amare riflessioni di un «eretico»
Consumismo, psicologia. pedagogia
disastrosi effetti del modello dominante
Una breve, doverosa premessa.
Non intendiamo certo esaurire in questa sede l'estrema complessità del problema,
ricco d'innumerevoli sfaccettature e di una casistica pressoché infinita, ma
solo fornire al lettore degli spunti per meditare su di una situazione che tende
progressivamente ad aggravarsi, i cui effetti deleteri e sconvolgenti sono ormai
sotto gli occhi di tutti.
Non si vuole nemmeno, per ovvii problemi di spazio, condurre un'analisi puntuale
del sistema capital-consumistico e della fenomenologia ad esso connessa, sia
perché esso costituisce il modello ormai dominante e quindi ben conosciuto dei
Paesi che si arroccano a difesa dei propri privilegi nella zona nord del
pianeta, tendendo ad essere forzosamente esportato ed imposto a quelli in via di
«sviluppo», sia perché altri lo hanno fatto prima e meglio di noi.
Ciò che intendiamo sfatare in quest'occasione, invece, è l'erronea convinzione
che il capitalismo, come il suo necessario corollario consumistico, costituisce
il migliore dei mondi possibili.
Infatti, intere civiltà, per millenni, si sono succedute sulla faccia della
Terra senza optare per tale soluzione, non solo senza risentirne minimamente, ma
anzi senza alterare il proprio equilibrio ed il loro armonico sviluppo. Alcune
di esse sussistono anche ai nostri giorni. E ciò -si badi bene- non per
ignoranza, per oscurantismo, per incapacità o imprevidenza, ma proprio in virtù
di una libera scelta, di un meditato e consapevole rifiuto di tale sistema, solo
recentemente spacciato come panacea di tutti i mali del genere umano, attraverso
un sistematico inganno perpetrato ai danni dell'umanità intera.
Denunciando i mali di tale congiura planetaria, organizzata in modo davvero
diabolico da menti acutissime, divenute consapevoli strumenti d'occhiuta rapina,
non intendiamo certo riferirci alla critica a suo tempo condotta dal barbuto
filosofo di Treviri e, quindi, apparire nostalgici fautori di un'alternativa che
tale non è, dal momento che la visione economicistica della vita è comune ad
ambedue gli schemi ideologici e poiché la scelta di attribuire la proprietà dei
mezzi di produzione all'imprenditore privato od allo Stato rappresenta solo, in
ultima analisi, una trascurabile variante.
Per individuare un modello politico a noi più congeniale e funzionale al sistema
che intendiamo riproporre, si dovrebbe risalire a quello presentato dal divino
Platone, che giustamente paventava l'avvento dei mercanti al governo, dal
momento che avrebbero imposto la visione del mondo loro propria, consistente in
un'indistinta massificazione dell'essere umano, ridotto ad una macchina che
produce e consuma, privo di ogni dignità e capacità creativa. Tuttavia, per
avvicinarci al periodo contemporaneo, si può citare l'esperienza dell'economia
curtenze, di sussistenza certo, ma nel contempo capace di soddisfare tutte le
esigenze primarie dell'individuo, senza ingenerare ad arte falsi bisogni, capaci
di comportare mali altrimenti inesistenti, fino alle affermazioni (più teoriche
che pratiche, a dire il vero) dei fascismi europei, per arrivare alle proposte
davvero rivoluzionarie, visti i tempi, di un Tolstoi o di un Gandhi, sostenitori
di un auspicabile ritorno alla terra ed all'artigianato, nonché alle soluzioni
alternative presentate ai nostri giorni dai verdi integralisti.
Da quanto detto, si vede che non ci si muove affatto nel campo dell'utopia, ma
che si propongono dei modelli di sviluppo (stavolta quello vero, perché
armonico) o attuati storicamente in epoche ben precise, antiche o recenti che
siano, oppure in ogni caso possibili, purché lo si voglia, non solo in un ambito
ristretto come la polis greca o la curtis medievale.
È ovvio, però, che essi abbiano trovato feroci resistenze proprio ad opera di
chi intendeva difendere i privilegi goduti, tali da assicurare uno smisurato
potere ai loro detentori. Quello che ci preme affermare, tuttavia, non è tanto
il ribadire concetti più o meno acquisiti, almeno in un'area politico-culturale
che si va progressivamente delineando, non solo grazie alla salutare abitudine
al dialogo ed al confronto tra gruppi spesso artatamente contrapposti (ed anche
ciò fa parte della tecnica di potere del «divide et impera»), ma anche per lo
sfascio sia dell'ideologia collettivistica che di quella capitalistica,
considerato imprevedibile solo da chi s'illudeva che tali sistemi potessero
reggere alla lunga alla prova dei fatti.
Noi intendiamo sottolineare, piuttosto, gli effetti che tale modello
capital-consumistico ha prodotto ed ancora produce sulla psicologia individuale
e collettiva, soprattutto nei riguardi dei giovani, nati, cresciuti e plagiati
da esso.
E ormai cosa risaputa ed accusa abusata, anche se vera e provata, che la
rivoluzione industriale ed il sistema capitalistico, pur diffondendo il
cosiddetto benessere (ed, in ogni caso, solo nel mondo occidentale) abbia
comportato anche mali talmente endemici, quali la perdita dei veri valori,
l'ansia, l'alienazione, lo stress, l'inquinamento, nonché il materialismo
dilagante, l'individualismo più sfrenato e quindi la violenza e l'insensibilità,
al punto di chiedersi, dovendo fare un bilancio consuntivo, se si sia trattato
di vero progresso e non, piuttosto, di elefantiasi della tecnologia, ma di morte
dell'uomo e di un mondo costruito a sua misura.
