«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 2 - 15 Marzo 1994

 

Sputacchiere e dintorni


 

Io -ed a questo punto diviene lepido usare il «noi»- ho conosciuto prima la proscrizione e poi l'ostracismo. La proscrizione usata dall'avversario, l'ostracismo dal presunto amico. Facciamola finita con gl'infingimenti di maniera e diciamo ciò che ha da essere detto. Ho conosciuto infami dichiarati e, poi, ho conosciuto i «camerati». Raramente ho avuto a che fare con i compagni di lotta.
Caro Vito, tu -tra i pochi- hai capito quasi tutto. Ed hai individuato i topoi in cui cialtronescamente si andavano recitando miserabili fabulazioni. Per dio! Mi resta difficile usare i termini giusti, quelli che hanno caratterizzato la nostra esistenza di zingari ed il nostro andare lungo le strade del mondo con la voglia dissennata di fare cose diverse; comunque di «fare» laddove gli altri -quasi tutti- cianciavano e parlavano per il gusto inutile di mescolare fiato e saliva. Cioè parole.
Andiamo, recitate giudizi e dite che la mia prosa è volgare, che il mio scrivere è poco elegante. Dite ciò che volete: non me ne frega niente. Per anni ho frequentato luoghi disdicevoli: di certo non adatti ai buoni borghesi, ai merdaioli della politica. Sezioni di massima sicurezza, braccetti di lungo isolamento, cubicoli buoni per la convivenza tra uomini e topi. Ricordate Steinbeck? Certo, sputacchiere buone per vecchie e per nuove «alleanze». E poi gladiatori, nazionaldemocratici e mondialisti. Do you remember pipe-lines? Perché e per che cosa meravigliarvi? Ma era a voi ignoto il ruolo storicamente svolto dal MSI?
Lasciamo perdere; è di gran lunga meglio continuare a bruciare sul rogo destinato agli eretici. Ieri, come oggi, come sempre. Io di roghi me ne intendo. E me ne intendo anche di ostracismo di «area».
Chicche. Così, da raccontare per non far divertire e «camerati» e «diversi». Forse per farli incazzare. Ebbene, sì. Le mie collaborazioni su "L'Italia" furono snobbate: le eresie fanno male, meglio andare alla ricerca di Zorro. Ed il mio nome, poi, è impresentabile. Fa meno male il nome del piduista Gustavo Selva. Dal processo all'Occidente a Zi Ciccio. D'altronde anche "Tabularasa" -che mai era venuta meno alla tradizione non conformista e libertaria de "L'Eco"- mi ha censurato per rispetto del Croppi-pensiero. Un vagolante alla ricerca di una «nuova» identità, rinvenuta infine incontrando un certo Orlando Cascio. Un incontro tra orridi. Un oltraggio all'estetica, la disciplina che tra tutte prediligo. Ricordo bene ciò che accadde quando -nel 1989- inviai alla redazione de "Il Secolo" una lettera con l'intenzione di fare da contrappunto a talune osservazioni, sulle «devianze» dei Servizi, contenute in un articolo di Adalberto Baldoni. La nomenklatura missina -e non era ancora segretario Flavio Messalla- fu presa da isteria. Furono mobilitati vecchi e nuovi prosseneti per farmi desistere dalle mie dovute puntualizzazioni. Che pena! Chi di voi ricorda?
«Contro un mondo di topi, un Popolo sorge: un Popolo di lupi!». Ed allora andiamo a trascrivere -per risvegliare le insane voglie dei giudici- il testo di quella «vecchia» lettera. «Caro Baldoni, siamo stati camerati e compagni di lotta in tempi in cui non era facile dichiararsi «fascisti». Ricordo un giorno -appena fuori della Sapienza- in cui tu fosti brutalmente colpito dagli attivisti del PCI che ci avevano teso un agguato. Io ti ero accanto e fui più fortunato di te: riuscii a difendermi senza rimanere seriamente ferito. Correva l'anno 1954. Ricordo, ancora, Valle Giulia e la rabbia provata quel 16 marzo del '68 quando i «volontari» guidati dai parlamentari del MSI «liberarono l'Università dalle canaglie rosse» (vedi "II Secolo", 17 marzo 1968). Ricordo, poi, la nostra comune presenza nel Consiglio comunale di Roma. Fu per me, allora, il periodo in cui vissi l'unica crisi d'identità di tutta la mia storia di militante: un «rivoluzionario» costretto a sopravvivere tra le pastette che «politici» scaltri e vaccinati combinavano ogni giorno, ad ogni delibera, con i loro avversari istituzionali. Ovviamente in nome degli interessi del Partito e per conto del Segretario nazionale... Correvano gli Anni Settanta. Nel maggio del 1976 fui espulso dal MSI-DN per «deviazionismo di sinistra». Avevamo -insieme a vecchi e giovani militanti- dato vita a "Lotta Popolare". Una corrente ritenuta eretica in un 'epoca in cui non era consentito portare innanzi un discorso nazionalpopolare in un Partito che amava presentarsi come Destra Nazionale, che andava allestendo la farsa della Costituente di Destra da cui legittimamente sarebbe germogliato -come nei fatti- il «tradimento» di Democrazia Nazionale.
Non importa se da allora ebbe inizio la mia criminalizzazione. Una criminalizzazione che volle rappresentare l'inizio della repressione contro tutta un'area politica che io mi onoravo di rappresentare.
Oggi disquisire di Movimento nazionalpopolare va di moda al punto che all'interno del MSI si parla disinvoltamente di alternativa nazionalpopolare come toccasana dei mali antichi che affliggono un Partito che non riesce a trovare una sua collocazione politica. Tu, io ed altri ancora sappiamo bene quali siano i «mali antichi»: se e quando vorrai discettarne potremo farlo a cuor leggero, sia pure epistolarmente data la separatezza cui sono costretto. Non abbiamo problemi di cadreghino o di poltrona. Io di certo non ne ho: come tu sai -ed altri ben sanno- da nove anni sono sequestrato dai tenutari del potere. Cronaca, o meglio «cronache dei moribondi» come usava titolare una sua rubrica il mai dimenticato Nino Capotondi sulla rivista "Ordine Nuovo". Cronache che -comunque- hanno tragicamente segnato un'epoca che ha visto un'intera generazione di antagonisti (e che senso ha oggi definirli di «destra» o di «sinistra»?) annientata nei lager approntati dai servi del potere che di volta in volta hanno avuto nome De Lorenzo, Miceli, Maletti, Dalla Chiesa. Cronache drammatiche che oggi spingono te e Sandro Provvisionato ad edire una pubblicazione che interessa «la notte più lunga della Repubblica» e che provocano un dibattito indirizzato a superare -con gli steccati ideologici troppo cari ai detentori del potere- la logica dell'«emergenza».
Amnistia, indulto, perdonismo... Ma che significa? Che senso possono avere per chi ha avversato il sistema senza arrendersi, senza «pentirsi», senza «dissociarsi» dei termini concettualmente vuoti, asetticamente dialettici, buoni solo per consentire a vetero o a neo o a post-garantisti di «scontrarsi» con i forcaioli di sempre (la «doppia pena di morte» per i terroristi di destra che -non a caso- provenivano per lo più da sezioni del MSI, figli della logica di una disperazione indotta da chi pur avrebbe potuto e dovuto indirizzarli verso altri e più pregnanti obbiettivi di lotta!) in uno stantio e scontato gioco al massacro tanto e comunque conveniente alle cosche partitiche? Scriveva Carl Schmitt che la «dea della giustizia apre il vaso di Pandora e appaiono non soltanto le insidie di processi ingarbugliati, ma anche gli orrori -ammantati di giustizia- di sanguinose guerre civili». Ma, naturalmente, in Italia non sono mai esistite guerre civili. Quantomeno