le recensioni
Emma
Cusani
II grande viaggio nei mondi danteschi. Iniziazione ai Misteri Maggiori
ed. Mediterranee, Roma, 1993, Lire 30.000
Dante
esoterico
Nella mia qualità di docente, di
cultore di dottrine esoteriche, nonché appassionato studioso di Dante e
dell'aureo Medioevo, non posso che salutare con grande interesse e profondo
entusiasmo la recente pubblicazione di Emma Cusani sull'esoterismo della Divina
Commedia.
Debbo complimentarmi con l'Autrice per l'eccezionale perspicacia, per il
formidabile intuito, nonché per l'approfondita conoscenza delle discipline che
costituiscono l'indubbio sostrato dell'opera e della cultura dantesca. Insomma,
questo saggio sulla Divina Commedia e su Dante che ha preso corpo, poggiando
sugli imponenti bastioni della Sapienza tradizionale e sugli universali valori
della Philosophia perennis, è tra le cose più belle, più utili ed appassionanti
che mi sia stato dato di leggere da quando mi sono incamminato sul sentiero
della Conoscenza. E non è certo poco il tempo da me impiegato nel difficile
tentativo di ricostruire l'enigmatico volto della Sapienza antica!
Infatti, solo dopo un ventennio di pazienti ricerche, di esperienze dirette, di
lunghi viaggi e di interminabili colloqui, la luce splendente della Verità sta
prendendo lentamente forma ed aprendo dinanzi a me sconfinati orizzonti nei
quali l'anima si tuffa gioiosa, avvertendo di aver imboccato finalmente la
strada smarrita e volutamente occultata da coloro che, ebbri di volontà di
potenza, perseguitano i viandanti che s'accingono a percorrere il sentiero
interiore, rifiutandosi d'ossequiare teorie umane erette a dogma, affascinati
solo dal richiamo dello Spirito divino che vive in noi. Dunque,
quest'inconfondibile sensazione di ritrovare una verità dimenticata si è fatta
strada nel mio animo, man mano che avanzavo nella lettura del commento della
Divina Commedia, illustrata alla luce dei Misteri Maggiori. Ecco cosa mancava
alla cultura ed alla scuola, alla scialba critica dantesca di tipo accademico e
pedantesco! Già da tempo avevo istintivamente avvertito l'insufficienza dei
commenti scolastici nei confronti delle formidabili ed estremamente complesse
dottrine del Fiorentino che, in una sintesi straordinaria, aveva saputo
unificare la Sapienza occidentale e quella orientale: da Platone al Vedanta, con
espliciti riferimenti al pitagorismo, all'orfismo, alle dottrine misteriosofiche
e cabalistiche, al sufismo islamico, per giungere ad un monismo assoluto.
A questo punto, mi corre l'obbligo di aprire una parentesi.
Proprio perché consapevole di come la pensino i paludati «ufficiali», mi
permetto una precisazione, diciamo così, cautelativa.
È risaputo che all'epoca di Dante nemmeno i più eruditi conoscevano di prima
mano i Testi sacri dell'Oriente o la filosofia e la letteratura greca, ma solo
quel tanto che se ne poteva sapere attraverso le opere latine. Lo stesso Dante
non conosceva che il latino, la lingua franco-provenzale ed alcuni dialetti
italici. Per cui chi volesse attribuire alla letteratura sapienziale di lui
l'impronta platonica e pitagorica o quella vedantica ed orfica che caratterizza
la sua opera potrebbe essere subito, e facilmente, smentito e zittito. Eppure
queste impronte ci sono.
Infatti, l'Universalità (e, quindi, la perenne inalterabile ripetitività) della
Sapienza Segreta, attraverso il filone sotterraneo delle Crociate, s'infiltrò
nell'Occidente e dette vita alle Scuole iniziatiche del Medioevo, tra cui ebbero
spicco quelle dei Fedeli d'Amore e dei Templari.
Dante ne fu uno dei componenti più qualificati, per cui l'acquisizione di questa
Sapienza Segreta che non ha bisogno né di Filosofi sommi che la qualifichino né
di Testi sacri che la santifichino non fu, per lui, un'acquisizione di cultura,
bensì una realizzazione interiore. O, a voler essere più precisi, una
conseguenza dell'Iniziazione conferitagli. Deluso, quindi, dalle riduttive
interpretazioni di tipo aristotelico-tomistico o teologico, assetato di Verità,
supplivo con l'intuito a tante carenze ed usavo come supporto i pregevoli saggi
critici, ben più illuminati di quelli ufficiali, ma ovviamente sconfessati da
questi, di un Foscolo, di un Valli, di un Pascoli, di un Alessandrini.
