«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 8 - 31 Dicembre 1993

 

Quell'Occhetto è proprio un gran bischero


 

Achille Occhetto, va detto con estrema sincerità, suscita periodicamente e alternativamente una serie di sensazioni. Tutte negative e fastidiose. Spesso appare patetico, soprattutto allorché continua a negare il coinvolgimento del PDS, ex-PCI, nel vortice di Tangentopoli. Quando invece non è più un mistero per nessuno il doppio grado di corruzione del PCI-PDS. Esso infatti partecipava in pieno alla corruzione strutturale del vecchio regime e, al tempo stesso, perseguiva proprie particolari forme di corruzione.
Alcuni esempi? I fondi neri delle cooperative rosse, le tangenti sui commerci italo-sovietici, le sovvenzioni segrete che provenivano da Mosca. E altro ancora.
Sempre più spesso risulta financo ridicolo quando vorrebbe troncare qualsiasi discorso inerente il passato remoto e prossimo con la lapidaria affermazione che recita pressappoco così: «Ma questi sono fatti e vicende che riguardano il PCI. Noi oggi siamo una cosa diversa». Come se considerasse gli italiani un popolo di imbecilli. Ma su questo potremmo dargli anche una parte di ragione visto che qualche milione di gonzi, per un verso o per l'altro, gli da tuttora credito. Ma a proposito del momentaneo non coinvolgimento del PDS nella bufera tangentizia vi è una considerazione da fare. Importante e dalla quale non si può prescindere. Il PDS, ex-PCI, è rimasto l'ultimo partito del vecchio e famigerato CLN a non essere chiamato direttamente in causa. Uno dopo l'altro sono caduti DC, PSI, PRI, PLI, PSDI.
Il PDS resta, quindi, l'estremo baluardo del vecchio e corrotto sistema. La sua caduta segnerebbe la fine totale di quel regime partitocratico che nacque cinquanta anni orsono quale emanazione della resistenza. Questa è stata sino ad oggi la «fortuna» di Occhetto. Un PDS apparentemente pulito per ora serve. Fa comodo un po' a tutti. Beninteso, a tutti coloro che non vogliono il cambiamento. Dagli industriali fino agli USA. Ecco come si spiegano le benedizioni venute di recente un po' da ogni parte. Benedizioni laiche e benedizioni cattoliche.
Ma torniamo al nostro. Talvolta raggiunge la più spudorata arroganza quando si fa paladino del nuovo, offrendosi come il riformatore per eccellenza. Come se tutti ci fossimo dimenticati, non tanto la sua ultradecennale appartenenza ad un partito filo-sovietico, stalinista e propugnatore del socialismo reale, quanto il ruolo che l'ex-PCI ha avuto nel nostro Paese quale puntello e difensore ad oltranza dell'attuale sistema corrotto e corruttore. In questi ultimi cinquanta anni sono esistiti in Italia due partiti conservatori per eccellenza, il PCI e la DC. A loro va imputata la enorme responsabilità di averci condotto nella drammatica e al tempo stesso grottesca situazione in cui ci troviamo. Non va dimenticato il reiterato tentativo, di berlingueriana memoria, di arrivare al famigerato «compromesso storico».
Per quasi cinquanta anni in Italia ha dominato la logica del bipolarismo imperfetto. Non è mai esistita una opposizione, essendo sempre stato il PCI partito del sistema e nel sistema. Proprio DC e PCI hanno volutamente e ostinatamente impedito la oggi tanto declamata alternanza.
E così si arriva all'Occhetto bugiardo che ci racconta la favola del suo disprezzo verso la DC e quel sistema consociativo da essa instaurato e per decenni perseguito. Mai da sola, sempre in folta ed ottima compagnia. Nel consociativismo il PCI-PDS ha sempre sguazzato, traendone tutti i vantaggi possibili. Politici ed economici. A livello centrale e periferico. Fanno testo le decine e decine tra sindaci, assessori e funzionari del partito della quercia con avvisi di garanzia o in custodia cautelare perché coinvolti in storie di mazzette e di appalti poco chiari.
Ma Occhetto candidamente e spudoratamente ci ammonisce che si tratta soltanto di casi isolati. Così continua imperterrito a predicare il cambiamento e il nuovo. E si arriva all'ultima trovata occhettiana.
Di recente, dopo aver richiesto le elezioni anticipate, ha affermato che immediatamente dopo il voto occorrerà ricostituire una sorta di CLN. E qui casca l'asino. Lo sprovveduto, impavido e «fortunato» Achille ripropone, dopo cinquanta anni, quella specie di ibrida e maldestra ammucchiata, chiamata appunto CLN, che segnò l'inizio della pratica lottizzatrice nel nostro Paese.
Tutto, è la storia che lo ricorda, iniziò nel maggio del 1945 a Torino. In quella città i partiti del CLN dettero vita al sistema partitocratico. Il sindaco toccò ai comunisti, il prefetto ai socialisti, il questore a quelli del partito d'azione, il capo della provincia ai democristiani.
Suddetta logica caratterizzerà tutta la storia politica della repubblica nata dalla resistenza. Si divideranno tutto, dalla nettezza urbana alla RAI-TV. Fino ad arrivare al deprimente spettacolo dei giorni nostri. Allora si divisero equamente e accuratamente le cariche, in seguito appalti e mazzette. Da quel maggio del 1945 inizia la effettiva spartizione del potere politico ed economico tra i partiti del cosiddetto arco costituzionale.
Ma Occhetto, sprovveduto quanto in malafede, predica il nuovo e al tempo stesso rispolvera il vecchio. Ed arriva persino a riproporre il consunto «mito» della resistenza. Un «mito» nel quale oramai fa finta di credere soltanto lui e quei gonzi o furbastri che ancora lo seguono e lo sostengono. I primi, i gonzi, per ignoranza; i secondi, i furbastri, per interesse e privilegi acquisiti. Non va mai dimenticato che, all'indomani del 1945, al PCI vennero lasciate consistenti quote della amministrazione dello stato, il controllo incondizionato di molte amministrazioni locali. Così come fu consentito al PCI di creare, attraverso la lega delle cooperative, una sorta di multinazionale nella quale centinaia di migliaia di soggetti si sono arricchiti ed ingrassati a dismisura.
Ma torniamo per un attimo alla resistenza che il segretario della quercia invoca e rispolvera ad ogni pie' sospinto. È emblematico quanto di recente ha dichiarato la sempre tanto osannata Oriana Fallaci, immune da ogni tentazione nostalgica: «Si dimentica troppo spesso che la grande maggioranza degli italiani aderì con convinzione al fascismo, mentre alla resistenza parteciparono in pochi. Nel caso migliore i più stavano alla finestra e solo quando il re liquidò Mussolini si adeguarono e gridarono "Abbasso il duce". Chi dice il contrario, mente. Oppure è male informato, o illuso».
Dunque, stando a quanto dice la credibile scrittrice, Occhetto è bugiardo, ignorante ed illuso. Come volevasi dimostrare.
Ma al di là di tutti gli epiteti ed aggettivi che abbiamo scomodato e che potremmo ancora scomodare, Occhetto è, e resta, un gran bischero.
Ecco perché in questa Italia addormentata, rincoglionita, confusa e rassegnata c'è ancora spazio per lui. Come per altri. Ogni riferimento ad Oscar Luigi Scalfaro non è puramente casuale.

 

Gianni Benvenuti

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