Il voto è indice di
compromesso
Ma un dì verrà, greve, tremendo, orrido, quando il mare medesimo romperà
i suoi fianchi e il cielo stanco d'orrori scardinerà le volte su questa terra
maledetta. Le vittime s'avvinghieranno ai carnefici e di su quella mina si
leveranno come uccelli di sterminio i neri vessilli della rivolta.
Lorenzo Viani, "Ritorno alla Patria", 1929
Quello che viviamo, è il tempo degli uomini. Così l'amico Vito Errico. Tempo di
uomini duri e pacati che hanno assistito, silenziosi, alla distruzione di tutte
le libertà creatrici, ma che oggi intendono scuotersi. Ribellarsi. Che
cominciano a chiedersi perché, questa progenie forse generata dagli dei, capace
di tutte le grandezze, permeata da tutte le glorie, si sia trasformata in una
massa untuosa impastata di nefandezze, infamia e vigliaccheria; addirittura
eccitata, con la stessa foia dei cinquemila malandrini che la invitano alle
urne.
Ora tocca a questi uomini, che hanno osservato distaccati lo scorrere del tempo,
indirizzare la massa e costringerla ad assumere, finalmente, la fisionomia di
popolo. Affinchè la smetta di delegare ad una accozzaglia di novelli
lanzichenecchi -bestia trionfante- i propri destini. Perché impedisca ulteriori
scorrerie delle variegate bande che intendono, sotto altre spoglie,
definitivamente saccheggiare quel poco che ancora resta, ancorché dissimulato,
nell'animo di ciascuno di noi: speranza ed orgoglio.
È tempo di capire. Gli schieramenti contrapposti, che si combattono per la
conquista del potere, non hanno alcuna differenziazione sul piano ideologico. Se
la «destra» -coacervo di parvenus- dovesse assidersi al desco, darebbe luogo
alla rappresentazione di una tristissima commedia. Professorucoli d'accatto,
speculatori rampanti, avventurieri del mondo politico «nuovo», insomma un
intruglio di lestofanti, sarebbero in grado di garantire, tutt'al più, una ancor
più misera esistenza a chi, con inenarrabili sofferenze, ha prodotto ricchezze
dissipate da qualche migliaio di cialtroni o finite in mano a gruppi di
pressione politico-finanziari.
La «sinistra» è altrettanto inaffidabile perché degenerata in una
liberaldemocrazia che la umilia nel suo travestimento scenico.
Ambedue gli schieramenti accorrono verso il centro. Pronti ad amalgamarsi con i
resti del vecchio sistema che non solo resiste, ma dimostra tutta la propria
vitalità producendo quelle metastasi che mimano battaglie per non offrire
programmi. Loro mèta è la conquista dei vertici delle istituzioni al fine di
garantirsi l'impunità per i loro prossimi loschi affari. Tirannelli che si
arrogano il diritto di legiferare a proprio piacimento e perpetuare la violenza
che subiamo da decenni: tangenti, malasanità, disoccupazione, licenziamenti,
chiusura delle fabbriche, connivenza mafiosa con la classe imprenditoriale che
li foraggia. A queste violenze sarebbe necessario contrapporre altrettanta
violenza. La quale, dopo tutto, sarebbe legittimata dal fatto che le leggi a cui
dobbiamo sottostare sono da considerarsi illegali essendo state promulgate da
banditi che hanno appestato le istituzioni e la politica. E fra non molto, molti
di loro andranno ad infestare anche le patrie galere.
È tempo di uscire dal letargo. Per non sentirci plebaglia, per non esser sempre
ridicolizzati. Se colpe abbiamo avuto, quale quella di esserci rassegnati, per
la «superiore fatalità storica», di soggiacere ai voleri di impostori di tutte
le razze, bene, le nostre colpe sono da considerarsi largamente espiate. Oggi si
impone l'obbligo di rendere attuale tutta una serie di valori civili per far
risaltare quelli sociali. Per preparare l'avvento di una società fondata su una
nuova civiltà che possa sviluppare una comunità non borghese, e neppure
proletaria, bensì composta da uomini che si sono dati leggi appropriate ai loro
tempi e per quelli che verranno. È finita l'epoca degli equilibri, dei
compromessi, dell'adattamento alle occasioni. Se pur liberi politicamente, in
realtà siamo stati sempre schiavi, lasciando agli altri la gestione della cosa
pubblica. Essa deve legittimamente tornare in possesso del popolo per dare, ai
giovani, non speranze, ma certezze.
a. c.
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