«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 1 - 31 Gennaio 1994

 

Federalismo? Centralismo? O centrismo?



Non sono d'accordo con quanto sostiene Beniamino Donnici (Destra? Sinistra? O Federalismo?) sull'ultimo numero di "Tabularasa".
Poco male, si dirà. A cominciare dall'autore contestato e per finire al contestatore, al quale è capitato -bisogna pur dirlo- di non essere nemmeno d'accordo con quanto andava lui stesso scrivendo solo un paio d'anni addietro...
Problemi di... dissociazione a parte (ma sarà grave?), resto peraltro convinto che la contestazione di cui sopra non turberà il sonno di alcuno. Eppure -direttore permettendo- vorrei egualmente esprimerlo, questo mio dissenso, in quanto esso riguarda non questioncelle lessicali, aspetti di contorno o faccenduole metodologiche, bensì temi forti e questioni di principio.
Non s'allarmi l'eretico direttore e, con lui, non si turbino coloro che presagissero vaghi sentori di bruciato... è vero, verissimo: sulle benedette questioni di principio, troppe volte si sono innalzati roghi (non solo metaforici), per non destar sospetti e non invitare alla prudenza e alla tolleranza.
Accolgo dunque l'invito, respingendo i sospetti. Non invocherò guerre di religione, non lancerò anatemi contro la "Calabria Libera" e infedele, e verso i suoi paladini.
Detto questo, però... però già il titolo di quell'articolo desta il mio fiero disaccordo; già quella «O» davanti a «Federalismo» mi sembra sufficiente per andare sotto processo, e meritare una condanna senza remissione o appello!
Le ragioni (sommarie) dell'accusa: codesta congiunzione «O» dal valore fraudolentemente disgiuntivo, vorrebbe significare -per il suo appositore- che il Federalismo costituisce un'alternativa ovvero una sintesi superatrice della Destra e della Sinistra. Ma quando mai? No, il federalismo è ed è stato una variante interna ai vari sistemi riconducibili alle vecchie, logore, obsolete, sfalsate, devianti ecc. (ma reali) categorie politiche di destra o di sinistra. E che la forma federale sia ontologicamente neutra rispetto alla diade sinistra-destra, lo dimostra la mera esistenza di Stati -quali la Svizzera, l'India, il Messico o il Brasile- sulla cui politica estera o sociale io credo si possano esprimere giudizi, magari negativi, indipendentemente dal tipo di organizzazione giuridico-istituzionale (: federale) colà vigenti. O non si verrà mica a sostenere che gli USA -tanto per fare un esempio... casuale- in quanto e per quanto federalisti, siano un modello cui ispirarsi?
A dire il vero, non credo sia questa la tesi di fondo dell'amico Donnici, che -se davvero lo pensassi- dovrei per forza rinnegare ogni mia precedente premessa di giudizio equo, illuminato e garantista, per abbandonare il reprobo alla Santa Inquisizione ed al suo braccio secolare! Tutto per una particella...
Seriamente, l'errore o il limite dell'analisi di Donnici sta (secondo il mio laico parere) nell'attribuire al termine, alla formula, alla soluzione «Federalismo» significati impropri, sovraccaricando il federalismo possibile di valenze diverse dal suo peculiare aspetto tecnico-gestionale. Nessun riduttivismo, da parte mia, ed aggiungo anzi che quella soluzione ha una sua proponibilità, una sua logica, una sua intrinseca validità.
Propendo, personalmente, per un'organizzazione statuale defacto federalista. A due condizioni, che mi paiono peraltro imprescindibili.
La prima dovrebbe consistere nel superamento di mediocri logiche localistiche e bottegaie, tipiche di una certa sub-cultura nordista, per puntare all'auto-riconoscimento ed identificazione in un unico soggetto politico (e metapolitico) di carattere sovranazionale: penso all'Europa come Imperium, per capirci.
Una seconda, conseguente condizione la ravviso in una coscienza federalista che, assumendo un maggiore respiro, innalzasse come principio-guida per tutti, europei ed extra-europei, il diritto-dovere alle rispettive tradizioni, a propri ruoli diversi, ma di pari dignità; che in nome di questo federalismo ci si battesse per l'autogoverno dei popoli, esaltandone le specificità ed i legami comunitari, in aperto contrasto con il Modello unico e omologante.
A queste elementari condizioni, in base a questi punti fermi anti-occidentali, si potrà poi ricercare la forma federativa più consona al nostro Paese; solo «dopo» aver fatto propria questa concezione organicistica di federalismo, si potrà compiutamene affrontare il nodo delle etnìe, dei micro e macro-regionalismi, delle piccole patrie, e così via; solo dopo tutto questo -secondo me- si potranno gestire i problemi connessi ad una quantomai necessaria ristrutturazione dello Stato, chi privilegiando il riferimento a Cattaneo e chi a Proudhon, chi guardando alle moderne indicazioni di un A. Mare e chi a D. J. Eleazar...
C'è l'eco di queste mie (e forse non solo mie) esigenze o preoccupazioni nello scritto di Donnici? A me non pare, e non per sole esigenze di spazio.
Non che manchino spunti interessanti o analisi puntuali, in quell'articolo. Tutt'altro. È esatto ad esempio che la partita si sta giocando «fra sopravvissuti del vecchio sistema consociativo» che «al di là delle etichette e delle fattizie polarità» non esiste «una sola differenza essenziale tra la cosiddetta sinistra e la destra che verrà». Solo che smentisco che l'eccezione al grande inganno da lui rilevato sia costituito da Umberto Bossi; contesto che «non possa esser messa in discussione la portata antisistema della Lega», che vi sia nella Lega una qualsivoglia «visione culturale e politica autenticamente antagonista».
