Nonostante tutto è il
momento della metapolitica
Metapolitica. Un vocabolo qualche anno fa nuovo, con cui molti di noi
cominciarono a sognare. Sì, il primato della cultura sulle istituzioni, le
intuizioni di Gramsci e tutto il resto... Per non dire di Alain De Benoist,
della riscoperta della magica parola in un saggio di Giacomo Marramao e dei
maldestri tentativi di declinarne una serie di percorsi possibili. Il tutto
nella forse inconsapevole confusione tra metapolitica e contenitori partitici e
tra la stessa e la tradizionale strategia di penetrazione nelle sedi
dell'industria culturale. Poi l'impasse, una crisi paralizzante di fronte ad un
prepotente ritorno della politica, per di più caratterizzato da un bipolarismo
da era maggioritaria che sembra annullare di fatto ogni pensabile terza via ed
ogni praticabile ipotesi trasgressiva e di frontiera. Eppure, forse non è
proprio il caso di disperare. Le fasi di passaggio spesso non appaiono subito
come tali. Se ne è accorto anche Massimo Fini dedicando su "l'Indipendente"
dello scorso 9 gennaio un intero editoriale alla impossibilità di ridurre una
realtà sempre più complessa al solo schema Destra-Sinistra. «A me pare -scrive
il giornalista- che in questo slombarsi della lotta politica italiana tra Destra
e Sinistra, fra pseudo-conservatori e pseudo-progressisti, noi siamo, come
sempre, alla retroguardia perché perdiamo di vista quello che sarà il vero
scontro del futuro, che non è fra Destra e Sinistra [...] Negli Stati Uniti,
paese che anche con troppa ottusità prendiamo a modello, è uscito un libro, "The
anatomy of antiliberalism", che ha al centro proprio questa basilare questione:
la Destra e la Sinistra, il conservatorismo e il progressismo, sono ancora in
grado di comprendere (nel senso letterale del termine cioè di accogliere dentro
di sé) i mutamenti del mondo? Oppure si tratta di categorie obsolete incistate
in un filone di pensiero, quello illuminista, industrialista, che, sia nella
versione marxista che in quello capitalista, ha fatto bancarotta?».
È un interrogativo, quello espresso da Massimo Fini, che sembra riaprire
spiragli di libertà intellettuale in uno scenario politico-culturale rozzo e
inefficace quale quello diffuso quotidianamente dal media-system. Se
l'interrogativo fosse, come pensiamo sia, destinato a diffondersi, si
riaprirebbe di fatto la possibilità di un vero e rinnovato impegno metapolitico.
Non è tempo per scoraggiarsi, quindi, ma per tornare invece ad ipotizzare nuove
forme di impegno oltre i tanto sterili ripiegamenti di tipo politicante e le
altrettanto sterili e comode fughe nel privato individuale. La partita è davvero
tutta da giocare, si tratta solo di individuare i contesti di intervento. Quella
che stiamo attraversando potrebbe, infatti, rivelarsi come una fase di
semplificazione bipolare che, nonostante tutto, ci consentirà di individuare con
più discernimento del passato spazi e ambiti per l'impegno metapolitico. E in
questo senso se la politica si definirà sempre più come un ambito
«professionistico» nel senso weberiano, con proprie regole e propri limiti
ontologici, nello stesso tempo lascerà aperti i tanti spazi che in precedenza
andava egemonicamente ad occupare. Conseguentemente nessuno si illuderà più di
trasformare un partito o una coalizione elettorale, in un polo esistenziale o in
una riserva di valori.
È davvero definitivamente finita ogni attribuzione escatologica e salvifica
dell'orizzonte politico. Se ci si dividerà politicamente per diverse e
contrapposte proposte di politica economica e fiscale, nessuno si sognerà di
leggere conflitti d'ordine spirituale dietro gli scontri dei partiti. Ma diventa
allora più urgente di prima -quando tanti equivoci rendevano di difficile
comprensione il senso di un impegno metapolitico- cominciare a prospettare nuove
ipotesi di elaborazione culturale e inedite sintesi di pensiero.
