Contro ogni sorta di
moderatismo
C'è una prorompente rincorsa alla «moderazione». Par di vedere un fiume che
scorre impetuoso, senza argini, fuori dall'alveo, verso impossibili sbocchi e
che tutto travolge, dando luogo ad un'immensa e sordida palude. Dove vagano,
senza riferimento alcuno, gli stessi saltimbanchi e trasformisti che hanno
immiserito il nostro popolo e lo han reso simile ad una poltiglia gelatinosa
incapace di esprimere gente malata di idee e passioni. Un popolo-canaglia la cui
madre genera arlecchini e stenterelli; che ha perduto lo stampo dei geni del
passato e partorisce mediocrità per l'aria vile e bestiale che respira. Il male
di cui soffre nasce tutto dall'essersi messa contro natura, e nel tentativo di
assimilare la «modernità» d'Oltreoceano, ha modellato e imbastardito lo spirito
dei propri figli e le forme del loro vivere civile.
Tentare di spiegare l'attuale crisi con il fattore economico, o morale, o
sociale, è troppo semplicistico. Ciascuno di essi è concomitante con gli altri
due mali. Per logica coincidenza. Non è la crisi di una nazione, bensì di una
civiltà obbligata a svilupparsi impropriamente e che tradendo l'intrinseca sua
originalità storica, ha demandato ai mediocri il compito di rappresentarla.
Nostro dovere è disilludere chi ha speranza nel «nuovo» (sia esso mascherato
sotto le spoglie di destra o di sinistra). Dobbiamo «fare del male» e combattere
aspramente chi aspetta -chissà poi che cosa!- con pavidità e comodo ottimismo.
Padronissimi tutti, se le nostre idee paiono astruse e condannabili, di
considerarci bizzarri commentatori dell'Apocalisse, ma crediamo che l'unica
maniera atta a risvegliare le coscienze sia quella di usare un franco
linguaggio. Forse perché, nella terra dove questo foglio nasce, alita ancora
veemente il respiro di gente «matta» e circola inalterato, nonostante lo
scorrere dei secoli, sangue etrusco antichissimo e feroce.
Si dirà: che senso ha il predicare la rivolta tra individui timorosi delle
grandi imprese, che godono dell'insopprimibile individualità e che tutt'al più
manifestano lievi insofferenze quotidiane? Che in maggioranza assidono al desco
sempre lurchi e con la trippa già rigonfia? Che non vogliono rischiare per non
soffrire?
È vero che l'italiano, per natura, è anarchico, contrario ai sacrifici
collettivamente intesi e sopportati; che sempre ricorre alla speranza di veder
affacciarsi un tiranno che lo sappia prender per mano e mutarlo; che ogni tanto
invoca pure la ribellione affinchè si avveri il cambiamento. Son desideri che
nei secoli sono stati mitigati in nome della ragione e del sentimento.
Ma val la pena, oggi, che nonostante tutto c'è ancora la capacità di produrre
logica e -perché no?- cinismo, farsi persuadere dal sentimento? È vero, è
altrettanto vero che la storia ci ha insegnato come le misere prerogative
rivoluzionarie o inquietudini passate, di questo popolo, debbono essere
considerate come eccesso di cuore e fantasia. Infatti, furono per lo più segnali
di egoismo freddo, arido, tenace che se han fatto sì che ogni strada si
tramutasse in campo di battaglia, ogni campanile in fortezza, ogni famiglia
contigua in nemico, hanno poi, in effetti, impedito di compiere quella tanto
agognata rivoluzione che è per la nostra nazione una terribile necessità. Oggi
più che mai necessaria.
Oggi. Oggi che ritorna in campo l'individualismo più sfrenato; oggi che c'è la
tendenza ad etichettare ogni uomo con un numero; oggi che «progressisti» e
«moderati» si riconoscono in una comune volontà di assoggettare il lavoro alle
richieste dei «nuovi schiavisti»; oggi, popolo bue, ritrova l'orgoglio perduto.
E fa' ribollire il tuo sangue prima che altri te lo faccia versare per suo uso e
consumo.
a. c.
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