«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 8 - 31 Dicembre 1993

 

Bipolarismo: spiacevole equivoco
 

Nonostante il totale disorientamento che caratterizza questa fase di transizione, credo che su di una cosa tutti siano d'accordo: lo sbriciolamento del cosiddetto «centro» politico, spazzato via dagli scandali e dal malgoverno. Ciò è incontestabile, anche se da più parti si tenta maldestramente di ricostituire un potere fondato sull'omertà e sulla corruzione. Nessun mezzo è rimasto intentato: dal puro e semplice cambiamento di nome alle bombe, dalle alleanze più fantasiose allo sciacallaggio senza esclusione di colpi. Tutto è buono per mantenere il Potere, unica ragione di vita; pertanto, perché non rientrare dalla finestra, dopo che si è stati cacciati dalla porta?
In tale stato di cose, c'è chi ha ancora interesse a far credere, soprattutto dopo le recenti amministrative, all'avvento di un bifrontismo chiuso, duro e irriducibile, che prefigura l'ingovernabilità o che spinge a precise scelte di campo. In realtà, stando almeno alle dichiarazioni dei leaders dei due «opposti» schieramenti, non ci sembra che le cose stiano proprio nei termini prospettati. Infatti, sia la «sinistra» che la «destra» si sono definite centriste (come la Lega, del resto), aperte alla collaborazione col mondo cattolico -altro formidabile centro di Potere!- nonché col grande capitale internazionale. L'alleanza dell'on. Fini sia col Cav. Berlusconi che con gli inquisiti del passato regime e le rassicuranti parole dell'on. Occhetto agli speculatori internazionali che, paventando l'avvento delle sinistre o della destra rivoluzionaria al potere, avevano attuato la mascalzonata d'affossare lira e Borsa, con l'intento (pienamente riuscito) di allarmare i buoni borghesi, stanno ampiamente a dimostrarlo.
Dov'è, dunque, il cambiamento? Non si tratta, piuttosto, dei soliti partiti di potere che, cambiando etichetta, mirano ad occupare gattopardescamente il posto di chi ha malgovernato per mezzo secolo, illudendosi che tutto cambi, proprio per non mutare un bel niente? Vista la sostanziale identità di vedute dei due schieramenti «contrapposti» -almeno così vogliono farci intendere i bravi gazzettieri ed i solerti tirapiedi del vecchio regime, bellamente inseriti nella lottizzata informazione dei mass media- in che consiste la ben architettata manovra? Ovviamente nel creare due movimenti intercambiabili ed altalenanti, sul modello anglosassone, tali comunque da non creare mai ed in nessuna condizione uno scompaginamento reale dei diabolici piani sottilmente orditi dal grande capitale internazionale.

Il potere onnivoro dell'alta finanza
Questa è la scandalosa verità: l'Alta Finanza, onnivoro ed invisibile Potere planetario, che manovra come marionette partiti e politici, mirando solo ai suoi favolosi, illeciti, scandalosi guadagni, ha vinto e stravinto su tutto il globo terracqueo. Da New York a Pechino, dall'Alaska all'Amazzonia si beve Coca-Cola e ci si veste in blue jeans. Non c'è che dire: ci hanno saputo fare. Quale miglior politica, allora, per continuare a governare indisturbati, che fingere di costituire due schiere di duellanti, in realtà solo una nuova versione del consociativismo che ha detenuto finora il potere, alimentando l'illusione (per i gonzi) dei blocchi contrapposti?
Il fine, ovviamente non dichiarato, è quello di ingannare la massa per altri cinquant'anni. Forse, però, stavolta il gioco andrà a carte quarantotto. Almeno, ce lo auguriamo; altrimenti, saranno tempi amari. E pensare che, di fronte a tale stato di cose, per una gestione ottimale della cosa pubblica, c'è chi auspica l'avvento di managers, degli esperti, dei tecnocrati, gli unici in grado -si dice- di amministrare con estrema competenza ed onestà. L'opinione è discutibile: sarebbe davvero assicurata l'efficienza, evitati gli sprechi, eliminati gli errori? Sarebbero così infallibili i nuovi direttori d'orchestra? Non si tratta, forse, degli stessi che ora hanno in mano le redini della pubblica amministrazione e che hanno contratto quell'impagabile debito pubblico, ammontante a trenta milioni prò capite?
Ammettendo pure che si operi diversamente, il paradigma politico-culturale, socio-economico e morale resterebbe pur sempre quello di una società tecnologica disanimata, attenta solo e sempre a soddisfare i bisogni primari dell'umanità ed a crearne di fittizi per i lauti e spropositati guadagni di un'elite che s'impingua di contro all'ignobile sfruttamento degli altri. Siamo certi che quest'alternativa possa assicurare felicità e benessere al mondo, nonostante la sua innata e costituzionale tendenza ad escludere i problemi connessi con la qualità della vita ed a privilegiare l'incremento del regno della quantità?
Siamo certi che di alternativa si tratti, quando, a ben vedere, non si contesta di certo una visione del mondo cara ai padroni del vapore, tutt'ora ben saldi ai loro posti di comando? Non occorrerebbe piuttosto, sempre e comunque, la presenza riequilibrante di una classe politica (quella vera, autonoma nelle sue scelte, al di sopra delle parti e non invischiata in spudorati interessi, giochi di potere ed intrighi di palazzo) capace di controllare i controllori, di orientare la società verso scelte di vita più a misura d'uomo?
A ben rifletterci, la risposta è senz'altro affermativa, a meno che non s'intenda realizzare la spaventosa società prospettata da Orwell nel suo allucinante romanzo.

