«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 2 - 15 Marzo 1994

 

Fascismo impossibile o possibile?


 

Lo spunto viene da un libro di Paolo Buchignani, "Un fascismo impossibile", di recente edito dalla Rizzoli. Un libro interessante e uscito nel momento giusto. Il protagonista è quel Berto Ricci, scrittore e poeta fiorentino, rimasto a lungo sconosciuto soprattutto nel dopoguerra.
A riscoprirlo e rivalutarlo fu, non a caso, proprio Beppe Niccolai. Principalmente a lui si deve il merito di averci fatto conoscere, apprezzare ed amare colui che, nella cultura del Ventennio, fu dai più considerato un eretico e quindi messo quasi all'indice. Non però da Bottai e dallo stesso Mussolini che lo vollero come loro collaboratore sia in “Critica fascista" che su "Il Popolo d'Italia". Già questa la dice abbastanza lunga circa la figura ed il pensiero di Berto Ricci.
Sicuramente personaggio scomodo. Inviso a tutti coloro, e purtroppo furono tanti, che videro il fascismo solo ed esclusivamente come un punto di approdo, di consolidamento e di difesa dei loro interessi particolari. Mal visto da quella crassa borghesia pantofolaia e arrivista contro la quale proprio lui si scagliò e lanciò i suoi anatemi.
«Il borghese vede i nemici in forma di pericoli. Esiste un pericolo comunista, ma vedere il comunismo sotto la specie del pericolo è tipico del borghese di destra, mentre a quello di sinistra succede altrettanto con il fascismo. Il Fascismo è e vuol essere non un pericolo ma il pericolo per il mondo borghese e i suoi rossi derivati, per il mondo del valore ricchezza... L'ideale del borghese è la vita comoda».
Ed ancora: «Partito dalla ricchezza come valore il borghese arriva alla ricchezza come valore unico di riferimento, metro degli uomini e dei popoli».
Evidentemente, e non poteva che essere così, la spietata e condivisibile critica di Berto Ricci al pensiero e all'azione borghese non fu che il punto di partenza per lo svolgersi del suo lucido ragionamento e delle sue taglienti e perentorie prese di posizione. Ciò avvenne principalmente ne "l'Universale", la rivista culturale da lui diretta. È qui che egli, soprattutto con i suoi "Avvisi", delinea compiutamente quello che Buchignani chiama, in chiave non certo negativa, «un fascismo impossibile» e che invece, per molti versi e per molte ragioni, oggi senza dubbio più attuali e più chiare di allora, si può sicuramente definire «il fascismo possibile».
Fino ad affermare che Berto Ricci, come spesso accade nella esistenza degli individui, fu per molti versi «eretico» in vita, ma è del tutto vivo e presente a tanti anni dalla sua morte. L'essere stato «eretico» da vivo non fu comunque certo un demerito. Fu anzi un merito. Oggi, dopo averlo letto e conosciuto, lo possiamo affermare con sicura e meditata fermezza.
I suoi "Avvisi", scritti a cavallo degli Anni Trenta e Quaranta e le sue "Stoccate", evidenziano a chiare lettere come egli sia, se lo si vuole etichettare, da considerarsi un fascista di sinistra, che si battè per la rivoluzione sociale. E lo fu con convinzione e determinazione. «Bisogna ricreare l'antitesi fascismo-capitalismo all'interno nell'istante in cui essa si attenua... Il nostro più immediato e più grave compito è qui. Le energie dirette altrove sono da considerarsi come disperse».
In contemporanea Romano Bilenchi, stretto collaboratore de "l'Universale", così si esprimeva: «II fascismo non è liberalismo, non è comunismo, non è sagristia o polizia borbonica -come molti vorrebbero- ma Rivoluzione, Rivoluzione dell'Italia perché Mussolini così partì e così arriverà».
Importanti le ultime parole che fanno chiaro riferimento al fascismo delle origini, quello sansepolcrista, e quasi profetizzato il fascismo repubblicano con i suoi diciotto punti di Verona.
Ma lasciamo parlare ancora lui, Berto Ricci: «Ma si sa o non si sa, si vuole o non si vuole sapere quello che significano le parole Stato Corporativo? Si vuol o non si vuole sapere che esse implicano l'intero governo della produzione e l'intera revisione della distribuzione: cioè presumibilmente la fine della borghesia patrimoniale e della ricchezza improduttiva in genere, la sintesi tecnica-capitale-lavoro, la mobilitazione economica senza più diserzioni possibili, la trasformazione radicale dei concetti di proprietà e d'intrapresa, la mussoliniana partecipazione sempre più intima dei lavoratori al processo produttivo, la mussoliniana giustizia sociale che sta all'assistenza, all'inquadramento sindacale, al riassorbimento dei disoccupati, alla risoluzione delle vertenze, come la conclusione sta alle premesse?»