Non vorrei infierire, ma proprio oggi, 14 gennaio, (domani chissà) mentre scrivo queste note, il sullodato Umberto Bossi «accantona» il progetto federalista per proporsi quale leader di un'alleanza di centro e liberal-democratica assieme a quel «signor Pirletti», come sino ad ieri il Nostro bollava -non gratuitamente, invero- l'on. Segni.
Non è certo questo l'unico repentino cambio di fronte della schizofrenica (e un tantino cialtronesca, me lo consentirà...) strategia leghista. Certo l'amico Donnici ricorderà almeno alcune scritte che lanciarono il messaggio nordista, e che sino a pochi anni orsono ancora campeggiavano sui viadotti, sopra i cavalcavia, lungo le strade della Padania, incitanti «Forza Etna», accusanti «Roma ladrona» o reclamanti «Abbasso i terroni»?!... Ebbene, questa e simile prosa murale venne poi sconfessata dalla Lega, una volta acquisita una credibilità democratica...
Abbiano o meno, quelle lordure stradali, la paternità ufficiale dei vari Bossi, Rocchetta, Farassino, restano tuttavia -a testimonianza della filosofia leghista- i manifesti affissi non troppi anni fa, e firmati, dove si reclamava l'allontanamento dal sacro suolo settentrionale dei pubblici funzionari sudisti, o altri in cui la Liga Veneta chiedeva la precedenza dei nativi nelle liste di collocamento e per l'assegnazione di alloggi.
Abbiamo dimenticato tutto o dobbiamo dimenticare?
Sì, ora quei signori si sono nel frattempo cambiati d'abito, si sono pure deodorati degli afrori populistici, si son tolti le incrostazioni della più basa demagogia; avranno anche libero accesso, così ripuliti, ai salotti buoni, da quello di Delfina Agnelli in marchese Rattazzi a quello, ancora più in, del Cavaliere di Arcore - ma sono e restano, amico Donnici, dei Villan rifatti...
Vuoi un altro passo di questo continuo giro di valzer? A mo' di esempio, tu ben ricorderai come nel giugno '91 Bossi, nel corso di una pubblica, solenne manifestazione, proclamasse -tra il tripudio della folla leghista- Mantova «Capitale della Repubblica del Nord». Orbene, lo scorso 2 dicembre a Venezia, è La Serenissima ad essere investita, dallo stesso personaggio, dello stesso titolo attribuito due anni e mezzo prima alla città dei Gonzaga! Altro tripudio, altri sventolii di bandiere rossocrociate, altre elezioni ed altri voti, per chi ce l'ha sempre duro.
Ma poi chiariamo: Secessione sì o secessione no? Sciopero fiscale del Nord? ma si scherzava. Basta col canone TV? una provocazione a fin di bene. Le tre Repubbliche? un'ipotesi. I 200milioni da Sama? una pirlata. E via di questo passo. Altro che giri di valzer! qui si dovrebbe parlare di ballo di S. Vito!
Storie e storielle di ordinario squallore a parte, sono altri sostanziali motivi che mi trovano avversario di quel fenomeno parapolitico; al di là del folklore dozzinale, al di là delle sue ripetute sbornie e risse da osteria, è la manifesta, persino spudorata funzionalità della Lega Nord ai disegni del grande capitale a rendermela insopportabilmente antipatica...
Beniamino Donnici è testimone e partecipe troppo attento delle cose politiche, per non vedere come in realtà il vecchio in Italia sia entrato in crisi irreversibile, non tanto ad opera e per effetto di Mani pulite, o della Lega, come lui farebbe in qualche modo intendere, bensì a causa principalmente della intrinseca inadeguatezza del sistema social-assistenziale alla fase postcomunista. I Padroni del Mercato, in poche parole, hanno ben pensato, con la caduta del Muro, di dover risistemare la gestione dell'Azienda-Italia, in concorrenza tra loro, ma secondo comuni criteri improntati ad una maggior efficienza e produttività. Stanno cioè mutando i gestori, e vanno stabilendosi nuovi assetti, grazie all'entrata dei nuovi partner in affari. Ciò che non cambia affatto è il sistema di potere, del vero potere.
Certo, un tale -multiforme, ma univoco- potere può riservarsi di giocare contemporaneamente su più tavoli (stabilendo però lui, di volta in volta, le regole); ed è perciò che l'asse preferenziale può passare sia attraverso la Lega, sia attraverso il PDS di Occhetto, o il MSI di Fini ovvero i popolari di Segni... L'ipotizzata «alleanza tattica» dei Movimenti federalisti meridionali col partito di Bossi (e a quanto pare, oggi, anche di Segni), sarebbe in realtà un'operazione d'involontario vassallaggio, e non solo per l'evidente, enorme sperequazione di forza fra i contraenti, ma in ragione del fatto che, alle spalle di uno di questi, vi sono i referenti cui si accennava... È, quindi, ingenuo e autolesionistico ritenere di poter fare a meno della questione dell'«esasperato liberismo» della Lega Nord, mettendolo «semplicemente da parte».
Non me ne voglia Beniamino Donnici, ma a fronte di una tale strategia perdente e autocastrante, preferisco con un pizzico d'utopia rivendicare l'originalità e l'autonomia di una nostra proposta politica fondata su una più ampia visione etnopluralista, nella quale la via federalista appare come la meno disagevole o impercorribile. Una via che non va affrettatamente confusa con quelle ora indicateci, in vista delle elezioni, da improvvisate e inaffidabili guide al servizi o dei Padroni del Mercato.
 

Alberto Ostidich

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