«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 4 - 15 Giugno 1994

 

A proposito di un autorevole pidiessino «dal volto umano»
C'è un Veltroni per la sinistra sotto la quercia?


Corre insistente la voce di un PDS che, al fine di guarire del mal di marzo, si appresterebbe ad affidarsi a una segreteria Veltroni. Tale soluzione non ci spiacerebbe, pur se le idee del direttore del ""l'Unità"" non sempre collimano con le nostre. Per esempio, lo troviamo troppo «americano», con quella tanto esternata adorazione per Bob Kennedy -di cui, si dice, ostenta un ritratto in ufficio-; personaggio, certo, sotto vari aspetti positivo anche per noi, decisissimi però a non fare di lui, come di altri emblematici alieni, la nostra bandiera. Ma esteromania ed esterofilia sembrano essere permanentemente di moda a Botteghe Oscure. Solo che, fino allo «strappo» berlingueriano, si trattava di moda orientale; mentre, dall'altrettanto berlingueriana scoperta dell'«ombrello NATO», la moda è diventata occidentale. Così, oggi, i Rodano sono rooseveltiani, Occhetto fa professione di clintonismo, e il simpatico oltre che valido Veltroni si atteggia a kennedyano.
A proposito: da qualche giorno anche Rifondazione Comunista è a rischio; da quando, cioè, Renato Nicolini, celeberrimo ex deputato e assessore alla cultura in Campidoglio, vi ha aderito dopo aver contrastato Rutelli nella corsa alla sindacatura ed avere constatato la ferrigna volontà del gruppo dirigente della Quercia di dare drastica soluzione di continuità al suo cursus honorum ad ogni livello. Conosciamo il brillante inventore dell'«Effimero», nonché sessantottino (Movimento Studentesco); e di recente, nell'intrattenerci secolui, ci punse vaghezza di chiedergli, dopo che aveva confessato una ormai inimmaginabile fede rooseveltiana una volta esauriti i furori marxisti rivoluzionari - dove diamine fossero andate a finire le famose connotazioni fortemente «nazionali» del PCI togliattiano dell'anno di grazia 1994. La risposta fu un sorriso fra l'ironico e il divertito.
Torniamo a Walter Veltroni. Dicevamo di un nostro gradimento per la sua eventuale ascesa alla leadership del Partito Democratico della Sinistra, ad onta degli eccessivi languori kennedyani. Gli è che questo relativamente giovane dirigente oggi al vertice del «giornale fondato da Gramsci» è un moderato di quelli che non ci allarmano, pur essendo da noi ideologicamente diversi, forse molto diversi; un moderato, cioè, appartenente al campo non del moderatismo bensì della moderazione. Una prova di ciò, del resto, l'ha fornita con un editoriale firmato il 13 aprile, ossia parecchi giorni prima della sfilata commemorativa di Milano. Il contenuto esprime quasi un monito; la dettatura di un indirizzo, anzi. E reca appunto, il programmatico titolo «Quale 25 aprile». Proviamo ad analizzarlo rapidamente negli aspetti salienti.
«Voglio essere sincero. Non vorremmo rivedere, quel giorno, il clima truce di certi cortei degli Anni Settanta. Quando si gridavano slogan di morte e di vendetta, quando si sperava di vedere questo o quella "testa in giù" o a "Piazzale Loreto". Non c'è da consumare, in quel giorno così importante, nessuna rivincita, né organizzare le nuove Resistenze. Davvero sarebbe questo l'errore più grave che si potrebbe fare e anche il regalo più gradito ai nostri avversari. Dal 25 aprile del 1994 deve venire un messaggio di ricostruzione nazionale [...]».
