«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 2 - 15 Marzo 1994

 

La sinistra e la «questione fascista»


 

1° gennaio 1955. Il quotidiano «paracomunista», come allora si diceva, "Paese Sera" ospita, dedicata ai temi più vari, una intervista dell'on. Pietro Nenni, leader del Partito Socialista Italiano. Vi si coglie una frase sorprendente, ancora oggi di grande interesse, che dovrebbe incitare a serie riflessioni non solo e non tanto la cosiddetta Alleanza Nazionale quanto il PSI, o ciò che di esso irrazionalmente disperso e diruto resta. Vediamo: «Da noi la destra esprime soltanto istinti antisociali, di conservazione e di reazione. Tipico il caso dei fascisti che, per inserirsi nella politica reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro Capo ed a rinnegare l'unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a dire l'opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie dei paesi arrivati».
Sorprendente, nevvero? Ed anche, diremmo di straordinaria attualità. Non le sembra, on. Fini? Pensi che lo spregio per i «pugnalatori» di Mussolini e il riconoscimento della «rispettabilità» di una tradizione antiplutocratica vengono non da un fascista dissidente, da un fascista «di sinistra», bensì da uno dei massimi leaders dell'antifascismo puro e duro, da un grande esponente dell'antifascismo militante e combattente.
Un giovane ex-marò della Decima Mas, ferito alla testa sul fronte di Nettuno pugnando nei ranghi del battaglione "Barbarigo", Landò Dell'Amico, ritiene di poter affermare -in un suo libro uscito nel febbraio del '55 per i tipi della "Opere Nuove", editrice di ispirazione socialdemocratica, sotto il titolo "II Mestiere di Comunista"- che in realtà Nenni «lamentava ancora in questi termini l'assenza nel paese di un movimento fascista orientato a sinistra».
L'interpretazione ci sembra azzardata; però è anche vero che il Dell'Amico, presidente di una struttura dei cosiddetti Partigiani della Pace (il "Comitato Giovanile Patriottico contro le basi militari straniere in Italia"), era in rapporti con il segretario del PSI da cui gerarchicamente dipendeva essendo Nenni presidente nazionale e vicepresidente internazionale dell'organizzazione, dalla quale si dimise nel '56 a seguito della invasione dell'Ungheria da parte delle armate URSS e della solidarietà accordata dal PCI ai sovietici. Da notare che Landò Dell'Amico aveva aderito ai Partigiani della Pace in rappresentanza di un certo gruppo di fascisti di sinistra raccolti intorno alla rivista quindicinale "Il Pensiero Nazionale", diretto dallo scrittore e giornalista Stanis Ruinas, esponente culturale della RSI. Ma nel '53 ruppe con gli uni e con gli altri in conseguenza delle repressioni antioperaie a Berlino Est.
Ora, indipendentemente dal discutibile identikit di quelle sinistre e dalla plausibilità ideologica di quelle alleanze, quanto riferito e ci accingiamo a riferire dimostrano ad abundantiam la insostenibilità della tesi di Fini, e di coloro che lo hanno preceduto alla testa del MSI-DN, stando alla quale essi non avrebbero avuto altra scelta che quella di Destra, causa l'avversione viscerale di tutte indistintamente le sinistre nei confronti del notevolmente residuato dall'esperienza del Littorio anche a livello sociale e di interpretazione storica.
Ma seguiamo ancora il marò del "Barbarigo" nella scorribanda rievocativa. A proposito delle citate parole nenniane così chiosa: «È da notare che l'on. Nenni, alla vigilia delle elezioni del 1953, aveva tentato un'operazione di questo genere aprendo le pagine de "l'Avanti!" all'ex direttore "erresseista" del quotidiano "La Stampa" di Torino, Concetto Pettinato, il quale non venne poi incluso nelle liste elettorali fiancheggiatrici (come avvenne, invece, per il membro del governo di Salò Ferruccio Ferrini e per altri noti esponenti della RSI), solo per l'energica reazione degli ambienti partigiani torinesi che accusavano il Pettinato di aver denunziato ai tedeschi, nel 1944, i giornalisti e i tipografi antifascisti de "La Stampa"». Dove il giovane Dell'Amico fa un po' di demagogia per farsi accettare dagli antifascisti più intrattabili, certamente in preda a pulsioni emotive anche per la relativa prossimità temporale agli anni della guerra civile. In verità, chi montò sul caval d'Orlando fu Vittorio Foa, che scrisse una pepatissima lettera di protesta al direttore del quotidiano socialista, Tullio Vecchietti, così costretto a desistere dal tentativo di dialogo.
Il Foa di oggi è altra cosa. Secondo noi, eccede in senso opposto quando, lui uomo di sinistra -e sia pure di una certa sinistra che, deplorevolmente, annuncia la morte di un socialismo neppure nato come realizzazione effettuale-, plaude a Gianfranco Fini intuito come il possibile e desiderabile autore di una destra democratica, costituzionale, sistemica. Meglio avrebbe fatto, negli Anni Cinquanta, a favorire o, quanto meno, a non ostacolare l'iniziativa di Nenni e Vecchietti. Che, sia detto per inciso, non celava affatto una operazione filo-sovietica, perché proprio nel '53 il PSI veniva elaborando la strategia della «alternativa socialista» annunciatrice della svolta autonomista. Allora Vittorio Foa, esponente autorevolissimo della corrente più estrema, non si rese conto che solo da uomini come Pettinato si sarebbe potuto attendere efficaci ausili nella buona battaglia combattuta (e perduta) per evitare che la liquidazione del frontismo e la disponibilità a governare sfociassero nel ministerialismo, nel moderatismo, nell'imborghesimento e, in definitiva, in Tangentopoli.