Uno stato etico
Ma dove trovare un politico di tal fatta? Di questa razza si è perso il ricordo. Si dovrebbe risalire addirittura al pensiero pre-moderno, alla Repubblica di platonica memoria, a capo della quale operavano i filosofi. Utopia? No, perché il termine -si badi bene- non indica affatto un qualcosa che non può in alcun caso aver luogo, ma solo ciò che ancora non è stato realizzato. Pertanto, dopo aver sperimentato le dolorose conseguenze di regimi bianchi, rossi e neri, che hanno fatto le loro disastrose prove su scala planetaria, non sarebbe il caso di tentare di mutare l'atteggiamento individuale e, di conseguenza, quello collettivo, piuttosto che limitarsi ad indossare camicie di colore diverso, che rivestono però, alla fin fine, un'identica bestia?
La vera, unica, radicale e definitiva rivoluzione, quella cioè in grado di risolvere tutte le antinomie della nostra moderna società, è di tipo interiore, checché se ne dica. Per far ciò, tuttavia, occorre che si inizi una buona volta ad educare con la forza dell'esempio le nuove (ma anche le vecchie!) generazioni.
Stato etico? In un certo senso, sì; anche se tale Stato non dovrebbe coercire, plagiare, indottrinare, intruppare e massificare i cittadini, ma solo fornir loro degli orientamenti, dei suggerimenti, dei modelli.
Questo non è di certo un irrealizzabile sogno, ma qualcosa di perfettamente attuabile, purché lo si voglia. Ma proprio qui sta il problema. Troppi gli interessi da ridimensionare, da riconvertire, da disciplinare, almeno fino al perdurare del dominante paradigma culturale neoilluministico, agnostico e grossolanamente materialistico. Esso è capace solo di dare la stura ai sentimenti peggiori dell'essere umano, quali quelli dell'individualismo più sfrenato della violenza, dell'ottenebramento mentale tipico dell'homo oeconomicus. Tale visione ha accomunato sia il capitalismo che il collettivismo, sia la «destra» -comprese le sue espressioni di tipo fascista, almeno nelle loro realizzazioni pratiche, escludendo alcune affermazioni, iniziali e finali, di tipo teorico- che la «sinistra».
Ed allora? È ora di cambiare: oggi, come non mai. Ma chi si sobbarcherà all'arduo lavoro, capace davvero di far tremare le vene e i polsi? Chi si colloca talmente al di sopra delle parti, da tutelare solo il bene comune, escludendo il proprio e considerando il compito del politico come un servizio per la collettività? Chi sarebbe disposto a rinunciare ai favolosi stipendi, alle laute prebende, ai benefici ed ai privilegi di cui gode attualmente il politico, per svolgere le sue mansioni in modo più umile ed animato da spirito altruistico? Chi ricorda più il detto ciceroniano, per cui il buon amministratore incarna le più eccelse virtù civili?
Vecchi tempi, si dirà. Ma gli unici che hanno dato testimonianza di un pensiero eticamente illuminato e di soluzioni più stabili, atte a rasserenare il tempestoso orizzonte su cui si stagliano gli eventi storici dell'umanità.
Se non ci decidiamo a mutar rotta, la nave inevitabilmente finirà per fracassarsi contro la scogliera.
Ci rendiamo perfettamente conto di come ciò non sia facile, viste le prevedibili ed inevitabili resistenze di chi ha tutto l'interesse a mantenere lo status quo, ma alla fine il buon senso dovrà pur prevalere, al limite dopo aver subito le drammatiche conseguenze dei tragici errori compiuti.