Eppure, sentivo che anche qui mancava qualcosa: si trattava -è vero- di
intuizioni geniali, di lampi improvvisi che sollevavano dei veli sul grande
mistero della Commedia, che aveva bisogno, però, di ben altre conoscenze per
essere svelata nella sua interezza. Fu così che mi imbattei nei brevi saggi del
Guénon e nelle folgorazioni di un Evola, che pure filtravano Dante attraverso
un'ottica particolare, discutibile e, comunque, parziale. Una rivelazione fu per
me, allora, la monumentale opera di Dante Gabriele Rossetti, il preraffaellita
iniziato, l'esoterista massone, autore della stupenda "Beatrice di Dante", che
più di ogni altro è andato oltre il velame de li versi strani.
Tuttavia, anche quest'opera pregevole, che meriterebbe di essere rivalutata
dalla miope critica ufficiale, tronfia del suo sapere di stampo accademico, non
può definirsi organica ed esaustiva nei confronti della sterminata Conoscenza
dell'Alighieri.
Infatti, mancava ancora una guida sicura, un'opera che esplicitasse in modo
capillare i grandi problemi, gli insondabili misteri dell'uomo e del cosmo,
legati da mirifiche ed arcane corrispondenze, che traspaiono dai versi
danteschi.
Occorreva che qualcuno, dotato di valide conoscenze occultistiche, esperto in
storia comparata delle religioni e versato nell'interpretazione delle Sacre
Scritture d'ogni tempo e Paese, s'accostasse al sacro poema e s'accingesse a
commentarlo passo passo, animato da un eroico furore e da certosina pazienza. Ma
era questa un'impresa da far tremare le vene e i polsi a chicchessia. Il
coraggio di affrontare il gran commento l'ha avuto, però, la nostra Autrice a
cui va, dunque, tutta la mia stima e riconoscenza.
Grazie a lei, torno umilmente a glossare la lezione dantesca, ma stavolta non
quella deviante, artefatta ed arzigogolata dei cosiddetti esperti. Ora sto
bevendo direttamente alle sorgenti dello Spirito, mi sto saziando di quell'acqua
di verità che, una volta gustata, elimina per sempre il desiderio della sete.
Checché ne pensino i fautori di un'interpretazione letterale, oppure lirica,
estetizzante, erudita, filologica, psicanalitica della Commedia, l'unica, vera
esegesi della stessa è quella simbolico-allegorica o, meglio,
occultistico-escatologica, scelta appunto dall'Autrice di questo saggio.
È pur vero che molti sono ancora coalizzati e schierati contro di essa, ma resta
il fatto inoppugnabile che questa sia l'unica interpretazione valida, in grado
di fornire una spiegazione logica ed esauriente dell'intera opera. A questo
punto, però, va anche precisato quanto segue:
Premesso che il poeta attinga direttamente, grazie all'avvenuta iniziazione, a
dimensioni superiori a quella meramente fisica(1) -ed il suo
travaglio consiste proprio nella consapevolezza di riuscire a tradurre solo
«un'ombra del beato regno»- ed essendo pertanto uno strumento di trasmissione di
idee luminose e divine (in ogni altro caso non si può parlare di sublime
poesia), i singoli lettori possono intendere in modo diverso e variamente
progressivo il vero significato dell'opera. Esiste, cioè, una scala di sentire
intermedi tra quello che coglie il senso letterale del testo e quello che ne
penetra e ne rivive integralmente l'esperienza trasumanante, intendendone il
valore anagogico e disponendosi ad applicarlo nella vita.
Pertanto, nessuna meraviglia che la Commedia dantesca abbia conosciuto commenti
così variamente impostati. Non si tratta tanto di livelli culturali disparati,
quanto, appunto, di sentire di tipo diverso.
Lungi da noi, quindi, incriminare o schierarci a favore dell'una o dell'altra
delle interpretazioni tradizionali, tutte valide di per sé, eppur tutte, nessuna
esclusa, parziali, perché incapaci, diremmo costituzionalmente, di cogliere
l'essenza e la verità ultima del «sacrato poema».
Questa è colta solo da chi riesce a far cadere i sette veli da cui è avvolta
ogni divina scrittura.
Si ripete, così, l'evento mitico della danza di Salomé o dei sette veli che
circondano il simulacro della dea nei misteri di Iside.
Solo a qualcuno è dato di sollevare l'ultimo di essi e di contemplare la nudità
della dea, ovvero la Verità ultima. Tuttavia, comunque la pensino i numerosi
interpreti, questa è la strada che è stata ormai tracciata dall'Autrice di
quest'opera.
Sosteniamo, allora, e rendiamo merito a chi ha fornito la chiave che immette
alla Stanza Segreta!
Alfredo
Stirati
(1) Cfr. Purg. XXIV,
52 segg. e Par. I, 13 segg., in cui ciò è affermato a chiare lettere.
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