25 aprile dell'anno che
verrà
Giorni fa, in un ristorante della Sila catanzarese, una ventina di giovani
avventori con le mani tese nel saluto romano, celebravano la vittoria di
Alleanza nazionale cantando e ritmando come negli stadi. Non le note di
"Camerata Richard" oppure l'"Inno dei sommergibilisti" e, che so?, "Il domani
appartiene a noi". Nossignori. Cantavano "Forza Italia" interrompendosi in cori
del tipo: Berlusconi nostro duce èèèè, Chi non salta comunista èèèè!
Giovani, in bilico tra una canna ed una lattina di diet-cola, così come li
vorrebbe Fukujama: oltre la Politica, ben oltre la Storia. Possiamo condannarli?
Di quale colpa li accuseremmo? Quali modelli hanno avuto in questi anni? A quali
sorgenti si sono abbeverati? Che libri hanno letto? Quali padri ed insegnanti e
capipopolo li hanno forgiati?
Giovani, di carne morta.
C'è anche questo, ahinoi, tra i risultati delle «epocali» elezioni del 27 e 28
marzo dell'anno di grazia 1994. Tra meno di 48 ore si insedieranno le nuove
Camere. All'insegna del nuovismo: non ci sarà Craxi, ma pare almeno 22 suoi
fedelissimi siano stati eletti nelle liste di Forza Italia; ci sarà l'ex braccio
destro di Forlani, la Ombretta fedelissima di Andreotti; l'ex luogotenente di De
Mita; generali riciclati ed imprenditori rampanti; managers Fininvest che si
stanno preparando alla tenzone bevendo acqua Fiuggi a tavola con il Ciarra,
nutrite schiere di ex portaborse e tanta, tantissima, mediocrità.
Al via dunque la seconda repubblica. Mentre, dietro le quinte, gongolano i
protagonisti e saccheggiatori della prima. L'operazione salvataggio del sistema
sembra mirabilmente riuscita.
Tuttavia, neppure stavolta, mi lascio sopraffare dal pessimismo. Sarà che ho
appena finito di contare i voti racimolati in Calabria dalla neonata Unione
Mediterranea: 29.897 al Senato e 40.358 alla Camera. Una facilissima proiezione
conferma che, se avessimo espresso candidature in tutti i collegi uninominali,
saremmo andati oltre i 40.000 al Senato ed avremmo sfiorato o sforato i 60.000
alla Camera. Roberto Bigliardo ha fatto le somme sul piano interregionale: circa
250.000 voti per i nostri candidati o per liste collegate tra Campania,
Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Non sono bruscolini. Soprattutto ove si
rifletta che tutto questo sforzo è partito nella settimana precedente
l'indizione dei comizi; che non abbiamo disposto di alcun mezzo, né struttura;
che questa campagna elettorale è stata la più difficile del dopoguerra:
pesantemente condizionata dallo scontro destra-sinistra; dal perentorio invito a
collocarsi o di qua o di là; dal ruolo decisivo ed oppressivo dei mass-media;
dalle ingenti risorse finanziarie che (vi) si sono mobilitate; dall'azione
combinata e sinergica di tutti i poteri, palesi ed occulti, legali ed illegali.
Dal '48, il voto popolare non è stato mai caricato di tante valenze ideologiche,
a sinistra come a destra. Con l'esplosiva aggiunta, su quest'ultimo versante,
dell'uso micidiale dei consigli per gli acquisti, del marketing applicato alla
politica: il consenso imposto come si impongono gli omini bianchi dei detersivi,
l'unico fustino al posto di due...
No! Non è davvero poco, in queste condizioni, l'essere riusciti a convincere
tanti elettori, tra l'altro meridionali epperciò impigriti da sudditanze antiche
e recenti, a ragionare con la propria testa: a riflettere, per come abbiamo
chiesto loro di fare che cosa questo era -e per noi rimane!- il tempo degli
uomini e delle idee.
