Mediterraneo, a nord di
un'idea
Non so se la grande stampa,
sempre più funzionale agli interessi di vecchi e nuovi padroni, avrà modo di
accorgersi di quello che è accaduto in Calabria e, più vastamente, nell'intero
Meridione. Quand'anche lo facesse, non si discosterebbe dal giudizio negativo e
dalla rampogna espressi ieri (28.2.1994) dal "Corriere" che, beninteso, ci fanno
onore. Del resto, non è cosa da poco conto -epperciò preoccupa i manovratori!-
l'esser riusciti a costruire, in contingenze proibitive, la sola aggregazione
politica che non nasce nei lussuosi alberghi di Via Veneto, nei decadenti
palazzi romani e milanesi, ma in mezzo al popolo, nelle strade e piazze di
queste Terre nostre troppo a lungo mortificate.
Un'aggregazione che non ha nulla a che fare -né da spartire- con gli enfatizzati
quanto vacillanti «cartelli» elettorali, pronti a disintegrarsi il giorno dopo
il voto. Che ha un suo progetto, un proprio originalissimo programma, i cui
contenuti sono talmente innovativi che gli «altri» non esitano ad apostrofarli
(sic!) come rivoluzionari.
«Unione Mediterranea»: ecco il nome di battesimo del Movimento -che nelle
ambizioni di qualche visionario potrebbe divenire, in prospettiva, il quarto
polo della politica italiana- cui aderiscono "Calabria Libera", "Sicilia
Libera", "Movimenti federalisti" di Campania, Basilicata, Puglia. Avessimo avuto
più tempo a disposizione -ed i «mezzi» necessari- ci sarebbero stati dentro
gruppi dell'Abruzzo e del Lazio, qualcosa in Toscana e forse in Emilia.
Intanto, ci sono Staiti e Bigliardo, Gabbianelli e Tempesta, tanto per parlare
in senso, come dire? ontologico. Ma -ecco il punto- ci sono uomini e donne,
associazioni, movimenti, comunità, che si ritrovano intorno ai medesimi
obiettivi, avendo fatto le più diverse esperienze culturali e, persino,
ideologiche. Sembra quasi il segno dei tempi che cambiano. Un piccolo,
significativo, momento di chiarezza fra tanta confusione che dilaga. Timidi
raggi di luce nelle tenebre.
Dovrei occupare quest'intero numero di "Tabularasa", ed avere la possibilità di
restare per qualche ora alla scrivania, per ripercorrere le tappe essenziali,
soprattutto quelle apparentemente ambigue e contraddittorie, attraverso le quali
siamo approdati al... Mediterraneo. Idea antica, «di ieri, di oggi e di sempre»,
fascinosa suggestione stratificata nell'animo e nel sangue di ciascuno, lungo
millenni... Bisogna avere l'orecchio attento ai ritmi ed ai tempi della politica
e della storia. Questo mi permettevo di suggerire, dalle colonne della rivista,
a quanti mugugnavano e non capivano. Per difetto di spiegazione, ovviamente, ma
anche -mi sia consentito- per una sorta di pregiudizio che è nemico mortale
della comunicazione e del dialogo.
L'orecchio attento... eppoi: non rifiutare di discutere, né di mettersi in
discussioni, soprattutto quando le idee nelle quali si crede sono quelle giuste.
La strada migliore per vederle sconfitte, in questo caso, è quella delI'auto-ghettizzazione.
L'orecchio attento... per non cadere nella trappola mortale del velleitarismo
pseudo-rivoluzionario; per non umiliare la propria verità obbligandola a
diventare dogma; per non illudersi di poter dichiarare guerra a potentissimi
nemici, possedendo una pistola e qualche decina di pallottole...
Questi elementi davvero basilari di ogni strategia anti-sistema non li ho mai
dimenticati e neppure l'insegnamento che deriva da esperienze precedenti, sempre
fallimentari. E forse per questo siamo riusciti a sopravvivere quando tutti ci
davano per spacciati.
Adesso possiamo dire -e posso!- ce l'abbiamo fatta. Al di là del risultato
elettorale. Che non per quello abbiamo prodotto uno sforzo incredibile, al
limite delle nostre possibilità.
II successo politico -che si elegga o meno qualche deputato o senatore- è
segnato dalla capacità di aver messo in campo un'ipotesi «altra», un diverso
approdo.
Un programma che lanciando la sfida del «Mercato Comune Mediterraneo», ritrova
l'idea di queste nostre Terre e di questa penisola, quale crocevia tra il Nord e
il Sud del mondo, l'oriente e l'occidente.
Ne parleremo dopo, caro Direttore. Ne parleremo comunque vada. E sono pronto a
sfidare chiunque abbia una «visione» della vita e del mondo, che è la tua e la
mia, a dire che la conclusione di questo processo sia incoerente o riduttiva.
Tra i tanti messaggi che ho ricevuto in questi giorni, due cartoline che
conserverò tra le cose più preziose e care.
Da Roma, Salvatore Fazzini: «La Dea della guerra sacra segue col suo sguardo
azzurro il cammino della nostra vittoria».
Da Milano, Francesco Russo: «II vero lavoro di un uomo è quello che egli sta per
fare, non ciò che è dietro di lui», Ezra Pound.
Beniamino
Donnici
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