«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 3 - 30 Aprile 1994

 

 

l'ultima

 

Non scherziamo con le parole

 


O eroici, italianissimi vigliacchi, delle altrui glorie pavidi e pentiti, che andate in giro a raccattar sputacchi per far veder che siete buoni e miti, (...) giorno verrà che pagherete i danni»
(Curzio Malaparte, «II battibecco», 1949)


Intervista telefonica di Gianluca Luzi de "la Repubblica" (12.4.1994) a Gianfranco Fini. Incipit. «Il fascismo era totalitario». Trovo, tra gli appunti di Beppe Niccolai: «II fascismo è stato un istituto di recupero per popoli in ritardo, sventurati, sconfitti, falliti. Una sorta di GEPI della Storia».
Domanda, Luzi: «On. Fini, quelli che aderirono alla Repubblica di Salò, li considera eroi oppure no?»
Risposta: «Si trattava di ragazzi che credevano di servire la patria. Non escludo che altri vi abbiano aderito per ideali meno nobili».
«Credevano ...».
La frase compiuta, espressa con arrogante sufficienza, è di commiserazione per quei ragazzi. Secondo lui erano ottocentomila povericristi, tra i quali (non ci dice se essi fossero in minore o maggior numero) degli opportunisti o peggio. Ancora non lo ha detto, ma sicuramente la pensa come il suo grande amico Cossiga e, prima o poi, anche lui si adeguerà: «Hanno combattuto dalla parte sbagliata».
Uno spogliarello indecente. Abbassata una bandiera dietro l'altra, ora viene messa in atto la definitiva opera di disgregazione di una comunità umana -ancora degna di tale definizione- per ottenere ulteriori concessioni dagli «amici». Magari un attestato di benemerenza antifascista. È il segretario di un partito che si lascia inventare, giorno dopo giorno, pur di poter cavalcare questa società. Una società pragmatica, basata sull'economia e sul denaro, governata da uomini che impiegheranno la polizia e le forze della repressione per far rispettare le leggi del libero mercato.
Quando, in una comunità, colui che la rappresenta ne mette in discussione l'identità, le radici, o ne sminuisce i meriti, ebbene, costui dovrebbe essere considerato il peggior nemico. Ma se l'ambiente missino accetta tutto questo, vuoi dire che gli è stato iniettato un veleno insidioso: la mediocrità. È divenuto una steppa che ognuno può invadere e, secondo il tipo di animali che vi faranno il nido, sarà trasformato in cloaca. Persa la memoria, si scatenerà la stupidaggine e la relativa bassezza. Nutrita di parole, di autorità senza programma, di culto dell'uomo, farà la fine dell'asino trascinato dal gendarme. Tutto sarà dimenticato, comprese le motivazioni per cui questa comunità era nata e per le quali si era autoimposta uno stile comportamentale: fierezza, precisione della parola data, generosità, rispetto dell'avversario coraggioso; protezione dei deboli e dei disarmati, disprezzo per coloro che mentono, stima per coloro che dissentono lealmente; volontà di compiere, altrettanto lealmente, il proprio mestiere di uomo, per costruire il proprio destino, per sviluppare in sé la disciplina, il gusto dell'ordine, il sentimento del dovere e dell'onore e tutti quei principi che si manifestano con il senso della responsabilità e della solidarietà. Con il sentimento di essere al proprio posto in un ordine accettato per svolgere un compito importante.
Per queste «cosucce», abbiamo combattuto in Repubblica Sociale prima e militato nel MSI poi. Non per le poltrone, non per il quieto vivere, non per accattivarci la benevolenza dei moderati. Di queste «cose»... ce ne freghiamo.
 

un ragazzo che «credeva»

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