Di queste idee, del progetto che abbiamo, infine, elaborato e che ruota intorno
al ruolo dell'Italia nel Mediterraneo -con tutto quello che ne deriva in termini
economici e politici, sul versante interno e su quello internazionale- potremmo
discuterne diffusamente in un apposito convegno che potrebbe essere patrocinato
proprio da "Tabularasa". Sarebbe l'occasione per chiarire alcuni equivoci che si
sono ingenerati tra noi, per superare differenze e diffidenze, per verificare se
vi siano le condizioni per costruire una prospettiva di impegno che vada oltre
la rivista e la sua pur utilissima funzione. Anche perché, gli ultimi numeri
testimoniano di uno sforzo certamente non concordato e per questo confortante da
parte di redattori e collaboratori di ritrovare assonanze che si erano alquanto
affievolite, ma che non potevano essere andate perdute.
... Scenari politici prossimi venturi. Non possiamo davvero chiamarci fuori. In
questo inverno di ritorno, a stare sulla riva del fiume si rischia di prendere i
reumatismi. C'è una tendenza alla polarizzazione del quadro politico che sembra
inarrestabile e che potrebbe essere accelerata dalla manifesta volontà dei
vincitori di riformare il sistema elettorale in direzione del maggioritario a
turno unico.
Di qua o di là? Destra o sinistra? Posto in questi termini il problema è
difficilmente risolvibile. Non v'è dubbio, infatti, che questa nuova destra
liberista, tecnocratica, reagan-tatcheriana, edonistica, tutta permeata del
sogno americano è l'esatto contrario di tutto ciò che mi (ci?) ha spinto e
spinge all'impegno politico.
Ad essa, al perverso e disgregante disegno di cui è portatrice, va fornita una
risposta improntata al più categorico e definitivo antagonismo. Ma la sinistra?
Dov'è la sinistra verso cui dovremmo essere fatalmente ed ontologicamente
attratti? Sarà capace di superare tentazioni neo-consociative e miti
incapacitanti, pregiudizi e settarismi, le forme attuali?
Sono solo alcuni dei quesiti, tra i tanti, che mi fanno ritenere che la sinistra
è oltre, ben oltre i progressisti di oggi. Per rigenerarsi, l'attuale sinistra
dovrà essere capace di un salto di qualità e di livello rifiutando di pensare in
termini di pura e semplice alternanza tra schieramenti solo formalmente opposti.
Dovrà essere, cioè, capace di radicalizzare lo scontro sui contenuti, definendo
una propria progettualità alternativa non solo sul versante delle scelte di una
politica sociale ed economica, ma anche su quelle, davvero strategiche, del
ruolo dell'Italia nell'Europa e nel Mediterraneo, dei rapporti non più
subalterni rispetto alle strategie ed agli interessi americani. Una sinistra,
aggiungo, che non può fermarsi a registrare il dato di ingiustizia in una realtà
per la quale il 20% degli abitanti del pianeta continuano a consumare l'80%
delle risorse ma che deve avere il coraggio di interrogarsi sul perché questo
accada e su come sarà possibile porvi rimedio.
Staremo a vedere, ma forse non è il caso di starsene con le mani in mano perché
a questo processo potremmo dare anche noi un piccolo ma prezioso contributo.
... Continuiamo a leggere di mobilitazioni in vista del 25 aprile. E sappiamo
che, accanto ai tanti in buona fede che intendono legittimamente ricordare i
propri morti, ci sono gli avvoltoi e gli sciacalli. Da una parte e dall'altra.
Chi dissotterra i morti per prendersi rivincite elettorali e chi li copre di
ulteriore terra e fango in funzione di strumentali pacificazioni. Ho appreso che
Zeffirelli ha invitato l'on. Fini a partecipare alle celebrazioni. Speriamo che
lo faccia davvero, come ha già annunciato di fare il Cavaliere. Così,
finalmente, i badogliani di tutte le casacche si stringeranno la mano ed
affogheranno nel ridicolo.
Noi aspetteremo gli antifascisti veri, magari il 25 aprile dell'anno che verrà:
solo ad essi possiamo stringere la mano. Il nostro fascismo, ch'era quello di
Berto Ricci e Niccolai è già molto vicino agli uomini e le donne di quella
sinistra che non ha dimenticato la lezione di Nicolino Bombacci. Non possiamo
svenderlo in cambio del Governo. Perché esso non ha nulla a che fare col regime
di ieri e con quello di oggi e, soprattutto, perché ci permette di onorare
degnamente i morti di ciascuna parte. Guardando avanti, guardando oltre.
Beniamino
Donnici
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