«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 7 - 31 Ottobre 1993

 

i pensieri spettinati

Diario minimo

 

 

8 ottobre 1993, un giorno-dopo qualsiasi. Ed è un giorno di scialba ordinarietà, quello che si apre a noi lettori di giornali. I quali giornali, lo confesso, continuano ad «intrigarmi»: per la loro caleidoscopica capacità di scomporre, ricomporre e ricreare la «realtà», per la loro bravura nell'ingerire, nel triturare ogni sorta di eventi, di mescolare argomenti seri e fatui, di colorare le notizie, i fatti, i commenti...
Ma stamane, dallo sfoglio del solito "Corriere", la giornata appare particolarmente grigia e povera di avvenimenti. Complici, forse, l'incipiente autunno ed il panorama là fuori, oltre la vetrata, grigio-borghese come non mai.
Sicché, se è vero -come disse G. W. F. Hegel- che la lettura del quotidiano costituisce la preghiera mattutina dell'uomo laico, vorrei proporre una tantum di recitarla in comune. E recitando, commentare assieme alcuni passi delle scritture. Così, al di fuori d'ogni ritualità: tanto per tenerci compagnia.
Introibo.
Titolo di prima pagina, in fondo a sinistra: «II comune di Pesaro: guai a chi fa il furbo. Al bar in orario d'ufficio? E scattano le manette». Alla lieta novella se ne aggiunge un'altra: quella del licenziamento «per giusta causa» di un'impiegata sorpresa in ditta a fotocopiare fraudolentemente le pagine di una rivista di moda... Giusta la causa e giusto, giustissimo il principio. Lo stesso Segni, del resto, lo ha più volte detto e ribadito: occorre che le autorità riprendano «il diritto-dovere di licenziare i fannulloni», pubblici o privati che siano.
Rigore, invocano i duristi della Lega e Alberoni. Rigore, predicano il card. Martini e Alberoni. Rigore, rigore, reclamano i tifosi di calcio, l'Avvocato, il ragioniere Rossi e Alberoni... A destra e a manca, un inno si eleva solenne sulle note del Magnificat all'onestà, alla sobrietà, alla laboriosità. Crucifige, allora, ai disonesti, agli speculatori del cappuccino. Anatema per i profittatori e i ladri di fotocopie. Passiamo velocemente ad altro, che il tempo è denaro.
La chiamano partita delle privatizzazioni e -in quanto a denaro- è con il nostro che la stanno giocando. Oggi, per esempio, è giorno d'addio per Cirio, De Rica, Bertolli: l'IRI le ha «dismesse» a favore di una finanziaria, la Fi.Svi., che con soli 310 miliardi s'è portata via i pelati di Stato, l'extra-vergine pubblico e l'orto di casa. Non leggo però, a commento e spiegazione dell'affare, una sola riga che ricordi come quelle tre imprese fossero parte dei gioielli di famiglia, dato che l'Istituto proprietario e venditore è stato costruito con il lavoro ed il risparmio di generazioni di italiani. E se Lorsignori -i padroni dell'azienda Italia- ora litigano, l'un contro l'altro armati, sui tempi e metodi delle privatizzazioni (e fanno perciò schierare sul campo: Lega, missini, repubblicani - Savona, da una parte, e Prodi più centro-sinistra, dall'altra) è perché «Loro», sulle bancarelle di Stato, troveranno l'IMI con il suo utile netto '92 di 443 miliardi e/o la Comit con il suo patrimonio consolidato di 5400 miliardi... e troveranno pure il Nuovo (e sano) Pignone; troveranno il Credito Italiano, chiave di volta del «nostro» sistema bancario; eppoi, il colosso Stet, quello che ha chiuso lo scorso anno con un fatturato di oltre 27000 miliardi ed un attivo di ben 1420, e che ha però numerosi ed «esuberanti» dipendenti: 138mila... Eccedenza, esuberanza, quisquiglie e bagattelle...
Ma poi, non c'è nessuno -qui sull'autorevole "Corsera"- che voglia spiegarci il perché di tutto quest'agitarsi, proclamarsi, estasiarsi da parte di economisti, politici, sociologi, opinionisti, ecc. attorno alla ara sacra delle «privatizzazioni»?! Appena, appena Mirko Tremaglia & Carletto Tassi, potrebbero, nei momenti di massima lucidità, credere davvero che tutto questo affanno ci sia per il «doveroso risanamento» dell'economia nazionale, o che -mutatis mutandis- si tratti di immettere sul libero mercato le aziende oramai non competitive, o «decotte», come si usa dire...!
Vecchio e nuovo -uniti- ci stanno, è vero, derubando; ma avessero almeno la compiacenza di non farci passare, tutti, per decotti!!?