Ma, siamo giusti, neppure i comunisti potrebbero essere tacciati di indifferenza verso il problema di un rapporto costruttivo e vitalizzante con le masse reduci dalla complessa vicenda fascista e con i loro gruppi dirigenti. Vediamo come in proposito, si esprimeva nell'agosto del '47 Palmiro Togliatti, promulgatore nel precedente anno di una larga amnistia pacificatrice, concessa nella sua veste di ministro di grazia e giustizia: «Non nascondiamo le nostre simpatie per quegli ex fascisti, giovani o adulti, che sotto il passato regime appartenevano a quella corrente in cui si sentiva l'ansia per la scoperta di nuovi orizzonti sociali... Noi riconosciamo agli ex fascisti di sinistra il diritto di riunirsi e di esprimersi liberamente conservando la propria autonomia».
C'era, in queste enunciazioni -apparse ne "La Repubblica d'Italia", quotidiano serotino di Roma da cui "Paese Sera" sarebbe stato poi filiato-, un interesse comunista a contattare i lavoratori, i combattenti, i giovani della sponda mussoliniana o, di farne degli alleati nella lotta per il potere? Sicuramente, perché essa si annunciava particolarmente dura per il terrificante potenziale d'urto che caratterizzava lo schieramento avversario, nel quale figuravano ninnoli come gli USA, la grande stampa d'informazione, tutto il variegato mondo occidentale, le confederazioni padronali, il sindacalismo cattolico e laico-socialdemocratico, la Chiesa, i partiti moderati di centro, la destra etc. etc. E tuttavia l'interesse per il tema dell'unità della «generazione della Gotica» -queste le parole per alludere alla famosa «linea» che aveva diviso l'Italia in due e non solo territorialmente- era autentico ancorché ancora privo di innesti elaborativi adeguati. Peraltro, quale leader propone «superamenti» e sinergie senza avere in mente un qualche vantaggio per la causa di cui è paladino?
Sulla questione fascista la Sinistra, allora, fu insufficiente, non colpevole. Anzi, il fatto di averne intuito l'esistenza è da ascrivere a suo merito. Casomai, è stata ed è responsabile di un successivo disinteresse, degenerato, poi, fino al punto di sospettare di filo-fascismo e, addirittura, di fascismo occulto chi ne segnalava l'esistenza, l'attualità, l'imprescindibilità. Ed ha finito col trovarsi fra i piedi un MSI-DN dilatato oltre ogni dire e una massa di gente graziosamente regalata alle forze reazionarie. Di più: notevoli realtà attivistiche ed intellettuali interne al partito missino sono restate prigioniere della politica conservatrice di Gianfranco Fini perché senza prospettive di confronti, di Ioghi, aperture, diversi da quelli con i transfughi della destra democristiana e con Forza Italia.
A dicembre la Sinistra nel suo insieme, e particolarmente il PDS, ha raccolto nell'area ex o post fascista la tempesta che era logico attendersi dopo avere seminato tanto vento. E ora tenta di esorcizzare il «mostro» -così una volta essa chiamava qualunque cosa riteneva, a torto o a ragione, apparentata con il fascismo- scagliandogli nelle fauci cioccolatini e petali di rosa. Pertanto, assistiamo a quegli sdilinquimenti televisivi fra il segretario della Fiamma e Massimo D'Alema che mandano in brodo di giuggiole gli amici de "L'Italia settimanale" mentre a noi, viceversa, fanno saltare i nervi ritenendo, da sinistra, la «questione fascista» talmente seria, importante, fondamentale, da non meritare l'ingresso nelle pagine di "Grand'Hotel" o di "Sorrisi e Canzoni".
Ancor più intollerabile è, sempre per noi, la traduzione politica di questo minuetto nel quale si distinguono insieme a Foa vari personaggi della sinistra di radice azionista come, ad esempio, Valiani e Bobbio. Costoro, più o meno esplicitamente, diffondono dichiarazioni di compiacimento per una vera o presunta intenzione del Fini di dotare l'Italia di una destra democratica. Evidentemente, per gli eminenti personaggi citati ed altri di pari indirizzo, il compito della Sinistra consiste nello stimolare una buona qualità della Destra onde metterla nella migliore condizione per farla vincere e non nel dilatare la Sinistra oltre i suoi spazi tradizionali per elevarne le potenzialità d'urto e di successo.
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Chi si contenta gode. Ben diversa è la nostra posizione. Noi riteniamo che la «questione fascista» possa avere un interesse solo a patto che le si dia -anche mediante l'intervento positivo di culture espressive delle tradizioni migliori del movimento operaio- uno sbocco fisiologico. Intendiamo con ciò dire che essa deve risolversi nel senso dell'utilizzo pieno della sostanza del fascismo-movimento -e relativi contenuti di rivoluzione sociale, di avanguardia democratica, di estensione e irrobustimento del ruolo internazionale dell'Italia- che è stato merito grande, non solo sotto il profilo scientifico, di Renzo De Felice avere messo in luce. Pensiamo, conseguentemente, che la Sinistra debba, cessata la bagarre elettoralistica, mettersi a fare le cose con molta serietà. Ossia: smetterla con le occhiatine tenere al Gianfranco Fini in versione più o meno «democratica», ormai assolutamente irrecuperabile, con tutto il suo gruppo dirigente e i suoi giornali, a un discorso che abbia un qualche senso per la Sinistra; riscoprire la «questione fascista» in termini aggiornati rispetto a quelli -troppo «perdonistici» e riciclatorii- degli Anni Quaranta-Cinquanta; farla riemergere icasticamente attraverso uno strumento perfettamente rivoluzionario quale il dialogo diffuso e sinergico; acquisire la consapevolezza che il suo baricentro non può che essere nelle realtà profonde di un partito come quello missino, tutte da liberare da un gruppo dirigente ormai irrimediabilmente compromesso non solo con le idee conservatrici, ma con gli interessi di quella che una volta soleva chiamarsi «destra economica»; guarire dall'errore di offrire ai vari o presunti «fascisti» soluzioni e messaggi improntati al moderatismo, solo perché ritenuti, in quanto coinvolti, magari loro malgrado, in vicende di destra, proclivi al minimalismo e alle radicalizzazioni nazionali; rendersi conto che chi guarda con coinvolgimento alla storia e ai modelli della Repubblica Sociale Italiana non è necessariamente fascista e se lo è nello scegliersi quel referente ha inteso optare non per la conservazione e il moderatismo bensì per la rivoluzione; uscire dal pregiudizio che chi opera nell'ambiente che, per farci intendere, definiremo «popolare-nazionale», è inevitabilmente un nemico della democrazia e un liberticida.