Amici di "Tabularasa": è forse arrivato il momento di farsi seriamente carico
del disincanto postmoderno e delle sue presunte o reali contraddizioni, di
capire come attraversarlo e di ricominciare davvero a pensare. Guardiamo alla
nostra situazione: il nostro periodico è, al momento, uno «spazio differente»
dove una serie di voci diverse sono unite più dai comuni disgusti che da un
comune progetto, più da quello che «sanno di non voler più fare» che da quello
che intendono costruire insieme. Ma adesso è arrivato il momento in cui
schmittianamente si deve decidere. Il che non significa assolutamente cancellare
scelte individuali, magari di tipo politico, ma semplicemente avviare un
processo culturale per relativizzarle in un più ampio orizzonte di analisi. Che
è, poi, quello di un rinnovato approccio metapolitico alla realtà, del quale,
insieme, dovremmo definire i percorsi. Superamento delle categorie destra e
sinistra, federalismo e regionalismo, elaborazione di una cultura moderna
tragicamente aperta alla dimensione del Sacro, antirazzismo e lotta ad ogni
progetto di omologazione: sono soltanto alcuni dei temi attorno ai quali negli
anni si è andata costruendo una sensibilità comune. Si tratta ora di lavorare
attorno a questo minimo comun denominatore individuando nuove solidarietà e
nuovi antagonismi.
E per concludere un consiglio pratico: quello di leggere e divulgare Diorama
letterario e Trasgressioni, due pubblicazioni che negli anni hanno costantemente
rappresentato il solo tentativo non inquinato di impegno metapolitico e che
forse hanno costituito l'unico riferimento possibile di tipo culturale per la
sensibilità di cui stiamo parlando. Basta leggere l'ultimo numero speciale di
Diorama -intitolato «L'ipotesi federalista: una prospettiva per l'Europa dei
popoli»- per rendersene pienamente conto.
Detto questo c'è poco al momento da aggiungere. Chi preferisce tornare a
gingillarsi tentando di individuare in uno dei due poli che vanno delineandosi
(sì, quelli delineati nell'articolo di Massimo Fini: le vecchie Destra e
Sinistra) lo spazio possibile (... dove, poi, forse quando gli equilibri lo
consentiranno si potrà avviare un lavoro metapolitico...) per impegnarsi
attivamente, è certamente liberissimo di farlo. Ma senza ipocrisie e
infingimenti: si faccia politica (in fondo qualcuno dovrà pur occuparsene) ma
non la si contrabbandi per qualcosa d'altro. Tanto meno come una scorciatoia
lungo i sentieri della metapolitica.
Martin Venator
"Diorama" e "Trasgressioni": due
riviste metapolitiche
II nostro invito è chiaro: un lettore di "Tabularasa" non può non leggere
"Diorama letterario", il mensile di attualità culturali e metapolitiche
pubblicato a Firenze e giunto ormai al numero 172. Tra i numeri speciali: il 154
(«Destra e Sinistra»), il 158 («Grandezza e miseria del nazionalismo»), il 159
«Ancora su Destra e Sinistra»), il 164 («L'Europa oltre Maastricht»), il 166
(«Razzismo e antirazzismo: le sfide della società multiculturale»), il 171
(«L'ipotesi federalista»).
L'abbonamento annuale a Diorama si effettua versando 30mila lire sul conto
corrente postale 148 98 506 intestato a Diorama letterario, Casella Postale
1364, 50122 Firenze 7. L'acquisto dei fascicoli arretrati della rivista può
essere effettuato richiedendoli per fax (24 ore su 24) o per telefono (dal
martedì al sabato, orario 16,30 -19,30) al numero 055 - 23.40.714, oppure per
lettera (Casella Postale 1364, 50122 Firenze 7).
A chi ha interessi di maggiore approfondimento culturale consigliamo
l'abbonamento a "Trasgressioni", il quadrimestrale di studi politici, al quale
sinora hanno collaborato Alain De Benoist, Marco Tarchi, Franco Cardini,
Guillaume Faye, e tanti altri esponenti del pensiero nonallineato. Tra gli
altri, la rivista, ha ospitato saggi di Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Bifo,
Ernst Nolte, Julien Freund e Vittorio Strada, oltre a interviste a Ernst Jünger
e Gianfranco Miglio.
Per abbonarsi a Trasgressioni basta versare la cifra di 30mila lire sul conto
corrente postale 203 68 500, intestato a «La Roccia di Erec», Casella Postale
1292, 50122 Firenze 7.
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