neo stalinismo); e a fondare una realtà di potere giovanile appunto sulla immaginazione (anche al fine di non farsi obbiettare che già dall'avvio della «svolta» della Bolognina il PCI-PDS, gira e rigira, non ha «immaginato» nulla, preferendo, evidentemente, affidarsi ai vecchi materiali intuitivi, culturali, psicologici di un azionismo appena appena riveduto, corretto, aggiornato).
Purtroppo, la Sinistra Giovanile non si è... vietato di vietare. La mattina precedente il giorno (inaugurale dell'Hobbit), suoi rappresentanti, unitamente a quelli di altre organizzazioni (però non di partito), hanno addirittura convocato una conferenza stampa per demonizzare la manifestazione di Castel Sant'Angelo, in quanto «raduno di movimenti neonazisti e neofascisti italiani». Ciò dopo avere ripetutamente chiesto alla Questura di revocare il permesso.
A sua volta il Signor Valerio Marchi, direttore dello "Osservatorio sulle culture giovanili" dell'ISPES, ha perso una eccellente occasione per tacere affermando che «esiste un collegamento fra i naziskin e i giovani dell'area della destra rivoluzionaria di Pino Rauti».
A questo punto ci punge vaghezza di sapere cosa diamine osserva dal suo «Osservatorio» il dott. Marchi. Anzitutto, l'on. Rauti non può essere il Number One di qualsivoglia area di destra. Perché? Per la contraddizione che noi consente. .. Egli, infatti, rifiuta polemicamente la qualifica di destra non solo per sé e per il gruppo, ma anche per il partito, secondo lui bisognoso di liberarsi veracemente e tempestivamente di questa targa e, soprattutto, dei contenuti conservatori che presuppone. Non si tratta di una mascherata demagogica: sul tema i rautiani hanno combattuto battaglie al calor bianco sia contro Almirante che contro Fini, soprattutto in quel congresso che innalzò, sia pur precariamente, il loro leader al soglio segretariale.
E la lotta contro l'identità di destra continua da posizioni nuovamente minoritarie. Rauti è un capo, un intellettuale che difficilmente demorde e ai climi duri c'è abituato. Stiamo dicendo la verità -secondo Marx l'unica «veramente rivoluzionaria»- e non difendendo un caratterizzatissimo uomo politico, che, del resto, della nostra difesa non sa cosa farsene.
Se, dunque, il leader di «Andare oltre» non è un destrorso, davvero non si comprende cosa possa farsene dei gruppuscoli della estrema destra, ossia dei nazi-skin. E, parimenti, costoro di lui.
C'è stato un periodo durante il quale la stampa di sinistra ha scoperto Pino Rauti. Dopo "il Manifesto", l'Unità, "la Repubblica", "L'Espresso", "Ragionamenti", "l'Avanti!" ed altri non gli hanno lesinato spazio per chiose, cronache, notizie, interviste. Ciò, inopinata conclusione di lustri di satanizzazione galoppante, di bombardamenti contro il... «bombardo nero» (cosiddetto). Come mai, allora, questo deja vu?
Perché questo voltafaccia, che, tutto sommato, favorisce solo Gianfranco Fini, consentendogli di presentarsi, con la sua "Alleanza Nazionale", con le connotazioni della destra perbenista, immune dalla contaminatio nazista e razzista? Non vorremmo che fosse nella vocazione della Sinistra fare, come suoi dirsi, «il gioco del re di Prussia» dopo quello del re di Russia. Ambedue, certamente, devastanti.

* * *

II giovane Zingaretti -che poi tanto giovane non è a 27 anni suonati- ha incassato una sconfitta che si sarebbe potuto tranquillamente risparmiare se fosse stato più prudente. Le Autorità della Repubblica -autorità molto meno autoritarie di lui, che avrebbe il dovere di venire in evidenza come un libertario- si sono ben guardate dall'accogliere la sua richiesta liberticida. Né, a ben vedere, la stampa del PDS gli è stata solidale nella misura che, immaginiamo, avrebbe desiderato. Su "l'Unità" abbiamo letto con piacere ottimi pezzi di Delia Vaccarello, ispirati a equilibrio, correttezza, buon senso. Da elogiare, dunque, insieme a quelli di Riccardo Luna de "la Repubblica".
Personalità politicamente insospettabili quali, ci limitiamo solo a qualche nome, gli on.li Mattioli, Pannella, Pivetti, Rippa, nonché giornalisti e intellettuali, hanno dato vita a dibattiti brillanti e seguitissimi. A loro volta gli assenti più o meno giustificati hanno ritenuto di dover esplicitare che trattavasi di disimpegno del tutto indipendente dalla loro volontà.
L'on. Lento, di "Rifondazione Comunista", intervistato subito dopo l'invito, dichiarava, fra l'altro: «Personalmente non avrei problemi... Comunque andrei a titolo personale... Penso che andrò. Io sono comunista e cattolico, e convinto di poter esporre le mie idee in qualunque posto senza contaminarmi». Ed ecco scattare il meccanismo repressivo del partito, di quel partito il cui ex segretario, l'on. Sergio Garavini, ci aveva espresso l'opinione -nel corso di una conversazione-intervista risalente alla scorsa primavera- della esigenza decisiva di mai sottrarsi al dialogo con quelli che noi ci ostiniamo a definire «i veri o presunti fascisti». Perché, aveva seguitato l'allora segretario, è nell'interesse della democrazia non escludere i fascisti dai vari circuiti della vita democratica, ma anzi coinvolgerli in essa nella maggior misura possibile.
L'on. Apuzzo, dei Verdi, motivava il ritiro dell'adesione con le seguenti parole: «Rinuncio per non accentuare attriti a sinistra scaturibili da un malinteso antifascismo». Però, con il dente avvelenato per aver dovuto autoreprimersi infliggendo un colpo duro ai diritti della sua libera decisionalità, si affrettava a soggiungere: «Intendo comunque precisare che fino a quando si avrà paura delle parole in nome di un malinteso antifascismo, si darà sempre più adito e spazio alla violenza. Infatti non sarei andato a chiacchierare fra tarallucci e vino con squadristi, naziskin e xenofobi incendiari. Ma avrei parlato a giovani che possono essere convinti».
Convinti relativamente a cosa? Alla libertà di espressione? Al libero esame? Al libero confronto con opinioni e dottrine da rispettare? Suvvia! È da un pezzo che i giovani rautiani sono -Hobbit o non Hobbit- di ciò profondamente persuasi.

 

Enrico Landolfi

Indice