Sono forse queste considerazioni superate? È forse questo, a distanza di sessanta anni, un fascismo impossibile? O non sono invece di estrema attualità per costruire il presente e guardare al futuro?
«Nel fascismo non hanno senso le parole sinistra o destra, e se l'avessero sarebbe senso esiziale e tale da combattersi ad ogni modo».
Ma andiamo avanti e lasciamo parlare sempre il nostro protagonista: «L'obiettivo della nostra marcia, sul terreno economico, è la realizzazione di una più alta giustizia sociale per il popolo italiano».
Ma a riguardo dei termini sinistra e destra ecco un altro tagliente e perentorio pensiero: «Tocca guardarsi non tanto dal nemico di sinistra, domabile se non domo, quanto dall'amico di destra, e destramente buttarlo a mare».
Ma l'attualità di Berto Ricci va oltre. «Il centro è compromesso, noi fummo affermazione simultanea degli estremi della loro totalità. Il centro è una media aritmetica, noi fummo una composizione di forze. Il centro, cioè la mediocrità accomodante, fu e resta per noi il nemico numero uno».
Sembrano parole dette qualche giorno fa e indirizzate a tutti coloro, e sono oramai tantissimi, che si affannano, rinnegando identità e memoria storica, nella folle corsa verso il centro. Tra compromessi, appunto, e mediocri accomodamenti.
Un fascista «rosso» come Berto Ricci, calato nella realtà attuale, rifiuterebbe senza alcun dubbio la corsa al moderatismo che caratterizza, in negativo, lo scontro elettorale in atto nel nostro Paese.
Ma il fascismo impossibile-possibile di Berto non si ferma sicuramente qui, anche se sarebbe già sufficiente. Vi è altro ancora. La sua «eresia» aveva da tempo puntato il dito accusatore verso quello che noi siamo soliti chiamare il male americano. Quel tipo di società che giorno dopo giorno sta distruggendo inesorabilmente la nostra società e i nostri più autentici valori.
«Gli anglosassoni. La lotta è dunque tra noi e loro. Tra loro che sono bestie progredite e noi che siamo civilissimi uomini primitivi. Ecco perché l'America ci invade e ci avvelena con la sua civiltà senza sale... Sulla via del Primato c'è John Bull e Uncle Sam. E Cesare dovrà levarseli di tra piedi».
Fascismo impossibile anche questo? Fuori dalla realtà? Da consegnarsi alla storia come qualcuno vorrebbe? La risposta è no. Secca e urlata.
Di recente in un articolo dal titolo "Oggi ci vorrebbe un Berto Ricci", l'amico Giano Accame ha testualmente scritto: «Berto Ricci proprio ora ci riappare come un patrimonio non più solo di parte e un po' per tutti... Testimone di un modo possibile e universale di intendere ed amare l'Italia senza inchinarsi ai poteri del denaro, che supera i confini elettorali e di regime».
Componente e testimone oggi vivo più che mai di quel fascismo-movimento in antitesi al fascismo-regime che egli avversò sempre apertamente e criticò senza mezzi termini, al quale sicuramente si può e si deve ancora guardare e abbeverarsi.
La conclusione, come ci sembra ovvio e doveroso, la lasciamo ancora una volta a lui, ad uno dei suoi tanti e indimenticabili "Avvisi": «Finché il controllore ferroviario avrà un tono con i viaggiatori di prima classe, e un altro tono, leggermente diverso, con quelli di terza; finché l'usciere ministeriale si lascerà impressionare dal tipo "commendatore" e passerà di corsa sotto il naso del tipo "povero diavolo", magari dicendo torno subito; finché l'agente municipale sarà cortesissimo e indulgentissimo con l'auto privata, un po' meno col taxi o quasi punto con quella marmaglia come noi che osa ancora andare con i suoi piedi; finché il garbo nel chiedere i documenti sarà inversamente proporzionale alla miseria del vestiario; finché il principale criterio nello stabilire la gerarchia sociale degli individui sarà il denaro o l'apparenza del denaro, secondo l'uso delle società nate dalla rivoluzione borghese, delle società mercantili... potremo dire e ripetere che c'è molto da fare per il fascismo. Il che poi non è male. Non è male, a patto che lo si sappia bene».
E noi, caro Berto e caro Beppe, questo lo sappiamo benissimo. Perché siamo un po' eretici, poco accomodanti e un po' presuntuosi come voi. Maledetti toscani senza dubbio. Ma soprattutto perché sappiamo che il vostro fascismo, che è il nostro, è possibile.
 

Gianni Benvenuti

Indice