«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 4 - 15 Giugno 1994

 

L'inconcludenza della sinistra

 

 

È un dato di fatto che in politica nulla accade a caso e l'attualità, concepita atemporalmente, è il frutto di processi meditati e teorizzati in epoche antecedenti, i quali necessitano, ai fini della concretizzazione, di quel fluire del tempo che non può meravigliare chi guarda la politica in chiave meramente realistica. Ma è anche vero che la politica si attua in base a gestione di risorse, a studi di strategie, a immaginazione di «quel che sarà» partendo da «quel che è». Anche in politica il merito degli uni è spesso la risultante dei vari demeriti degli altri. Come succede nelle battaglie, durante le quali non sempre gli eroismi, l'abnegazione, il sacrificio costituiscono fattori esaustivi al raggiungimento di un obiettivo, che da la vittoria.


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Su "La Stampa" (30.4.1994) Norberto Bobbio, commentando i risultati elettorali del 27 marzo, scrive: «Nei momenti decisivi, quando le due parti contrapposte (destra e sinistra - N.d.R.) si affrontano direttamente, hanno sempre vinto gli altri (la destra - N.d.R.). Ha sempre prevalso la grande paura». Questo è un modo semplicistico di effettuare un'analisi, adducendo a motivi sentimentali («la paura») una causa che è permeata vigorosamente di ben altra materialità. E vediamo perché.
Percorrendo velocemente gli interspazi della storia, e considerando la fine della prima guerra mondiale come l'epoca in cui s'è concluso l'amalgama fra le varie genti d'Italia, creando un popolo, si può tranquillamente affermare che, al dì là dell'apporto sostanziale dei ceti abbienti della società italiana, la destra vince (l'instaurazione della dittatura fascista fa del movimento delle Camicie Nere un apparato «di destra») perché sa trasmettere al popolo un messaggio dai connotati pratici, realistici. L'aspetto patriottico è sentire delle genti, è tangibilità di motivazioni, è palmarità di contenuti. L'uomo, essere terreno e zoon politikon, si permea del concetto, che gli è naturale, della terra in cui nasce, si sviluppa e vi trova la storia delle sue radici, di quel passato che presiede alla sua esistenza e lo proietta nel futuro.
Dall'altra parte qual'era il contraltare ideologico? Fumose teorie ultraterrene, impalpabili concezioni universalistiche che si rifacevano, da un canto a nebulose fratellanze non concepibili da masse che avevano appena concluso di scannarsi e per quattro lunghi anni, e dall'altro a utopistici internazionalismi che non potevano trovare radicamento fra i reduci che avevano testé terminato di completare un processo storico, il quale realizzava i teorizzati Stati-Nazione.
All'indomani della seconda guerra mondiale si verificano più o meno le stesse condizioni. Bisognerebbe rileggersi il discorso di De Gasperi in America per convincersi di ciò. Il De Gasperi austriacante, sovranazionale, mitteleuropeo, suddito fedele di Cecco Beppe e poi del Papa, fa tesoro della storia. Ascolta Alberto Tarchiani, ambasciatore a Washington, e va in America a parlare della «rinascita dell'Italia». Torna a casa con 100milioni di dollari (la Francia ne aveva avuti 1 miliardo e 360milioni) in prestito e le masse italiane ricominciano a sperare.
Ha venduto, il De Gasperi, l'Italia all'America? Ha soltanto completato il processo iniziato l'8 settembre '43 ma queste son argomentazioni che non interessano le basi popolari che son senza casa, senza lavoro e vivono fra macerie materiali, che pesano di più delle meno avvertibili miserie morali.
Cosa c'era dall'altra parte? Il solito internazionalismo, incupito questa volta dalle ombre minacciose dello stalinismo, spacciato come il toccasana dei mali delle classi lavoratrici.
Altro che «paura». La paura si manifesta in presenza dell'ignoto ma quel che avveniva al di là della cortina di ferro era più che noto e non poteva ingannare alcuno.
E il 1994? Analogia imperante. Chi ci sovrintende è il frutto di quella «religione dei gattopardi» che in Italia si è affermata in forme ben più radicate del cristianesimo. Non è il meglio del nuovo ma è il peggio del vecchio, come può essere la risulta d'ogni materiale organico digerito, la feccia che si deposita sul fondo dopo la decantazione. Questo Governo asfittico, cianotico ed enfisematoso, formato in base all'intramontabile Manuale Cencelli, ne è la debita proiezione. Piduisti, faccendieri, servitori di Dio e di Satana, pretoriani dei servizi segreti assassini e ladri, logorroici, plateali, contraddittori e inconcludenti camaleonti, ignoranti delle problematiche e conseguentemente incompetenti a risolverle, si sono assisi sugli scranni alti di questa povera nazione. Perché? Per la «grande paura»? Semplicistiche spiegazioni senili.