Pertanto, almeno per una volta, vogliamo sottolineare i danni pressoché
irreversibili che si possono riscontrare a livello mentale nell'umanità
contemporanea, disavvezza all'impegno, alla pazienza, al sacrificio, incapace di
conquistarsi checchessìa mettendo a frutto le proprie capacità creative.
Infatti, oggi è tutto disponibile all'istante; il mercato prevede ed orienta
gusti e tendenze, stereotipando e standardizzando tutto: dall'alimentazione alla
moda, dalle opinioni ai prodotti culturali.
Soprattutto i giovani, abituati fin dalla nascita a questo mondo anodino,
squallido, buio, ossessivamente deprimente, nonostante l'allegria forzosamente
indotta e meccanicamente programmata, risentono di questo stato di cose. Basta
osservare in modo impersonale il livello dei programmi televisivi cosiddetti
«d'evasione», studiati apposta per rinfrancare il popolo-bue e predisporlo a
tours de force sempre più massacranti, evitando accuratamente, però, che
disturbi il manovratore, anzi alimentando desideri sempre più folli ed
insaziabili, l'esatto contrario dell'antica saggezza mirante a sradicare la
cupidigia, in vista di un'esistenza serena.
Allevati a canzonette, risate sguaiate ed insulse (rìsus abundat in ore
stultorum!), a quiz e concorsi che mirano ad inculcare nelle menti il valore
supremo del denaro, il grande capitale è riuscito nel suo intento di allevare
dei servi sfruttati e contenti, il cui riso ebete perennemente aleggiante sui
volti nasconde il vuoto pauroso delle loro anime.
Cosa poteva desiderare di meglio il Grande Fratello? Cornuti, mazziati e,
nonostante tutto, convinti del «progresso» compiuto e felici di vivere in
un'epoca storica invidiabile. È davvero il colmo!
Visto che il gregge bela soddisfatto anche quando è in procinto di essere
condotto al macello (si vedano le professioni di fedeltà e le proteste che si
sollevano da più parti, se qualcuno, non del tutto rincitrullito, osa mettere in
dubbio la bontà delle guerre imperialiste programmate a scadenza regolare dal
potere centrale), ci si renderà conto della vanità di ogni azione pedagogica
alternativa, tesa a donare nuovamente dignità, autonomia di giudizio e d'azione,
coraggio, spirito di sacrificio, valori positivi e, di conseguenza, sana e
duratura soddisfazione per le azioni compiute, anche le più banali, avvertite
come effetti di scelte personali e, quindi, in grado di donare fiducia in sé
stessi, forza d'animo, perseveranza a questi giovani che hanno irrimediabilmente
perduto tutto ciò, ma che lo vanno affannosamente cercando e, non trovandolo,
appaiono fragili fino all'inverosimile, vittime della droga, dell'alcool, degli
abusi e delle trasgressioni sessuali, affondando in una disperazione senza fine,
che spesso sfocia nel suicidio o, quantomeno, nell'incomunicabilità e nella
depressione.
A tanti mali si potrebbe ovviare cambiando la visione del mondo e, quindi,
sistemi e modelli comportamentali, istituzioni, educazione, instaurando un mondo
civile degno di questo nome. Tuttavia, non sussistendo termini di confronto, che
non debbono nemmeno essere teorizzati, pena l'anatema e la scomunica, sembra
proprio che, almeno per ora, non vi sia davvero alternativa di sorta. Non c'è
che dire: un mostruoso marchingegno, pensato in modo tale da stritolare ogni pur
minima opposizione.
Ciò che è tragico sta nel fatto che sia proprio la stessa massa degli schiavi ad
inveire rabbiosamente verso chi intende agire per liberarla.
La storia si ripete: così agivano le plebi medievali contro i cosiddetti
eretici, i vandeani nella Francia del secolo dei lumi, come del resto i
lazzaroni napoletani in epoca risorgimentale. Cosa fare, allora?
Piuttosto che pensare ad ordire congiure destinate al fallimento e sperare in un
rinsavimento a breve scadenza degli schiavi giulivi, non resta che attendere
pazientemente. Scendiamo nelle catacombe con l'imperscrutabile sorriso degli dei
sulle labbra. Alla forza impetuosa di un vento di breve durata opponiamo non la
resistenza di un muro che può essere travolto, ma quella solo apparentemente
inconsistente di una rete che lo lascia filtrare, restando però in piedi.
Sediamoci pazientemente sulla riva del fiume, senza partecipare ai vani clamori
del mondo esterno, anch'essi previsti ed orchestrati da chi manovra dietro le
quinte, ivi compresi i «ludi cartacei» delle elezioni gattopardescamente bandite
dai grandi illusionisti, padroni (per ora) del vapore. Attendiamo seraficamente
che il destino si compia.
Non essendo animati (né ora, né mai) dal senso della comunità, del bene
collettivo, ma accecati solo dall'utile personale e dalla brama del potere,
finiranno per distruggersi a vicenda, come belve inferocite.
I prodromi della catastrofe finale, tappa obbligata di ogni tragedia che si
rispetti, sono già visibili. A quel punto, e solo allora, vedremo passare
dinanzi ai nostri occhi, galleggiando sulle acque forse rosse di sangue, il
cadavere del nostro nemico. Se saremo riusciti a restare in piedi tra le rovine,
nonostante tutto, ed a mantenerci imperturbabili e sereni come gli antichi saggi
consigliavano, allora potremo proporre e ricostruire qualcosa.
Alfredo
Stirati
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