«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 8 - 31 Dicembre 1993

 

Il tempo degli uomini


 

Forse un giorno, quando i nostri i padri, che vissero in prima persona le lacerazioni d'un'epoca, avranno mescolato la poltiglia delle loro carni all'organicità della terra; i loro figli, che si fecero carico del patrimonio di sangue e lacrime, avranno bagnato le loro ossa dell'umidità della terra; i loro nipoti, frastornati dal rumore d'una civiltà incivile, che percepirono ovattata l'eco di quelle battaglie di due generazioni, avranno concimato con la dissoluzione della carne le zolle; solo allora correrà la leggenda del Tempo degli Uomini. E, forse, la narreranno così.

* * *
Bagliori di battaglie e sangue che colava, fuor degli ambiti d'una terra, in cui s'era fatta l'unità geografica e persisteva la divisione delle anime. Non un popolo uno ma tante genti, afflitte da miserie di corpo e anima.
Un pugno d'uomini, di cuore e volontà, anelava trasformazione, di tante genti in un popolo uno. Un nemico, serviva. Che fosse uno: non importava qual volto avesse, qual guidone alzasse. Purché lo levasse, per sparargli contro. E riceverne fuoco, ferro che lacerasse le carni, che amputasse i corpi. Il sangue, colato dalle ferite di un Nord conquistatore e di un Sud conquistato, avrebbe fatto cemento fra le anime.
Guerra come igiene dei popoli, guerra come madre di prodi e matrigna di codardi. Guerra: logo orrido per i panciotti rigonfi di epa, adornati dalle catene d'un fulvo metallo che da ricchezza ai corpi e miseria alle anime. Guerra, parola orripilante per le giacchette rammendate d'un quarto stato rassegnato e avvizzito dai sofismi egualitari d'un'utopia irrealizzabile.
E guerra fu. La Prima. Guerra, onomatopea degli Uomini. Che un tal Misiano non potè incarnare. Misiano, involucro di codardia. Come Maramaldo lo fu di vigliaccheria.
Dopo la Guerra, in cui il Sud fu il Nord e il Nord il Sud e le genti divennero popolo, si tentò la rivincita. Sputi sui petti ricolmi di azzurro, randellate sui gropponi ammantati di rosso. S'accettò la rivincita in nome della rivoluzione. Scorse ancora il sangue di un popolo, le cui fazioni si batterono per nazionalità e internazionalità. Peppino Di Vittorio e Peppino Caradonna. Fratelli sul Piave, coltelli sull'Ofanto. O Roma o Mosca.
E fu Roma. La Roma di prìncipi, duchi, baroni, nobili. Ma anche di fiaccherai, ciabattini, legnaiuoli. Città degli Uomini. Uomini che fondarono città, che costruirono una Nazione, che edificarono uno Stato e gli diedero un Codice. Uomini che valorizzarono i valori. Uomini che parlarono di dignità come diritto dell'uomo. Uomini che parlarono del dovere della libertà. Mentre la dignità piano piano si scioglieva nel giulebbe della esteriorità formale. Era il Regime degli uomini. Ogni tanto saltavano fuori gli Uomini. Durante le guerre. Gli Uomini delle Mesetas, gli Uomini delle Ambe. Gli Uomini delle Ambe e delle Mesetas, dove si tagliavano le catene della schiavitù per restituire agli esseri soggetti la dignità di Uomini. Mentre gli ominidi, chiusi nel risentimento di cuori freddi, trescavano con il nemico, del quale erano graditi ospiti. Eredi di Maramaldo, consanguinei di Misiano.
E tuonò il cannone della nuova guerra. Guerra del sangue contro l'oro. La dissero, gli ominidi, impopolare come se esistesse popolarità di guerra. Ma il tarlo dell'esteriorità aveva corroso con l'ossido della retorica l'idea guerriera. All'apice delle schiere, che combattevano alla maniera degli Uomini, burocrati a cavallo. Eppure gli Uomini non disertarono, offrirono il petto. Nelle sabbie infuocate del Nord Africa, nelle steppe gelate della Russia, sugli altipiani fangosi della Grecia, sopra e sotto i mari, nell'immensità dei cieli si battè e cadde una generazione di Uomini.
Il valore del Dovere. Mentre i burocrati a cavallo trescavano con il nemico. Con il quale, sotto una tenda, alzata al riparo d'un ceppo di fichi d'India, di fronte all'azzurro del mare che cessava d'essere nostrum, si contrattò il mercimonio d'un popolo lacero ma ancora in armi. Il Tempo degli Uomini in agonia.
Ma ci fu un guizzo. E le bandiere furono nuovamente alzate mentre al Sud maceravano nel fango schizzato dagli alleati e al Nord altri alleati tentavano lo strappo dal culmine dei pennoni. L'Uomo che aveva pensato per tutti, l'Uomo che aveva voluto un solo pensiero ossidato dalla retorica, ripensò e rivide l'errore del passato. Ritornò all'origine, a rimeditare il lavoro non mercé di scambio. Riapparvero i valori. Riecheggiava la rivoluzione. La socialità e la socializzazione, la dignità del lavoro, la parità col capitale mentre i rimasugli di quel popolo tornato grumo di genti si scannava sulla propria terra, calpestata e invasa a nord e a sud da orde straniere.
L'ultima covata di Uomini corse. Mugugnando e maledicendo. Bestemmiando ma cantando. Il valore della giovinezza. Erano gli ultimi rampolli disperati, i figli dei padri arditi de "la Disperata". Il valore della speranza. Seicento giorni di lotta, seicento giorni di sangue nella convinzione d'una impossibile vittoria, nella certezza di testimoniare l'essenza di Uomini. A lasciare ai posteri il messaggio che si può cadere, purché in piedi. Il valore della dignità. Il valore della responsabilità, che sgorgava sui pianciti delle piazze dalle vene recise dei corpi capovolti e uncinati. Il valore del sacrificio che rende immortali. Il valore degli Uomini. E il loro penultimo respiro.

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Bandiere ammainate, bandiere lordate, bandiere calpestate. Poi, l'ultimo guizzo. I superstiti, passati attraverso la bufera della storia, si ritrovarono. Per vincere? A cercar la rivincita? No, per mantenere alto il festone della dignità. Il valore del Tempo degli Uomini. Quarantanni di battaglie, in cui Uomini e uomini si mescolavano. L'anima perdeva la sua lucidità, avvisaglie della fine incipiente. Fini nebulosi. Per quarant'anni, finché i «fini» si chiarirono. È il rantolo della morte.
Il Tempo degli Uomini esalò l'ultimo respiro. Era novembre, alla fine del Mese dei Morti. Morti che camminano, burocrati senza cavalli, cavalieri in ginocchio. Corpi morti, senza alcun valore. Nulla rimane. Tutto si scompone, si decompone, si spappola, si annienta. Solo il vento, frusciando fra le canne e gli sterpeti, reca a tratti le note lontane d'un cantico. Il Mito degli Uomini. Il valore dell'immortalità. Forse, un giorno, narreranno così la leggenda del Tempo degli Uomini.
 

Vito Errico

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