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Anche gli intellettuali di sinistra stentano a formulare delle analisi plausibili. È di questi giorni la diatriba fra Massimo Cacciari e Gianni Vattimo: il primo addebita al secondo la colpa d'aver formulato il «pensiero debole», ritenuto causa essenziale della sconfitta della sinistra. E di qui ecco scaturire chilometrici articoli che teorizzano, più che un pensiero debole, una «filosofia del nulla». Perché il Cipputi che ha perso il lavoro, sta per perdere la casa, ha perduto la speranza nell'avvenire dei figli, che sono dei disperati, non comprende il significato di siffatte elucubrazioni e dispute dialettiche.
Mentre l'intelligencija cavalca nell'Eden dell'Inconcludenza, l'uomo della strada si trascina stanco e sfiduciato per i gironi dell'inferno terrestre. La causa della sconfitta della Sinistra sta nella sua inconcludenza. È onanistico continuare a tuonare contro un «pericolo fascista» che non esiste. Ritenere Fini, Poli Bortone, Matteoli, Tatarella, Gasparri e simili espressione d'un mondo che offrì eroi, sacrifici, sangue ma anche bassezze e pusillanimità alla storia di questa nazione è stupidità bella e buona. Tacendo sul robusto contributo che si da alla fortificazione di un grumo umano che Giorgio Bocca ha ben definito come una pletora di «figli di nessuno».
Ma a monte di tutto la sinistra ha perso perché non è stata credibile. Riportare alla ribalta del «nuovo», vero o falso che sia, personaggi come Occhetto e D'Alema, non aver avuto la forza di prendere le distanze da questi soggetti, attinti dagli afrori di Tangentopoli, è stato un suicidio. In nome di un internazionalismo finanziario, che non è diverso da quello politico dei decenni trascorsi, Occhetto è andato a cercar benedizioni nella City londinese.
Se questo è il senso più pregnante della Bolognina, mille volte meglio gli anticapitalisti bolscevichi, incapaci d'un nauseante camaleontismo d'infimo conio.
La battaglia antagonistica nei confronti del Cavaliere di Arcore deve avere diversi presupposti di azione. A cominciare da quella sentenza della seconda Corte d'Assise di Roma che ha mandato assolta la P2. La vergogna più ampia e più grave degli ultimi anni è quel dispositivo assolutorio. È quella sentenza che doveva far scattare la mobilitazione delle masse, che hanno diritto a sapere cos'è successo in vent'anni della loro storia.
Perché se si assolve la P2, non è più possibile sapere cos'è successo a Piazza Fontana, a Piazza della Loggia, a Ustica. Non è più possibile conoscere se fu vero che la destabilizzazione servì a stabilizzare un potere marcio. E il Presidente del Consiglio è tessera n° 1816 di un'associazione che non aveva, non poteva avere, scopi umanitari. Occorre spiegare quale interconnessione si instaurò fra il Presidente del Consiglio e l'architetto Silvano Larini, «duca» di Tangentopoli, oltre il loro rapporto di amici di barca e di crociere. Necessita scoprire cosa c'è sotto la scelta del Presidente del Consiglio di assumere quale fattore il mafioso Vittorio Mangano, presentato al Cavaliere da Marcello Dell'Utri su segnalazione di Gaetano Cinà, del clan di Stefano Bontade.
Son questi i fatti da scoprire e che denotano la pericolosità di questo potere. Altro che Mussolini, la Petacci, le Camicie Nere!
E la pericolosità di questo potere è data dall'essere rappresentato al massimo vertice della nazione da quanti militano sotto la bandiera del Capitalismo senza regole.
S'è chiesta, la Sinistra, perché i cassintegrati della Val Vigezzo e della Langhe hanno votato per il Cavaliere? E quali alternative avevano?
L'impostura del milione di posti di lavoro ha funzionato. È uno specchietto per le allodole ma sulle creste delle dune arroventate dal sole il miraggio del palmeto e dei pozzi diventa realtà. Non si può pretendere speranza dai disperati. Con quei sindacati venduti ai padroni e schierati a sinistra, la destra aveva facilità estrema a vincere.
Come poteva vincere la Sinistra al Sud quando il Meridione è stato distrutto dal centrosinistra che ha provocato la desertificazione delle campagne e l'edificazione delle «cattedrali nel deserto» come il 5° Centro siderurgico di Gioia Tauro, nato morto, e il 4° Centro siderurgico di Taranto, smembrato dalle privatizzazioni, attuate col consenso dell'«americano» Trentin, della finanza mondialista?
Se la Sinistra non riscopre la nazione, il suo benessere, la difesa del lavoro italiano; se la Sinistra non abbandona il suo internazionalismo sfigurante; se la Sinistra non si convince che la solidarietà verso gli altri popoli può avvenire solo in presenza di uno stato positivo nel nostro popolo; se la Sinistra non comincia a sognare un avvenire che può essere europeo soltanto s'è stato prima italiano, questa Sinistra è destinata a perdere. E a vincere saranno sempre i camaleonti delle ferriere che inneggeranno sempre a un patriottismo sedicente, da noi non condiviso in quanto «rifugio degli ultimi lazzaroni».

 

Vito Errico

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