dal 1945 in poi. E non sono esistite perché lo Stato ha esercitato -per dirla con Weber- «il monopolio della violenza legittima». Gli uomini del Palazzo hanno fabbricato il terrorismo, hanno creato -non dichiarandolo- lo stato di guerra, hanno usato della guerra stessa per consentire a sé stessi di sopravvivere e di mantenere integro il loro dominio. Un dominio (e dovrà infine essere fatto un discorso esauriente sul mondialismo!) che vede la sudditanza dei partiti politici dalle lobbies finanziarie ed economiche. Ciò che importa chiarire ora, da subito, è che è a dir poco ignobile che vengano mantenuti in carcere coloro che sono stati vittime -quasi sempre inconsapevoli- delle trame di Stato. Non parlo chiaramente di me: mi si consenta la dignità di ritenermi al di sopra ed al di là di ciò che i buoni borghesi considerano il «bene» ed il «male». Per me Onore e Fedeltà non hanno mai significato termini magniloquenti, appartenenti ad una retorica d'accatto, ma Valori cui ho inteso rapportare con coerenza la mia vita e la mia lotta. Chiarire da subito, dunque. E dire (come io da tempo ho fatto e come risulta da talune mie note carcerarie cui tu fai riferimento puntuale in "Noi Rivoluzionari" ed anche ne "La notte più lunga della Repubblica") chi volle la «strategia della tensione», chi la alimentò, chi la subì o la fece subire inconsapevolmente ai propri militanti. SIFAR, SID, SISMI, SISDE: tutte sigle che stanno a dire «Stato». Ma che stanno anche a dire chi da «destra» ha difeso e continua a difendere questo Stato: prima facendo eleggere nelle proprie liste i De Lorenzo ed i Miceli, poi proponendo campagne a favore della pena di morte per i cosiddetti terroristi e dopo ancora negando «clemenza» (ma da chi chiesta, di grazia, se non dagli assassini pentiti e dissociati che sono stati da tempo generosamente «perdonati»?) a quanti hanno inteso seguire la «via più corta».
Caro Baldoni, ritengo che sia giunto il tempo di tirar fuori da tutti gli armadi tutti gli scheletri. Io, per mio conto, intendo continuare a farlo. Come intendo percorrere passo dopo passo l'itinerario seguito dagli stragisti di Stato che tra il 27 giugno ed il 2 agosto 1980 ha condotto da Ustica a Bologna. Un itinerario antico, datato dagli Anni Sessanta, firmato Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus. Ed ancora le bombe di Santoro e Trento e quindi i roghi in cui a Roma bruciavano i giovani militanti di Via Quinto Pedio e di Via Noto. Carne che ardeva per alimentare gli «opposti estremismi», per dare vita alla «strategia della tensione».
Macchinazione criminale contro la «destra», fatta di attentati e di provocazioni? Anche. Piste false per stragi vere? Senza dubbio. Ma i «pistaroli» e gli «stragisti» perché divenivano poi parlamentari del MSI-DN? Non certo per l'edificazione di un "Nuovo Ordine", sicuramente per il mantenimento di un assetto estraneo già a noi vecchi militanti «rivoluzionari» ed ancora di più ai giovani militanti che scelsero la «via più corta» in nome di una logica disperante che li ha condotti o alla morte (e l'elenco è lungo!) o all'affossamento nelle sezioni di massima sicurezza delle democratiche galere».
Fine.
Facciamoci male, amici miei. Anzi facciamogli male: diamo addosso al mucchio immondo dei traditori, dei vili, degli acchiappavoti, dei neo liberal-democratici, dei giovani-vecchi allevati nel postribolo di Via della Scrofa. Per dio, quanto sono impolitico! Ma, gioiosamente, me ne compiaccio. Il nostro Gai Saber contro la loro tristezza. E vi sembra poco?
 

Paolo Signorelli

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