La «sputacchiera amica» di
Alleanza Nazionale
Apriamo con una citazione: l'autore fu Giorgio Pini, per tre lustri
caporedattore de "Il Popolo d'Italia" e collaboratore di Mussolini nei disperati
e tragici mesi della guerra civile, che a lui costò personalmente anche la
perdita di un figlio. Pini scriveva: «Noi siamo repubblicani ed abbiamo della
vita nazionale una concezione che ci pone a sinistra. Chi concepisce il
Movimento Sociale esclusivamente in funzione anticomunista, conservatrice e
reazionaria non è di casa». Papale, papale. E coerente, perché quando quel
partito imboccò a strada della reazione imbarcando monarchici, liberali,
massoni, Pini non si sentì più di casa. E se ne andò per non tornare più. Chi
rimase, lo fece probabilmente -e furono tanti- perché si illudevano di poter
modificare un corno ormai deforme «lavorando dal di dentro».
Oggi che il ciclo vitale di quel partito s'è compiuto, possiamo ben dire che la
loro (o la nostra, che è più giusto) fu una battaglia vana. E in questa
considerazione, per onestà intellettuale, dobbiamo ammettere che c'è tanto
«senno di poi». Però va ammesso anche che la scelta di Alleanza Nazionale,
operata dall'onorevole Fini e insufflata dall'«eminenza grigia» di Pinuccio
Tatarella, che con gli ambienti antifascisti di centro-destra liberale ha sempre
avuto contatti stretti, che del suo partito ha sempre avuto un'idea
demonazionale ed ha spazzato, con la rozzezza tipica dei ras locali, ogni
ostacolo, personificato da quanti credevano nell'eredità e nell'attualità della
socializzazione fascista, costituisce una scelta giusta, consona e
consequenziale alla propria cultura e alla propria storia.
Inoltre questa scelta cade nel momento politico più propizio, allorché
l'elettoralismo presiede ad ogni scelta. Le moltitudini dello Stivale, dopo aver
portato in gestazione, partorito, svezzato, allevato e ingrassato il peggior
regime di malfattori che l'Italia moderna abbia mai conosciuto, si rifanno una
verginità, ricostruendosi l'imene deflorato per volontarietà e vincono la causa
quali vittime di stupro. Alle quali va riconosciuto un diritto di risarcimento,
che gli stupratori di solito concedono con il «matrimonio riparatore».
Barzellettando, perché non ci prendiamo mai sul serio, questo è il «nuovo» di
Leoluca Orlando Cascio, di Mariotto Segni, della coorte di «intellettuali» che
ha i capifila in Saverio Vertone e Lucio Colletti. Una bella compagnia di
camaleonti, che hanno scelto di stare sempre a galla: come gli escrementi
defecati in mare. E perdòno per l'offesa al buon gusto. In questa logica si
muove anche l'onorevole Fini, i suoi accoliti e le «moltitudini»
nazional-alleate.
* * *
Prendiamo la visita alle Fosse Ardeatine. Il Segretario di via della Scrofa ha
fatto bene a recarvicisi, spinto dal vento blasfemo dell'elettoralismo. Ha così
dimostrato d'essere un uomo «moderno». Di quelli che per raggiungere i propri
miserabili obiettivi, secondo i canoni di una vita senza valori che si muove
all'insegna dello spettacolarismo più abbietto, non recedono, non hanno
scrupoli. Non li ferma la pietà per la morte e per i Morti.
Benetton, per vendere i suoi maglioni colorati, fa la campagna pubblicitaria
ritraendo malati di AIDS che rendono l'anima a Dio e morti ammazzati, circondati
dai parenti in gramaglie, i cui volti si riflettono nel rigagnolo di sangue, che
ristagna di fianco. Benetton è un uomo «moderno». A tal punto da farsi ritrarre
nudo. Ecco, Fini farebbe bene a comportarsi di conserva: nudo davanti al
Mausoleo della Tufara di via Ardeatina. Ci permettiamo, noi che non siamo
pubblicitari, di suggerire la didascalia: «Nudi alla meta».
Un misto di attualità e nostalgia: via il passato, restano le miserie della
nudità dottrinaria, storica, culturale. Nudità come sinonimo di nullità. E
incanterebbe i gonzi che continuano a vivere in una realtà ch'è soltanto
virtuale. «Fini come Mussolini».
