«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 1 - 31 Gennaio 1994

 

Nonostante tutto è il momento della metapolitica



Metapolitica. Un vocabolo qualche anno fa nuovo, con cui molti di noi cominciarono a sognare. Sì, il primato della cultura sulle istituzioni, le intuizioni di Gramsci e tutto il resto... Per non dire di Alain De Benoist, della riscoperta della magica parola in un saggio di Giacomo Marramao e dei maldestri tentativi di declinarne una serie di percorsi possibili. Il tutto nella forse inconsapevole confusione tra metapolitica e contenitori partitici e tra la stessa e la tradizionale strategia di penetrazione nelle sedi dell'industria culturale. Poi l'impasse, una crisi paralizzante di fronte ad un prepotente ritorno della politica, per di più caratterizzato da un bipolarismo da era maggioritaria che sembra annullare di fatto ogni pensabile terza via ed ogni praticabile ipotesi trasgressiva e di frontiera. Eppure, forse non è proprio il caso di disperare. Le fasi di passaggio spesso non appaiono subito come tali. Se ne è accorto anche Massimo Fini dedicando su "l'Indipendente" dello scorso 9 gennaio un intero editoriale alla impossibilità di ridurre una realtà sempre più complessa al solo schema Destra-Sinistra. «A me pare -scrive il giornalista- che in questo slombarsi della lotta politica italiana tra Destra e Sinistra, fra pseudo-conservatori e pseudo-progressisti, noi siamo, come sempre, alla retroguardia perché perdiamo di vista quello che sarà il vero scontro del futuro, che non è fra Destra e Sinistra [...] Negli Stati Uniti, paese che anche con troppa ottusità prendiamo a modello, è uscito un libro, "The anatomy of antiliberalism", che ha al centro proprio questa basilare questione: la Destra e la Sinistra, il conservatorismo e il progressismo, sono ancora in grado di comprendere (nel senso letterale del termine cioè di accogliere dentro di sé) i mutamenti del mondo? Oppure si tratta di categorie obsolete incistate in un filone di pensiero, quello illuminista, industrialista, che, sia nella versione marxista che in quello capitalista, ha fatto bancarotta?».
È un interrogativo, quello espresso da Massimo Fini, che sembra riaprire spiragli di libertà intellettuale in uno scenario politico-culturale rozzo e inefficace quale quello diffuso quotidianamente dal media-system. Se l'interrogativo fosse, come pensiamo sia, destinato a diffondersi, si riaprirebbe di fatto la possibilità di un vero e rinnovato impegno metapolitico.
Non è tempo per scoraggiarsi, quindi, ma per tornare invece ad ipotizzare nuove forme di impegno oltre i tanto sterili ripiegamenti di tipo politicante e le altrettanto sterili e comode fughe nel privato individuale. La partita è davvero tutta da giocare, si tratta solo di individuare i contesti di intervento. Quella che stiamo attraversando potrebbe, infatti, rivelarsi come una fase di semplificazione bipolare che, nonostante tutto, ci consentirà di individuare con più discernimento del passato spazi e ambiti per l'impegno metapolitico. E in questo senso se la politica si definirà sempre più come un ambito «professionistico» nel senso weberiano, con proprie regole e propri limiti ontologici, nello stesso tempo lascerà aperti i tanti spazi che in precedenza andava egemonicamente ad occupare. Conseguentemente nessuno si illuderà più di trasformare un partito o una coalizione elettorale, in un polo esistenziale o in una riserva di valori.
È davvero definitivamente finita ogni attribuzione escatologica e salvifica dell'orizzonte politico. Se ci si dividerà politicamente per diverse e contrapposte proposte di politica economica e fiscale, nessuno si sognerà di leggere conflitti d'ordine spirituale dietro gli scontri dei partiti. Ma diventa allora più urgente di prima -quando tanti equivoci rendevano di difficile comprensione il senso di un impegno metapolitico- cominciare a prospettare nuove ipotesi di elaborazione culturale e inedite sintesi di pensiero.
Amici di "Tabularasa": è forse arrivato il momento di farsi seriamente carico del disincanto postmoderno e delle sue presunte o reali contraddizioni, di capire come attraversarlo e di ricominciare davvero a pensare. Guardiamo alla nostra situazione: il nostro periodico è, al momento, uno «spazio differente» dove una serie di voci diverse sono unite più dai comuni disgusti che da un comune progetto, più da quello che «sanno di non voler più fare» che da quello che intendono costruire insieme. Ma adesso è arrivato il momento in cui schmittianamente si deve decidere. Il che non significa assolutamente cancellare scelte individuali, magari di tipo politico, ma semplicemente avviare un processo culturale per relativizzarle in un più ampio orizzonte di analisi. Che è, poi, quello di un rinnovato approccio metapolitico alla realtà, del quale, insieme, dovremmo definire i percorsi. Superamento delle categorie destra e sinistra, federalismo e regionalismo, elaborazione di una cultura moderna tragicamente aperta alla dimensione del Sacro, antirazzismo e lotta ad ogni progetto di omologazione: sono soltanto alcuni dei temi attorno ai quali negli anni si è andata costruendo una sensibilità comune. Si tratta ora di lavorare attorno a questo minimo comun denominatore individuando nuove solidarietà e nuovi antagonismi.
E per concludere un consiglio pratico: quello di leggere e divulgare Diorama letterario e Trasgressioni, due pubblicazioni che negli anni hanno costantemente rappresentato il solo tentativo non inquinato di impegno metapolitico e che forse hanno costituito l'unico riferimento possibile di tipo culturale per la sensibilità di cui stiamo parlando. Basta leggere l'ultimo numero speciale di Diorama -intitolato «L'ipotesi federalista: una prospettiva per l'Europa dei popoli»- per rendersene pienamente conto.
Detto questo c'è poco al momento da aggiungere. Chi preferisce tornare a gingillarsi tentando di individuare in uno dei due poli che vanno delineandosi (sì, quelli delineati nell'articolo di Massimo Fini: le vecchie Destra e Sinistra) lo spazio possibile (... dove, poi, forse quando gli equilibri lo consentiranno si potrà avviare un lavoro metapolitico...) per impegnarsi attivamente, è certamente liberissimo di farlo. Ma senza ipocrisie e infingimenti: si faccia politica (in fondo qualcuno dovrà pur occuparsene) ma non la si contrabbandi per qualcosa d'altro. Tanto meno come una scorciatoia lungo i sentieri della metapolitica.