Sempre in prima pagina del sempre autorevole "Corsera" compare, l'8 ottobre 1993, l'ennesima puntata della telenovela «Minimum tax». Intitola il «fondista» G. Tremonti: «La guerra continua». E di guerra in effetti si tratta fra due schieramenti contrapposti: le brigate artigiane e commerciali, appoggiate strategicamente dai libero-professionisti, e l'esercito regolare e sindacale Cgil-Cisl-Uil con -alle spalle- un'opinione pubblica in genere convinta di aver individuato «il nemico» suo e delle tasse, e perciò reclama a gran voce l'equità contributiva. Soccorrono, in quest'opera di giustizia (fiscale) sommaria, le statistiche ufficiali, quelle delle denunce per categorie. La vox populi accusa l'economia sommersa ed evasora di salumai e piastrellisti, e cita casi di indebiti arricchimenti, di idraulici favolosamente multiproprietari, di avvocati di grido fiscalmente afoni... leggende metropolitane?
Chissà. Certo è che l'evasione statisticamente esiste, in quei settori d'arte e mestieri, anche «a prescindere» dalle attenuanti spesso invocate quali: burocrazia inefficiente, tributi eccessivi, pizzi legali ed illegali, difficoltà di accesso al credito... c'è e non è solo «presuntiva», l'evasione. Così come non mancano gli evasori fra gli stessi lavoratori dipendenti, magari fra quelli che non s'accontentano del loro bravo milione-e-mezzo al mese e si danno da fare con seconde, illecite attività.
Colpevoli costoro, al pari del «disonesto commerciante» che -in barba agli accertamenti- s'arrangia a non pagare tutto il dovuto, per non dovere (dice lui) cessare l'attività. Ma son poi queste, queste forme in «nero», a penalizzare gli introiti fiscali, o piuttosto non ci troviamo -tutti noi, cittadini qualsiasi- ad essere creditori nei confronti ad esempio di quelle società di capitale intestatane di ville e yachts?
Ed invece di alimentare artatamente la guerra fra (più o meno) poveri -a colpi di cifre e statistiche (non sempre attendibili, e comunque da interpretare)- non sarebbe meglio far sapere coram populo quanto ci costa in tasse e contribuzioni la grande industria privata e assistita? E le rendite parassitarie del sistema bancario? O anche, quanto ci costa in termini di occupazione il sistema dei mega e ipermercati, che sta falcidiando laboratori artigiani ed esercizi commerciali (: 150mila, solo lo scorso anno)?
Basta, ora, occuparci di problemi locali: un po' di politica estera s'impone. Dunque, Eltsin -spenti gli ultimi fuochi della rivolta- scioglie la corte costituzionale russa, mette fuori legge partiti, associazioni, enti, organismi a lui sfavorevoli, e impone la censura. Però, ha fatto sapere, tra due mesi -il 12 dicembre- si terranno regolarmente libere elezioni.
Eh sì, gran bella cosa la democrazia! Basta che non accada in Russia come in Algeria, dove han dovuto annullarle, le elezioni, perché le stavano vincendo gli altri. Una macchia, nella veste immacolata della Democrazia e, con discrezione, questa e quella volta l'Occidente ha taciuto. Così come ha signorilmente taciuto -e gioito- per la rielezione d'Egitto, di Mubarak, con una percentuale (novantanove-virgola-qualcosa) che ricorda nostalgicamente la Bulgaria dei bei tempi andati.
Chi sembra resistere imperturbabile ai tempi nuovi è il Continente Cina. Il quale, a dire il vero, sta resistendo solo a metà, per la parte più propriamente politica. Riguardo invece l'altra metà, sta facendo mirabilmente tutto il possibile per allinearsi rapidamente. Sentite questa: a Pechino -si legge- è stato demolito lo Ji Xiang, un teatro-simbolo della cultura cinese. Al posto suo sorgerà un grande centro commerciale finanziato con capitali USA e di Hong Kong. Nella nuova cultura capitalistico-comunista non c'è posto per i rimpianti del passato. Così sul teatro Ji Xiang è calato per sempre il sipario.
Costruito in via del Pesce rosso da un eunuco della corte del Celeste Impero, esso è stato per decenni testimone di una Cina «arretrata», povera e dignitosa. «Pure i ricordi tristi -fa dire ad un "nostalgico" l'autore dell'articolo- hanno valore. La povertà scompariva, appena gong e cembali annunciavano l'inizio dello spettacolo, e noi eravamo proiettati in un mondo sfarzoso di principesse, guerrieri, mandarini, esseri soprannaturali. Sulla scena prendevano forma le leggende più belle della nostra storia e della nostra letteratura, i miti che ci legano al passato...».
