«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 1 - 31 Gennaio 1994

 

le recensioni

Emma Cusani
II grande viaggio nei mondi danteschi. Iniziazione ai Misteri Maggiori
ed. Mediterranee, Roma, 1993, Lire 30.000


Dante esoterico

 

Nella mia qualità di docente, di cultore di dottrine esoteriche, nonché appassionato studioso di Dante e dell'aureo Medioevo, non posso che salutare con grande interesse e profondo entusiasmo la recente pubblicazione di Emma Cusani sull'esoterismo della Divina Commedia.
Debbo complimentarmi con l'Autrice per l'eccezionale perspicacia, per il formidabile intuito, nonché per l'approfondita conoscenza delle discipline che costituiscono l'indubbio sostrato dell'opera e della cultura dantesca. Insomma, questo saggio sulla Divina Commedia e su Dante che ha preso corpo, poggiando sugli imponenti bastioni della Sapienza tradizionale e sugli universali valori della Philosophia perennis, è tra le cose più belle, più utili ed appassionanti che mi sia stato dato di leggere da quando mi sono incamminato sul sentiero della Conoscenza. E non è certo poco il tempo da me impiegato nel difficile tentativo di ricostruire l'enigmatico volto della Sapienza antica!
Infatti, solo dopo un ventennio di pazienti ricerche, di esperienze dirette, di lunghi viaggi e di interminabili colloqui, la luce splendente della Verità sta prendendo lentamente forma ed aprendo dinanzi a me sconfinati orizzonti nei quali l'anima si tuffa gioiosa, avvertendo di aver imboccato finalmente la strada smarrita e volutamente occultata da coloro che, ebbri di volontà di potenza, perseguitano i viandanti che s'accingono a percorrere il sentiero interiore, rifiutandosi d'ossequiare teorie umane erette a dogma, affascinati solo dal richiamo dello Spirito divino che vive in noi. Dunque, quest'inconfondibile sensazione di ritrovare una verità dimenticata si è fatta strada nel mio animo, man mano che avanzavo nella lettura del commento della Divina Commedia, illustrata alla luce dei Misteri Maggiori. Ecco cosa mancava alla cultura ed alla scuola, alla scialba critica dantesca di tipo accademico e pedantesco! Già da tempo avevo istintivamente avvertito l'insufficienza dei commenti scolastici nei confronti delle formidabili ed estremamente complesse dottrine del Fiorentino che, in una sintesi straordinaria, aveva saputo unificare la Sapienza occidentale e quella orientale: da Platone al Vedanta, con espliciti riferimenti al pitagorismo, all'orfismo, alle dottrine misteriosofiche e cabalistiche, al sufismo islamico, per giungere ad un monismo assoluto.
A questo punto, mi corre l'obbligo di aprire una parentesi.
Proprio perché consapevole di come la pensino i paludati «ufficiali», mi permetto una precisazione, diciamo così, cautelativa.
È risaputo che all'epoca di Dante nemmeno i più eruditi conoscevano di prima mano i Testi sacri dell'Oriente o la filosofia e la letteratura greca, ma solo quel tanto che se ne poteva sapere attraverso le opere latine. Lo stesso Dante non conosceva che il latino, la lingua franco-provenzale ed alcuni dialetti italici. Per cui chi volesse attribuire alla letteratura sapienziale di lui l'impronta platonica e pitagorica o quella vedantica ed orfica che caratterizza la sua opera potrebbe essere subito, e facilmente, smentito e zittito. Eppure queste impronte ci sono.
Infatti, l'Universalità (e, quindi, la perenne inalterabile ripetitività) della Sapienza Segreta, attraverso il filone sotterraneo delle Crociate, s'infiltrò nell'Occidente e dette vita alle Scuole iniziatiche del Medioevo, tra cui ebbero spicco quelle dei Fedeli d'Amore e dei Templari.
Dante ne fu uno dei componenti più qualificati, per cui l'acquisizione di questa Sapienza Segreta che non ha bisogno né di Filosofi sommi che la qualifichino né di Testi sacri che la santifichino non fu, per lui, un'acquisizione di cultura, bensì una realizzazione interiore. O, a voler essere più precisi, una conseguenza dell'Iniziazione conferitagli. Deluso, quindi, dalle riduttive interpretazioni di tipo aristotelico-tomistico o teologico, assetato di Verità, supplivo con l'intuito a tante carenze ed usavo come supporto i pregevoli saggi critici, ben più illuminati di quelli ufficiali, ma ovviamente sconfessati da questi, di un Foscolo, di un Valli, di un Pascoli, di un Alessandrini.