Ecco il linguaggio di un uomo civilissimo, oltre che colto e intelligente. Di un uomo, quindi, che senza in nulla smentire e linea e progetto suoi e, forse, del suo giornale -daremo conto al Lettore, in prosieguo, del significato, in questo caso, dell'avverbio «forse»-, estrinseca in modo tale da indurre perfino un collaboratore del "Secolo d'Italia", quotidiano non abbiamo ancora ben compreso se del MSI-DN o di Alleanza Nazionale, a sostenere che il pezzo veltroniano è senza alcun dubbio quanto di meglio nell'area progressista si è scritto sulla ricorrenza resistenziale.
A proposito del "Secolo d'Italia": in attesa di capire che pesce è esprimiamo al suo nuovo direttore, Gennaro Malgieri, le più vive congratulazioni e i migliori auguri di ogni personale successo, significandogli che intatta resta la nostra affettuosità per lui nonostante i molto diversi ragionamenti e qualche puntatina polemica che, talvolta, ci è capitato di blandamente rivolgergli.
Ancora Veltroni: «E fu una tragedia perché costrinse gli italiani ad odiarsi, a perseguitarsi, a spararsi, a voler l'uno annientare l'altro. Il sangue degli uomini non ha colore. Una persona uccisa è una vittima. Ma la storia non ci consente di fermarci a questa pur matura consapevolezza. Ci costringe ad andare oltre, a guardare alla ragione delle cose, a capire il senso degli eventi. [...] Sono passati molti anni, è vero. La riconciliazione degli italiani non è solo auspicabile ma forse è già un dato della realtà. Lo scontro civile fra Fini e Rutelli ne è stato la piena testimonianza».
E infine: «Ma il 25 Aprile non deve riaprire vecchie ferite, deve essere la dimostrazione serena che c'è qualcosa che non si discute, la democrazia, e che da lì, comunque, si deve ripartire [...] E i progressisti ora tutto devono fare fuorché chiudersi in trincea, arroccarsi in una posizione difensiva, pensare di consumare vendette politiche. Il compito grande è l'opposizione democratica, forte e responsabile».
Quale diversità di tono, di taglio, di sostanza, dall'iraconda, ringhiosa, traumatica chiusura -ben più imparentata con l'antifascismo borghese dell'azionismo che non con il marxismo- di Achille Occhetto e dei suoi più o meno provetti e provati replicanti!
Naturalmente sappiamo, come tutti, dei legami di amicizia, di solidarietà, politici, che uniscono il direttore de "l'Unità" al segretario del partito; e tuttavia pare a noi non propriamente temerario immaginare il primo conscio dei guasti provocati alla causa dello schieramento di sinistra dall'affocato oltranzismo occhettiano, sommato, a nostro sommesso giudizio, a seri errori di direzione politica. Non ultimo dei quali la inammissibile andata a Canossa, vale a dire nei quartieri alti della finanza internazionale, per rassicurarla circa la definitiva, ideologica, rinuncia ad ogni ipotesi, perfino, di parentela del PDS con il socialismo. E ciò nonostante lo scippo della vicepresidenza della Internazionale patito non da Craxi ma dal PSI o da quanto di esso resta.
Sia chiaro: non stiamo demonizzando Occhetto; né tentando di presentarlo come un panurgo covatore di tutti i mali possibili. Sappiamo, anzi, che ormai parliamo di un personaggio storico, cui si deve la svolta trasformatrice di un comunismo superato e inutile in un partito potenzialmente attuale e utile. Ma occorre pur dire che dal congresso svoltista ad oggi non ne ha azzeccate molte. Non ci esimeremo dal ornare esaustivamente sulle tante occasioni da lui sprecate o mancate, limitandoci, al momento, a segnalare pecche e cantonate prese in ordine ai temi di cui veniamo trattando. Sicuramente, il PDS ben farebbe a sfruttarne le indubbie, non comuni capacità in un incarico adeguato per prestigio formale e operativo; ma altrettanto certamente non dovrebbe trattarsi della segretaria, ruolo nel quale ha già dato tutto quello che poteva dare e ha sbagliato tutto ciò che c'era da sbagliare.