Martin Venator
 


 

"Diorama" e "Trasgressioni": due riviste metapolitiche


II nostro invito è chiaro: un lettore di "Tabularasa" non può non leggere "Diorama letterario", il mensile di attualità culturali e metapolitiche pubblicato a Firenze e giunto ormai al numero 172. Tra i numeri speciali: il 154 («Destra e Sinistra»), il 158 («Grandezza e miseria del nazionalismo»), il 159 «Ancora su Destra e Sinistra»), il 164 («L'Europa oltre Maastricht»), il 166 («Razzismo e antirazzismo: le sfide della società multiculturale»), il 171 («L'ipotesi federalista»).
L'abbonamento annuale a Diorama si effettua versando 30mila lire sul conto corrente postale 148 98 506 intestato a Diorama letterario, Casella Postale 1364, 50122 Firenze 7. L'acquisto dei fascicoli arretrati della rivista può essere effettuato richiedendoli per fax (24 ore su 24) o per telefono (dal martedì al sabato, orario 16,30 -19,30) al numero 055 - 23.40.714, oppure per lettera (Casella Postale 1364, 50122 Firenze 7).
A chi ha interessi di maggiore approfondimento culturale consigliamo l'abbonamento a "Trasgressioni", il quadrimestrale di studi politici, al quale sinora hanno collaborato Alain De Benoist, Marco Tarchi, Franco Cardini, Guillaume Faye, e tanti altri esponenti del pensiero nonallineato. Tra gli altri, la rivista, ha ospitato saggi di Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Bifo, Ernst Nolte, Julien Freund e Vittorio Strada, oltre a interviste a Ernst Jünger e Gianfranco Miglio.
Per abbonarsi a Trasgressioni basta versare la cifra di 30mila lire sul conto corrente postale 203 68 500, intestato a «La Roccia di Erec», Casella Postale 1292, 50122 Firenze 7.

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