In lode a Gianfranco Fini
La recente svolta del MSI-DN ha
dato luogo, qui su "Tabularasa", ad una serie d'interventi particolarmente
polemici. Interventi, aggiungo, che in almeno un paio di casi mi hanno
emotivamente coinvolto, e per i quali avrei voluto e dovuto impiegare altre,
meno «burocratiche» aggettivazioni. Me ne esento, per due ordini di motivi fra
loro contraddittori.
Il primo: su questo «foglio» libertario sono tollerate le più svariate opinioni,
ma vige una rigida censura per i toni auto-celebrativi, per gli incensi
apologetici... e per i cretini in genere, mi par di poter aggiungere.
Secondo: non ho affatto intenzioni incensatone inter nos, anzi mi
riprometto -in coerenza col titolo di cui sopra- d'esprimere il mio
apprezzamento a colui che di quella «svolta» è il principale artefice, l'on.
Gianfranco Fini.
Sarà però opportuno, onde non incorrere nelle censure di 3° tipo -e così
rientrare (forzosamente, spero) nella vasta categoria umana dei cretini-
specificare e rasserenare i sospettosi. Che non mancano mai, nemmeno nelle
migliori famiglie di lettori. Questa non è la voce del Padrone. Non è che, dopo
aver passato mezza vita a sputare sul piatto dei moderati, degli entristi, dei
liberaldemocratici, degli occidentalisti, dei conformisti (vero Marcello? vero
Stenio? vero Gennaro? vero Alfredo, Pietrangelo, Fabrizio...?), anche qui si
abbia messo su famiglia e testa a posto. Non siamo ancora in vista di una giusta
sistemazione sul Mercato, né di un pre-pensionamento volontario. Il quieto
vivere e la ragion di Stato, poi, non ci hanno mai vinto e convinto del tutto,
qui a "Tabularasa".
Ed allora, la ragione vera del manifestato apprezzamento è di altra natura. Essa
è dovuta al semplice fatto che d'ora in avanti non sarà consentito, a
chicchessia, di qualificarsi in un certo modo -facendo salvi ideali, valori e
buonafede- e restare ancora nell'organizzazione capeggiata da Fini. È questo un
suo merito innegabile: aver segnato la fine di un grande equivoco; e la fine di
troppi alibi, fascistici ed antifascistici. E tutto «alla luce del sole».
Del resto, cosa si può imputare a Fini & soci? Loro -a parte talune forzature
esteriori, a parte certe sbavature nostalgiche, certi estremismi parolai ad uso
e consumo del volgo- «loro», fascisti non sono mai stati. Dunque non hanno
rinnegato nulla, perché nulla -di vero, di sostanziale- c'era per loro e in loro
da rinnegare.
Se vogliamo, lo stesso titolare della ditta di traslochi (secondo la sagace
definizione letta su queste pagine) è vent'anni che è coerente con sé stesso.
Ragionieristicamente coerente. E televisivamente ben impostate. E calato in
pieno nel personaggio. Lui, il Gianfranco, non ha agito che secondo copione, e
si merita gloria ed applausi.
Sono altri -i Pini, i Giulii, gli Alteri- a far pena e nausea. E schifo.
* * *
Ma non sarà che, dalle nostre parti, si sia un po' troppo delicati di stomaco?
Non saremo forse noi ad avere l'apparato digerente inadatto alle idee come ai
cibi correnti; inadatto ai programmi precotti, alle ricette artefatte, alle
sofisticazioni multiuso? O magari non saremo, per caso, degli snob viscerali che
non sopportano il vino in tetrapack e i mulini falso-bianchi, i frequentatori di
fast food e quanti pasteggiano a coca cola? Dei «viscerali», insomma che hanno
in orrore post-comunisti e merendine implasticate, primizie in scatola e
post-fascisti, post di ogni tipo e surgelati vari?!
Restando con il dubbio (e con la speranza di non rimanere troppo soli in
salute), chiarisco a me stesso che gli «interventi particolarmente polemici» di
cui si diceva all'inizio, non eran certo rivolti in direzione di personali
«nostalgie». Quegli interventi -in linea retta con le annate di "Tabularasa" e
de "l'Eco"- testimoniano piuttosto di un trovarsi e ritrovarsi in opposizione ad
ogni reducismo museale, all'imbalsamazione delle idee, alla conservazione sotto
vuoto spinto.