Ma per la civiltà della Coca cola e Hamburger un vecchio, obsoleto teatro con i suoi sogni non vale certo il prezzo del terreno su cui sorge(va), quando questo di trova(va) all'angolo di via Wang-fujing, una strada tra le più lussuose della capitale...
Voltiamo pagina, e torniamo a casa nostra per interessarci di cose più futili. Tipo «foglio rosa», che il presidente dell'ACI vorrebbe conseguibile a 16 anni. «Fa discutere la proposta. La Federcasalinghe favorevole, divisi i ragazzi» sovratitola a pag. 17 l'«Autorevole» (nel mentre "la Repubblica", meno sensibile alle sorti della Punto Fiat, ne parla come di «Una folle proposta»).
Anche qui due schieramenti, anche qui sindrome da bipolarismo. Sentiamo comunque gli argomenti e dell'uno e dell'altro, come si conviene in democrazia. «I ragazzi di quell'età già guidano vesponi e moto. Sono svegli. Facciamo una prova, poi si vedrà» (della serie: soddisfatti o rimborsati - N.d.R.) «La patente o il foglio rosa sono un'opportunità, un'occasione di maturazione» «Siamo favorevoli all'abbassamento di età: i diritti dei cittadini debbono affermarsi a scuola come nella società» Queste, in sintesi, le ragioni «ideologiche» dei fautori del sì.
Sull'altro fronte, quello dell'Ingegnere, si schierano invece i «Genitori Democratici» i quali, pur temendo «di passare per bacchettoni», non sono del tutto convinti della proposta ACI «Meglio una legge che renda obbligatoria sin dalle elementari l'educazione stradale. Poi si vedrà» (della serie: canta che ti passa - N.d.R.). Ci sono poi quelle pallosissime mamme anti-rock che, al solito, prospettano apocalittici incrementi di stragi del sabato sera. Infine, buon ultimo, il ministro Costa che, dopo aver tergiversato un bel po', si decide a dirsi contrario perché «ci sono troppi incidenti per consentire, al momento, un abbassamento di alcuno degli standard di sicurezza».
Noi, alla faccia degli audaci Agnelli e dei prudenti democratici, alla faccia dei loro leccaculo giornalistico-motorizzati, ricordiamo alcuni dati: 1989: in Italia si sono registrati 160.828 incidenti stradali con 8.794 morti e 216.239 feriti. 1992: gli incidenti sono stati 170.814, i morti 9.450, i feriti 241.094.
Ma perché poi affliggerci con tutte quelle cifre, quei noiosi numeri ed uggiose statistiche? Allegria, allegria! Distendiamoci davanti a pag. 36, quella dei programmi TV (di stasera), venerdì 8 ottobre 1993.
Popolo d'Italia, accorri al telecomando! Sul «primo», partita (anche di venerdì? Anche di venerdì: un'amichevole per beneficenza della «nazionale over 35»). Non va meglio sul «secondo»: un varietà condotto da Giancarlo Magalli: penoso. Il Terzo canale poi, quello intelligente, propone per le 20,30 l'ennesimo poliziesco americano; meglio lasciar perdere: visto uno, visti tutti. Proviamo allora con le proposte delle «private».
Vediamo un po' cosa ci ammanniscono stasera, fra uno spot e l'altro. Varietà, con Jerry Scotti (Canale 5), Telenovelas (Retequattro e Rete A), ancora varietà (Tmc), un paio di films d'avventura (americani) su altrettante reti...
Ho ben capito: stasera a letto dopo «Carosello». E visto che Carosello non c'è più da un pezzo, affrettiamoci. A leggere magari "Pensieri spettinati" di Stanislaw J. Lee. E così chiudere in bellezza una giornata mediocre, distillando dall'autore polacco alcuni aforismi, che vorrei dedicare personalmente ad alcuni amici, noti e meno noti, di "Tabularasa". Gli esclusi non se ne abbiano troppo a male.
Ad Antonio: «Si può cambiare la fede senza cambiare Dio. E viceversa». A Gianni: «C'è gente profondamente credente, aspetta solo una religione». A Fefé e Bebé: «Anche le livree sono fatte in serie e su misura». A Umberto: «È molto facile smarrirsi in un bosco tagliato». A me medesimo: «C'è chi non distingue l'onanismo dalla fedeltà a sé stesso».
Ai lettori di "Tabularasa": «I sogni dipendono anche dalla posizione dei dormienti».
Buona notte.

 

Alberto Ostidich

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