Destra? Sinistra? O
Federalismo?
Il grande equivoco è terminato.
Ogni cosa torna al suo posto. La grande kermesse televisiva dei giorni scorsi
lascia spazio alle analisi e non c'è bisogno di essere politologi per leggere
quello che è accaduto e che sta accadendo sotto i nostri occhi. Per quanto i
protagonisti di questo ben squallido spettacolo di fine epoca si sforzino di
gettare fumo negli occhi, tutti hanno ormai capito che la partita -salvo una
sola eccezione, della quale diremo più avanti- si sta giocando tra i
sopravvissuti del vecchio sistema consociativo, alle estreme periferie di un
impero che continua ad inseguire improbabili restaurazioni. Destra-sinistra;
fascismo-antifascismo; conservazione e progresso: tutti contro qualcuno o
qualcosa e nessuno che sia per. Tutti egualmente protesi a salvare il salvabile.
Eppure, basta andare al di là delle etichette e delle fittizie polarità per
rendersi conto della sconcertante omologazione. Chi potrebbe, infatti, indicare
una sola differenza essenziale tra la cosiddetta sinistra e la destra che verrà?
Privatizzazioni? Le vogliono tutti. Assistenzialismo? Neppure a parlarne. Stato
sociale? Certo che va difeso e tutelato. Libero mercato? Ne son tutti paladini e
profeti. Unità nazionale? Guai a metterla in discussione. L'Europa? È la casa
comune. L'Occidente? Dove fa rotta la storia. L'America di Clinton? Il paradiso
terrestre.
Già, tutti diversi e tutti uguali, da Cossutta a Occhetto a Fini, dal Presidente
della Repubblica all'ultimo portaborse del più decadente palazzo. Niente di
nuovo. È così dappertutto, nelle moderne democrazie, dove ci si divide in belli
e brutti, alti e bassi, grassi e magri, bianchi e neri, magari anche in ricchi e
poveri, ma dove nessuno può dividersi rispetto alle regole del gioco che devono
essere comunemente ed universalmente accettate. Sicché, transitando il potere ed
i governi dai belli ai brutti, o dai bassi agli alti, tutto possa restare come
prima. Certo, per realizzare questo grande miracolo, on. Fini, non era
necessario umiliare i morti, profanare i Templi, calpestare memoria e dignità,
rimarcare abiure e tradimenti, mortificare la Storia. Tant'è! Almeno son finite
le mistificazioni. E si lascia ad altri il compito -se ne avranno voglia e
capacità- di difendere princìpi e valori nei quali si può credere ancora a patto
di liberarli dalla forma, dagli orpelli inutili, da tutto ciò che del fascismo
non è difendibile e che, anzi, va decisamente e definitivamente contestato.
Questo era il senso della nostra sfida, nel luglio 1991, quando chiedevamo la
fondazione ex-novo di un Movimento che doveva salvare la sostanza e con essa
lanciare un messaggio di grande apertura a tutti gli Italiani. Allora si preferì
salvare la forma per una manciata di voti ed oggi, per lo stesso piatto di
lenticchie, ci si mette sotto i piedi forma e sostanza, ovvero un patrimonio
ideale del quale la dirigenza dell'ormai ex MSI-DN ha dimostrato di essere
davvero indegna. Amen.
Della sinistra non vai la pena neppure di scrivere. C'è dentro tutto ed il
contrario di tutto. Sono le controfigure di sé stessi. Detriti della storia. I
nostalgici dell'Impero perduto: non quello sovietico e comunista, ma quello
partitocratico e nostrano. I difensori di privilegi acquisiti durante una lunga
pratica consociativa. Statalisti, centralisti, assistenzialisti, per molti versi
stalinisti ancora e tuttavia depositari di verità dogmatiche, paladini della
democrazia per definizione, antifascisti per vocazione, liberali per tentazione,
innovatori, riformisti, culturalmente illuminati ed illuminanti,
intellettualmente superdotati: ergo, progressisti. Tra qualche settimana
provvederanno ad allestire roghi per bruciarvi tutto ciò che oserà sfidare la
loro sensibilità ipernormale. Maghi e streghe sono avvisati.
Quanti sogni e deliri di grandezza han partorito i ballottaggi e quanta poca
traccia rimarrà nelle settimane prossime venture! Chi rifiuta di interrogarsi
per tempo su ciò che accade e non ha il coraggio di osare, non costruisce
Politica. E, quasi sempre, viene trascinato a valle dalla corrente del fiume in
piena. Gloria e consenso, in questi casi, durano lo spazio di un mattino.