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È pronta la Sinistra per un compito del genere? Rispondere affermativamente sarebbe temerario. Rispondere negativamente sarebbe da pessimisti, da rinunciatari, da disfattisti, da deboli. I nostri dubbi hanno un sostrato ideologico, anzitutto. In generale la Sinistra risulta troppo appesantita e deformata da quel che c'è di frenante -e non tutto, sicuramente, lo è- nella cultura dell'azionismo. Specie dopo la svolta occhettiana del PDS, che non ha sostituito in modo soddisfacente il vecchio assetto ideologico marxista leninista del fu PCI. Noi mai credemmo alla favola strumentale della egemonia marxista leninista sulla cultura italiana. Chi voleva vedere e, soprattutto, capire, non poteva non rendersi conto che, al di là delle apparenze, in cabina di regia c'era l'azionismo, che esercitava un imperium indiretto, implicito, soft, in primo luogo proprio sui partiti che, formalmente, si richiamavano al marxismo leninismo e, dunque, su di esso.
Rispetto alla «questione fascista» -peraltro dagli azionisti reputata inesistente- quale ne era, ne è, il canone ineludibile? È presto detto: per la dottrina dell'azionismo, fino alla consumazione dei secoli il pianeta sempre si dividerà in fascisti e antifascisti, perché questa sarebbe la contraddizione fondamentale, per non dire unica, della storia. Il Lettore non si lasci ingannare dall'involucro moralistico di codesta posizione. La sua funzione consiste nel garantire la massima copertura -all'interno della Sinistra, latamente intesa- ai grandi interessi borghesi e ai loro collegamenti internazionali, rispetto alle contraddizioni reali della società capitalistica, ossia quelle di classe.
Evidente è che al capitalismo italiano e internazionale giova un discorso «progressista» e «nuovista» che agganci masse di ceto medio su tematiche laiciste, permissiviste, istintualiste, istituzionaliste, portate politicamente avanti anche con grande audacia progettuale, ma non fino al punto di mettere minimamente in discussione gli assetti di potere fondati sul primato del capitale monopolistico e della ideologia borghese, suo portavoce nello scontro decisivo nel campo del pensiero. Giova, soprattutto, che aspetti basilari di quest'ultima trovino sempre più udienza in un partito operaio, popolare, di massa largamente condizionabile perché uscito esausto, sconfitto da una lunga, complessa, contraddittoria ventura marxisticamente e leninisticamente ispirata e, pertanto, desideroso di rilanciarsi, di rimontare, presentandosi come «sinistra di governo» con concetti e linguaggi esaustivamente rinnovati in una chiave di moderazione che, talvolta, finisce per assumere i tratti del moderatismo.
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In rapporto a tutto ciò appaiono funzionali la tesi, la parola d'ordine, l'ossessione di un fascismo perennemente «nemico principale» e, anzi, «unico»; rischio permanente per la civiltà; pericolo da sempre e per sempre e in ogni luogo del mondo incombente, contro il quale è giusto, sacrosanto, doveroso, inevitabile mobilitare tutto l'antifascismo possibile e immaginabile in una dimensione tanto «unitaria» da rendere insignificanti, le differenze di classe fra i suoi comparti e, dunque, da stabilizzare l'egemonia plutocratica. Orbene, proprio tale «funzionalità» rende, oggi, la Sinistra impermeabile ad una caratterizzazione dialogica idonea a farne l'interlocutore credibile della cultura, delle pubblicazioni militanti, delle forze le cui radici affondano nell' humus di quel «fascismo movimento» di sapore popolare-nazionale calamitato nel dibattito contemporaneo dalle ricerche e dalle analisi di Renzo De Felice.
Esso tante somiglianze suggerisce se non con l'esperienza pratica, con gli annali, con le res gestae, certo con le elaborazioni del movimento operaio, purché si accetti di guardare alle idee, agli ideali, alle battaglie di quella corrente con occhi non velati da pregiudizi e da pregiudiziali. E mondi dalle passioni, dilaceranti e infeconde, accumulate in tre quarti di secolo. Anzi, nutrendo la convinzione ferma che da un confronto serio, pacato, profondo, possono scaturire stimoli per comuni traguardi sociali e per una generale liberazione dai condizionamenti variamente di destra che si patiscono dentro i rispettivi schieramenti.
Direttore permettendo, torneremo sul tema, anzi sui temi, del rapporto (prima) e del non rapporto (poi) della Sinistra con quella che ci piace continuare a chiamare la «questione fascista». Affrontarla con idee più lucide e maggiore spinta propulsiva, sia a livello psicologico che politico, ci sembra compito di grande attualità e debito ineludibile. Soprattutto in vista di quella Seconda Repubblica che nascerà fra un mese. Fra i primi vagiti che emetterà speriamo, caro Direttore, possa essercene qualcuno a noi gradito. Come sempre, ben distinguibile, da quelli ad altri accetti, ma non tanto da lasciarci ancora in solitudine. È gran tempo, ormai, di dialogo.
 