Alla luce di quanto detto si sarebbe allora portati a sostenere, a proposito
dell'operazione «Alleanza Nazionale», che essa ha significato la (necessaria)
uscita dal tunnel del neofascismo, ma dalla parte sbagliata. Per dirla
aulicamente con Orazio: «Gli stolti mentre fuggono un errore cadono in quello
contrario» ("Sermones"). Ovvero, gli stolti abbandonano quanto del fascismo come
sistema di idee, era ed è attuale, vitale, vincente; per mantenere invece un
inconfessato fascismo di facciata, una sorta di «fascismo in maschera»,
burlesco, rassicurante, servizievole.
Non ho peraltro dubbi che l'operazione A.N. sia stata democraticamente
ineccepibile, politicamente opportuna, elettoralmente doverosa.
Poco conta che "L'Italia settimanale", forse in un sussulto di dignità, abbia
scritto, riferendosi al congresso di Alleanza Nazionale, di un'assise «in
grigio», «sottotono», «abulica» (P.S. - Non ci sarà un qualche novello Fede che,
credendosi Napoleone, chiederà la cacciata dello schizofrenico direttore di
testata?): l'operazione, per chi è alla ricerca solo di numeri, è stata
commercialmente raccomandata e destramente assicurata.
Per chi ha dalla sua una immagine ben costruita, il giusto look da Tivvù, giuste
coperture e favorevoli circostanze - stavolta, la «pesca delle occasioni» non
potrà che risultare copiosa. D'altronde la concorrenza è quella che è, e il
Nostro -in un contesto dominato dai priapismi di Bossi, dalle melensaggini di
Occhetto, dai languori di Orlando, dalle depressioni di Martinazzoli- ci fa
obiettivamente la sua bella figura.
Solo che simili «figure» non ci interessano: che, grazie a trasformismi e
svendite di capitale, l'ex MSI possa presentarsi all'incasso, il 28 marzo, per
ottenere un 10% oppure un 20% - ci può lasciare perplessi, ma non propriamente
turbati.
A disturbare piuttosto è il gioco in sé, limitato ad uno scontro fra
conservatori liberali e progressisti liberali. Che poi sulla ruota esca il nero
berlusconiano ovvero il rosso debenedettino, sai cosa cambia!?! (E puntare sullo
«zero» di Segni-Martinazzoli non pare davvero -scarse probabilità a parte- una
gran soluzione!).
In parole povere, e al di là del risultato delle urne -che, ripeto, ci è
indifferente, perché indifferenti sono le alternative possibili- quel che
preoccupa è il clima da Nuova Frontiera; un clima da far west, dove sembra
vincere il più forte e chi spara per primo.
Certo, ciò è anche, e soprattutto, il portato di una democrazia di massa ormai
priva del suo braccio sinistro, caduto con il Muro. Certo, sono questi i frutti
velenosi di una lotta degeneratasi con la fine delle ideologie e con l'avvento
massiccio delle TV «all'americana». E bisogna ormai mettere in preventivo che la
gara viene a svolgersi tra chi urla di più, tra chi è più abile a sparare spots
e slogans. Che tutto si svolge fra ciarlatani di idee e saltimbanchi dei
sentimenti, fra trucchi da baraccone e raffinati effetti speciali.
In questo tipo di rappresentazione, Fini, con la «spalla» della Mussolini, è tra
quelli che recitano meglio. Addirittura con un certo stile. E la parte loro
assegnata è ormai ben chiara. Chiara a tutti coloro che abbiano occhi per vedere
e mente per giudicare...
* * *
Sì, c'è una regia dietro le quinte, a muovere lo spettacolo. A far credere,
illusionisticamente, alla brava gente di poter scegliere i protagonisti, di
poter avere i «suoi» interpreti; mentre in realtà, sul palcoscenico e fuori, i
giuochi sono già stati fatti.
Ha scritto Spengler: «Siamo nati in questo tempo e dobbiamo percorrerlo
coraggiosamente sino alla fine».
Noi, immeritevolmente suoi posteri, riteniamo, quindi, fra tanto fragore, fra
tante luci abbaglianti, tra tanta volgare rissosità, di essere politicamente
destinati al pubblico «beneducato» e del tutto minoritario. Di dover essere fra
quelli che non si rassegnano a fare da spettatori abulici o da comparse in ruoli
obbligatori; perché sanno che, in realtà, i giuochi non sono quasi mai
completamente fatti, e stabilmente fatti. È, in fondo, questione di carattere,
prima ancora che d'idee. E queste si potranno anche cambiare, ma quello resta,
quando lo si ha.
Alberto
Ostidich
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