Ma torniamo all'eccezione cui accennavamo. Essa ha un nome ed un cognome:
Umberto Bossi. E riuscito ad uscire alla grande da una situazione di
accerchiamento e difficoltà, ha rilanciato la provocazione delle tre repubbliche
per affermare subito dopo che l'unità della nazione non si discute; che ciò che
è in discussione è l'organizzazione dello Stato e che la seconda repubblica
dovrà essere federalista. Si può dire tutto di Bossi e della Lega, ma alla luce
di quello che sta accadendo non può essere messa in discussione la portata
antisistema del Movimento e la capacità del suo leader di avere le idee chiare
circa la differenza fra tattica e strategia. Ciò vale, ovviamente, nella scelta
di campo e dei potenziali alleati. Avevamo accennato, nel corso di un recente
incontro tenuto in Versilia, di come si andava delineando una vasta e
maggioritaria aggregazione di forze che comprendeva la stessa Lega, Berlusconi
con i suoi clubs, i Popolari di Segni. Credo che su questo versante ci possano
essere spazi di dibattito e di confronto non preclusivi rispetto alle molte ed
essenziali questioni che ci differenziano ed identificano. Parlo al plurale,
perché questa analisi appartiene alla linea politica dei Movimenti federalisti
meridionali che si riconoscono nelle posizioni di Calabria Libera e che hanno
elaborato, nei giorni scorsi, a Lamezia Terme.
Federalismo: ecco il problema. Un argomento che, in alcuni ambienti che ci sono
stati e ci sono vicini, assume spesso i contorni e la pesantezza del
pregiudizio. Secondo noi, sarà proprio, il federalismo -che non mette affatto in
discussione il principio-valore della Nazione, ed anzi lo rafforza!- il
grimaldello che permetterà di abbattere definitivamente ciò che resta dello
Stato partitocratico e consociativo, che rimetterà in discussione equilibri e
rapporti di forza, interni e fors'anche internazionali; che consentirà di
riproporre -in termini finalmente attuali- una visione culturale e politica
autenticamente antagonista. Sarà il federalismo che ci consentirà di ridare voce
e forza alle memorie, alle culture, alle tradizioni, alle identità, alle tante
differenze per farle tornare ad essere solidali e partecipi di un medesimo
destino. Sarà il federalismo che ci consentirà di guardare magari ancora
all'Europa, senza tuttavia negarci al Mediterraneo, al dialogo con Popoli e
Comunità eredi e custodi di civiltà millenarie. Non possiamo qui anticipare
quanto sarà oggetto di una grande manifestazione, già programmata ed in
gestazione, che terremo in Calabria agli inizi del nuovo anno. Ci premeva in
questa sede comunicare, ai tanti amici di "Tabularasa" che, nei prossimi mesi,
non ci negheremo ad eventuali alleanze tattiche con quanti giudichiamo i meno
incompatibili con il nostro patrimonio ideale e culturale e con le nostre
elaborazioni programmatiche.
Si dirà: ed il liberismo? Dove lo mettiamo il liberismo esasperato della Lega e
di Berlusconi?
Da parte. Per il momento, semplicemente da parte. Dobbiamo sconfiggere adesso un
comune nemico e bisognerà che ciascuno ci metta il suo, nel rispetto delle
diversità e differenze. Del resto, dov'è scritto che non si possono coniugare le
esigenze del mercato e quelle della solidarietà? Che non si possa difendere la
centralità dell'Uomo, della vita e della natura, senza rifiutarsi di discutere
di economia, sviluppo, modernizzazione? Non è scritto da nessuna parte. Anzi,
possiamo cercare nelle nostre biblioteche fiumi di inchiostro e fior di cervelli
che sostengono l'esatto contrario! Il nemico principale è oggi questo Stato
centralista e coloniale, costruito sul consociativismo epperciò difeso -in egual
misur- da quanti ripropongono dualismi fittizi tra destra-sinistra;
progressisti-conservatori e quant'altro.
Per sconfiggerlo -pur essendo consapevoli di non essere né geometri, né
ingegneri- non vediamo altra strada, concreta e percorribile, che quella
federalista. Su quello che bisognerà fare dopo, quando questa prima partita sarà
chiusa, abbiamo le idee sufficientemente chiare. E non da ora.
Beniamino
Donnici
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