«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 2 - 15 Marzo 1994

 

Il voto è indice di compromesso

 


Ma un dì verrà, greve, tremendo, orrido, quando il mare medesimo romperà i suoi fianchi e il cielo stanco d'orrori scardinerà le volte su questa terra maledetta. Le vittime s'avvinghieranno ai carnefici e di su quella mina si leveranno come uccelli di sterminio i neri vessilli della rivolta.
Lorenzo Viani, "Ritorno alla Patria", 1929


Quello che viviamo, è il tempo degli uomini. Così l'amico Vito Errico. Tempo di uomini duri e pacati che hanno assistito, silenziosi, alla distruzione di tutte le libertà creatrici, ma che oggi intendono scuotersi. Ribellarsi. Che cominciano a chiedersi perché, questa progenie forse generata dagli dei, capace di tutte le grandezze, permeata da tutte le glorie, si sia trasformata in una massa untuosa impastata di nefandezze, infamia e vigliaccheria; addirittura eccitata, con la stessa foia dei cinquemila malandrini che la invitano alle urne.
Ora tocca a questi uomini, che hanno osservato distaccati lo scorrere del tempo, indirizzare la massa e costringerla ad assumere, finalmente, la fisionomia di popolo. Affinchè la smetta di delegare ad una accozzaglia di novelli lanzichenecchi -bestia trionfante- i propri destini. Perché impedisca ulteriori scorrerie delle variegate bande che intendono, sotto altre spoglie, definitivamente saccheggiare quel poco che ancora resta, ancorché dissimulato, nell'animo di ciascuno di noi: speranza ed orgoglio.
È tempo di capire. Gli schieramenti contrapposti, che si combattono per la conquista del potere, non hanno alcuna differenziazione sul piano ideologico. Se la «destra» -coacervo di parvenus- dovesse assidersi al desco, darebbe luogo alla rappresentazione di una tristissima commedia. Professorucoli d'accatto, speculatori rampanti, avventurieri del mondo politico «nuovo», insomma un intruglio di lestofanti, sarebbero in grado di garantire, tutt'al più, una ancor più misera esistenza a chi, con inenarrabili sofferenze, ha prodotto ricchezze dissipate da qualche migliaio di cialtroni o finite in mano a gruppi di pressione politico-finanziari.
La «sinistra» è altrettanto inaffidabile perché degenerata in una liberaldemocrazia che la umilia nel suo travestimento scenico.
Ambedue gli schieramenti accorrono verso il centro. Pronti ad amalgamarsi con i resti del vecchio sistema che non solo resiste, ma dimostra tutta la propria vitalità producendo quelle metastasi che mimano battaglie per non offrire programmi. Loro mèta è la conquista dei vertici delle istituzioni al fine di garantirsi l'impunità per i loro prossimi loschi affari. Tirannelli che si arrogano il diritto di legiferare a proprio piacimento e perpetuare la violenza che subiamo da decenni: tangenti, malasanità, disoccupazione, licenziamenti, chiusura delle fabbriche, connivenza mafiosa con la classe imprenditoriale che li foraggia. A queste violenze sarebbe necessario contrapporre altrettanta violenza. La quale, dopo tutto, sarebbe legittimata dal fatto che le leggi a cui dobbiamo sottostare sono da considerarsi illegali essendo state promulgate da banditi che hanno appestato le istituzioni e la politica. E fra non molto, molti di loro andranno ad infestare anche le patrie galere.
È tempo di uscire dal letargo. Per non sentirci plebaglia, per non esser sempre ridicolizzati. Se colpe abbiamo avuto, quale quella di esserci rassegnati, per la «superiore fatalità storica», di soggiacere ai voleri di impostori di tutte le razze, bene, le nostre colpe sono da considerarsi largamente espiate. Oggi si impone l'obbligo di rendere attuale tutta una serie di valori civili per far risaltare quelli sociali. Per preparare l'avvento di una società fondata su una nuova civiltà che possa sviluppare una comunità non borghese, e neppure proletaria, bensì composta da uomini che si sono dati leggi appropriate ai loro tempi e per quelli che verranno. È finita l'epoca degli equilibri, dei compromessi, dell'adattamento alle occasioni. Se pur liberi politicamente, in realtà siamo stati sempre schiavi, lasciando agli altri la gestione della cosa pubblica. Essa deve legittimamente tornare in possesso del popolo per dare, ai giovani, non speranze, ma certezze.
 

a. c.

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