Enrico Landolfi

 

Post Scriptum.

L'amico carissimo Mario Bernardi Guardi si presenta candidato al senato della Repubblica in un collegio di Pisa, o del Pisano, nelle liste della cosiddetta Alleanza Nazionale. Ha chiesto a chi firma questo articolo di augurargli successo e di esplicitare questo suo augurio. Per quanto al Lettore possa sembrare strano, anzi strampalato, che chi, come noi, si sente, ed è, parte integrante dell'area socialista e, più in generale, della Sinistra -e per una lista e un candidato di sinistra si accinge a votare, così come, del resto, fa da quasi mezzo secolo- noi abbiamo aderito alla richiesta di Mario. Però, attenzione. A noi interessa lui, non il suo partito, il partito liberista conservatore, di destra, di Gianfranco Fini, di cui siamo dichiaratamente avversari e contro cui ci battiamo senza mezzi termini. Noi puntiamo su Mario proprio nello spirito di quanto testé scritto. Egli, infatti, è un uomo di dialogo, di buona fede, apertissimo al confronto, certo alla critica ma anche all'autocritica, per nulla chiuso al rapporto sia umano che dialogico, con la Sinistra. La sua propensione democratica l'ha dimostrata collaborando -da intellettuale di liberi spiriti e di buona volontà- con pubblicazioni esterne alla sua area, comprese quelle socialiste. Senza, con ciò, si capisce, negare e rinnegare sé stesso. Speriamo davvero che ce la faccia.

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