Tanto, si spogliano tutti, tutti si metton ignudi. Si spoglia «Benita bonita»,
si spoglia Marcello Veneziani che prima processa l'Occidente e poi va a
braccetto con Cossiga e Gustavo Selva, occidentalisti di gladio, squadra e
compasso, si spoglia Oscar Luigi Scalfaro, si spoglia Achille Occhetto, capo
d'un partito inzeppato di malfattori, si spogliano i direttori dei grandi
giornali nazionali, che portavano «l'eskimo in redazione» ed ora indossano la
grisaglia in direzione. Volevamo il «nuovo»: ci hanno accontentati.
* * *
Ma c'è chi ancora impudentemente gioca a far l'ideologo. È nudo come gli altri,
sogna soltanto i venti milioni al mese di Strasburgo ma gli piace far credere
d'essere ancora un maestro di pensiero, questo «antiamericano» che votò in
Parlamento la «guerra del petrolio» a fianco di Bush. Gli hanno chiesto
("Sette", 6 gennaio 1994) «cosa pensa del progetto di Alleanza Nazionale».
Risponde: «Tutto il male possibile. Stiamo cadendo nella solita trappola. Ogni
volta che cresciamo ci viene chiesto di cambiare, di venderci l'anima. Ed è un
errore: perché noi siamo cresciuti proprio perché siamo rimasti noi stessi,
proprio perché non ci siamo venduti l'anima». «Cresciamo», capite? Il
rigonfiamento elettorale è una crescita. «Le idee che mossero il mondo» si sono
ridotte all'incetta di voti. E il periodo successivo fa rabbrividire, pur noi
indossando indumenti di lana in questo inverno del Sud: «... noi siamo cresciuti
perché siamo rimasti noi stessi».
E bravo il cardinalizio (nativo di Cardinale, provincia di Catanzaro) ideologo!
Da «Ordine Nuovo» a «Nuovo Ordine». Quello democratico. Anzi, Democratico. Ma
c'è un fondo di verità, come sempre, nelle analisi dell'Eminenza. «Siamo rimasti
noi stessi» anche secondo Giulio Caradonna ("La Stampa", 11.12.1993): «Io non ho
paura di dire che il MSI ha vinto, nel 1972, con i soldi degli Americani, 6/700
milioni di allora procurati attraverso una mia iniziativa da un italiano
d'America, emerito, Pierfrancesco Talenti, uno degli uomini di punta del partito
repubblicano americano. Amico di Richard Nixon. Soldi del dipartimento di Stato
che vennero attraverso il generale Miceli, allora capo del SID e quindi alta
autorità della NATO. Li portò con le valigie direttamente ad Almirante».
«Siamo rimasti noi stessi» con i generali felloni: De Lorenzo del SIFAR e Miceli
del SID. Sentiamo ancora il figlio del «Cavaliere di Cerignola»: «Ce li ha
mandati la DC. Eravamo la "sputacchiera amica". De Lorenzo, per l'esattezza, ce
lo mandò Andreotti, Miceli, Piccoli. Tutto qui».
Mentre Piccoli e Andreotti sputavano, sputavamo anche noi: ma sangue. Anche per
tirare fuori dal carcere il Flavio Messalla di "Le mani rosse sulle Forze
Armate". Chi «sputerà» ancora i Broccoletti e i Finocchi? Potrebbe essere la «sputazza»
di Scalfaro. O di Mancino. No, questo no, qui si va a destra.
* * *
Crediamo di aver spiegato abbastanza perché riteniamo giusta la scelta operata
dal figlioccio della moglie di colui che ritirava le «valigie d'America».
Naturalmente è chiaro che tutto questo col fascismo non spartisce nulla.
Speriamo che lo capiscano i gonzi che si fanno ancora «sputare» addosso da
Publio Fiori, Gustavo Selva e Maria Fida Moro, esempi moderni di una
democristianità di basso conio, segno di tempi minimali. Ma non lo capiranno.
Son tutti presi a diventare consiglieri, assessori, sindaci, onorevoli,
senatori. Dal consiglio circoscrizionale a Strasburgo. Centro Addestramento
Reclute per Allievi Deputati. Il fascismo è veramente morto. Requiescat in pace.
Per tutti i morti che camminano, però, requiem aeternam dona eis, Domine. Non
possiamo augurare «lux perpetua lucebit vos per aeternitatem temporis». Tolgono
la fiamma e si privano della luce. Cadono nel buio. Il nonno ci raccontava che
la talpa è cieca perché barattò gli occhi con un pezzo di coda. Sono gli affari
di quelli destinati a scavarsi le tane sotto la terra. Sic transit gloria mundi.
V. E.
|