Eppure, sentivo che anche qui mancava qualcosa: si trattava -è vero- di intuizioni geniali, di lampi improvvisi che sollevavano dei veli sul grande mistero della Commedia, che aveva bisogno, però, di ben altre conoscenze per essere svelata nella sua interezza. Fu così che mi imbattei nei brevi saggi del Guénon e nelle folgorazioni di un Evola, che pure filtravano Dante attraverso un'ottica particolare, discutibile e, comunque, parziale. Una rivelazione fu per me, allora, la monumentale opera di Dante Gabriele Rossetti, il preraffaellita iniziato, l'esoterista massone, autore della stupenda "Beatrice di Dante", che più di ogni altro è andato oltre il velame de li versi strani.
Tuttavia, anche quest'opera pregevole, che meriterebbe di essere rivalutata dalla miope critica ufficiale, tronfia del suo sapere di stampo accademico, non può definirsi organica ed esaustiva nei confronti della sterminata Conoscenza dell'Alighieri.
Infatti, mancava ancora una guida sicura, un'opera che esplicitasse in modo capillare i grandi problemi, gli insondabili misteri dell'uomo e del cosmo, legati da mirifiche ed arcane corrispondenze, che traspaiono dai versi danteschi.
Occorreva che qualcuno, dotato di valide conoscenze occultistiche, esperto in storia comparata delle religioni e versato nell'interpretazione delle Sacre Scritture d'ogni tempo e Paese, s'accostasse al sacro poema e s'accingesse a commentarlo passo passo, animato da un eroico furore e da certosina pazienza. Ma era questa un'impresa da far tremare le vene e i polsi a chicchessia. Il coraggio di affrontare il gran commento l'ha avuto, però, la nostra Autrice a cui va, dunque, tutta la mia stima e riconoscenza.
Grazie a lei, torno umilmente a glossare la lezione dantesca, ma stavolta non quella deviante, artefatta ed arzigogolata dei cosiddetti esperti. Ora sto bevendo direttamente alle sorgenti dello Spirito, mi sto saziando di quell'acqua di verità che, una volta gustata, elimina per sempre il desiderio della sete.
Checché ne pensino i fautori di un'interpretazione letterale, oppure lirica, estetizzante, erudita, filologica, psicanalitica della Commedia, l'unica, vera esegesi della stessa è quella simbolico-allegorica o, meglio, occultistico-escatologica, scelta appunto dall'Autrice di questo saggio.
È pur vero che molti sono ancora coalizzati e schierati contro di essa, ma resta il fatto inoppugnabile che questa sia l'unica interpretazione valida, in grado di fornire una spiegazione logica ed esauriente dell'intera opera. A questo punto, però, va anche precisato quanto segue:
Premesso che il poeta attinga direttamente, grazie all'avvenuta iniziazione, a dimensioni superiori a quella meramente fisica(1) -ed il suo travaglio consiste proprio nella consapevolezza di riuscire a tradurre solo «un'ombra del beato regno»- ed essendo pertanto uno strumento di trasmissione di idee luminose e divine (in ogni altro caso non si può parlare di sublime poesia), i singoli lettori possono intendere in modo diverso e variamente progressivo il vero significato dell'opera. Esiste, cioè, una scala di sentire intermedi tra quello che coglie il senso letterale del testo e quello che ne penetra e ne rivive integralmente l'esperienza trasumanante, intendendone il valore anagogico e disponendosi ad applicarlo nella vita.
Pertanto, nessuna meraviglia che la Commedia dantesca abbia conosciuto commenti così variamente impostati. Non si tratta tanto di livelli culturali disparati, quanto, appunto, di sentire di tipo diverso.
Lungi da noi, quindi, incriminare o schierarci a favore dell'una o dell'altra delle interpretazioni tradizionali, tutte valide di per sé, eppur tutte, nessuna esclusa, parziali, perché incapaci, diremmo costituzionalmente, di cogliere l'essenza e la verità ultima del «sacrato poema».
Questa è colta solo da chi riesce a far cadere i sette veli da cui è avvolta ogni divina scrittura.
Si ripete, così, l'evento mitico della danza di Salomé o dei sette veli che circondano il simulacro della dea nei misteri di Iside.
Solo a qualcuno è dato di sollevare l'ultimo di essi e di contemplare la nudità della dea, ovvero la Verità ultima. Tuttavia, comunque la pensino i numerosi interpreti, questa è la strada che è stata ormai tracciata dall'Autrice di quest'opera.
Sosteniamo, allora, e rendiamo merito a chi ha fornito la chiave che immette alla Stanza Segreta!
 

Alfredo Stirati

 

(1) Cfr. Purg. XXIV, 52 segg. e Par. I, 13 segg., in cui ciò è affermato a chiare lettere.

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