Uscire dalle vecchie alleanze per promuoverne di nuove
Tuttavia, per non rimanere troppo nel vago, ecco, a nostro giudizio, quali potrebbero essere delle indicazioni operative per il politico nazionale ed europeo che intendesse davvero imprimere una sterzata all'attuale andamento delle cose. Tale mutamento di rotta diviene di giorno in giorno più impellente, alla luce degli avvenimenti che sempre più eloquentemente svelano la subdola strategia del grande capitale, dell'alta finanza, delle multinazionali, l'unico, vero nemico da battere. Si veda l'alleanza economica stabilita da USA, Canada, Messico, Cina e Nazioni estremorientali, al fine di strangolare la nascente economia europea. Si vedano gli infiniti conflitti artatamente attizzati dai mercanti d'armi e dai «mastini della guerra», a cui noi, succubi, ci accodiamo.
Considerando ciò, come non pensare a proporre un'immediata uscita da alleanze militari anacronistiche, che non hanno più ragion d'essere nella mutata situazione dello scacchiere internazionale?
Come non immaginare nuove e più proficue alleanze economiche con Paesi del Terzo e Quarto Mondo, meglio se non allineati, ricchissimi di materie prime, a cui l'Europa altamente tecnologicizzata potrebbe fornire la propria esperienza, trattando come soci i nuovi alleati e non più turpemente sfruttandoli con spirito colonialistico, evitando così l'insorgere di conflitti e di tensioni sociali, politici, religiosi che potrebbero sfociare addirittura in un terzo conflitto mondiale dalle catastrofiche conseguenze?
Come non prospettare, infine, una totale riconversione delle industrie che, invece di produrre strumenti di morte ed agenti inquinanti (dalla farmaceutica all'agricoltura) potrebbero convogliare le risorse di tanti cervelli asserviti ad interessi di morte verso il miglioramento della vita? Sembra tutto così semplice! Eppure, non è così.
Tali politici-filosofi, intransigenti nelle loro richieste, non amanti delle mezze misure dove sono? Dov'è la sinistra d'opposizione, la destra rivoluzionaria, i verdi integralisti dove sono?
Tutti, nessuno escluso, come speriamo d'aver a sufficienza dimostrato, ammansiti, ammaestrati, piegati, vinti, comprati, inglobati, a volte distrutti, uccisi, dissacrati agli occhi delle moltitudini dalle subdole, terribili, onnipotenti armi del grande capitale, la Grande Bestia dell'Apocalisse che impone a tutti le merci contrassegnate dal suo marchio. Tutto è perduto, allora, visto l'apparente trionfo planetario della diabolica ideologia che riduce l'essere umano ad un robot, capace solo di produrre e consumare, nonché la supina acquiescenza delle masse, stordite dai vetrini colorati e dagli specchietti per le allodole, vagheggiati come beni supremi, preziosi, insostituibili e pagati col sangue dell'alienazione, dello stress, del lavoro disumano, dello stravolgimento di ogni ritmo naturale? Momentaneamente, sì; è indiscutibile, è un dato di fatto che sarebbe assurdo ignorare. Ma a lungo, medio, ci auguriamo breve termine, no. Ne siamo certi.
Confidiamo ancora nelle capacità raziocinanti di un'umanità che, sebbene abbrutita, è pur sempre dotata di un certo discernimento e del libero arbitrio. Chi ci dice che lo schiavo, proprio mentre sta per consegnare il collo al suo carnefice, non abbia un moto di ribellione, non conosca un atteggiamento risentito, non compia un guizzo disperato, capace di rendergli salva la vita? Come non sperare in un rinsavimento collettivo, in un moto d'orgoglio, in un risveglio subitaneo dalla malefica fascinazione compiuta ai suoi danni?
Del resto, se avvertiamo tale stato di cose come negativo, come una caduta rispetto a valori superiori, quanto meno predicati se non addirittura vissuti in epoche precedenti, senz'altro più equilibrate e serene, ricordiamo che il principio valido nel mondo della fisica del motus infine velocior è applicabile anche a quello della storia.
Pertanto, se la mitica età dell'oro ha avuto una durata incommensurabilmente più lunga dell'ancien regime di caste delegittimate nel loro potere, perché incapaci di incarnare un'effettiva aristocrazia dello spirito, quanto mai potrà continuare ad esistere questo degradato mondo contemporaneo, prostrato di fronte all'obeso, impudente idolo sporco (per dirla con l'Alfieri) del dio denaro?

 

Alfredo Stirati

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