Per esempio, non ha capito che nel momento in cui il neofascismo diventava postfascismo e, conseguentemente, veniva in evidenza come movimento popolare, di massa, il compito storico del suo partito non poteva che subire mutazioni profonde. E da contestativo, dunque, farsi dialogico. Ormai privo di memoria storica causa esasperanti... esasperazioni anticontinuistiche -di cui si è servito per immettere nel corpo del vecchio PCI, ereditato più da Berlinguer che dal transeunte Natta, alcuni «nuovismi» che tali non sono in quanto reperiti nel logoro bagaglio della cultura neo-vetero azionista- non ha tenuto presente che il dialogo con i veri o presunti «fascisti» è stato sempre ancorché intermittentemente parte integrante della strategia non solo del partito comunista togliattiano ma anche delle formazioni di democrazia socialista.
Qualche nome socialista per semplificare e ricordare? Garosci, Andreoni, Silone, Mondolfo, Formica, Zatterin, Bonfantini, etc. etc. Così la crescita del MSI -dilagato in Alleanza Nazionale e ormai inserito in un solido ed ampio sistema irresistibilmente proiettato verso il potere- gli ha cancellato il ben dell'intelletto, inducendolo a fare esattamente il contrario di ciò che avrebbe dovuto fare. Si è lanciato, pertanto, in una allucinante campagna di antifascismo di origine controllata (marca 1945), invece di contendere a Berlusconi il rapporto privilegiato con l'ambiente del postfascismo organizzato, soprattutto giocando sulle contraddizioni fra la linea di destra, nazional-conservatrice, dell'establishment finiano e la vasta, profonda, appassionata qualificazione nazional-popolare, sociale, socializzatrice, addirittura rivoluzionaria, di tanta parte della base e dell'elettorato missino. Insomma, Achille Occhetto -vero autore dell'exploit destrorso, sia pure indirettamente- ha scosso l'albero e il Cavaliere ha raccolto i frutti.
Questo succede quando ci si affida ai cascami culturali e psicologici dell'azionismo! Questo avviene quando, invece di fare analisi attente e serie, si preferisce sparare nel mucchio! È andata così, e chi, come dice il noto proverbio, è causa del suo mal pianga sé stesso... Sarà per un'altra volta. Ma ci sarà un'altra volta? C'è da dubitarne. La Storia difficilmente rinnova i grandi appuntamenti. Se però ci dovesse essere, è evidente che essa non gradirebbe un rendez-vous con l'uomo che pure è in grado di vantare all'attivo la Bolognina. Walter Veltroni, appunto, potrebbe proporsi come la personalità adatta per quella iniziativa politica orientata verso il mondo postfascista di cui tanto si è sentita e si sente la mancanza.


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Veltroni non è il solo a "l'Unità" su questa linea di responsabilità nazionale e di moderazione estranea al moderatismo. Per esempio, scorrendo un editoriale più... antico -è del novembre '93, siglato dal vicedirettore vicario Giuseppe Caldarola- troviamo un sanissimo concetto coonestato da altro analogo contenuto in una frase di Pasolini. Ambedue rispecchiano un modo corretto di porsi nei confronti di una destra ancora non lanciata verso i trionfi dell'inverno e della primavera. Vediamo: «... l'emergere, spesso artificioso, di un clima di "grande paura" è un'arma tipica della destra. Ma anche la sinistra deve liberarsene. Vengono alla mente le parole scritte da Pasolini oltre vent'anni fa: "È nata una divisione terroristica fra giusti e reprobi... Verso il reprobo il giusto sente un'antipatia fisica così forte, una sorta di repugnanza: non gli stringe la mano, lo evita, gira al largo... ciascuno si è trovato in una particella alla deriva in questo caos: ed ha provato un odio inaudito, una specie dì schifo per i suoi avversari". Il rischio della sinistra è quello di inseguire una destra immaginaria. Sognare Segni trovarsi Fini e Bossi. Dobbiamo vivere le prossime settimane senza "stringere la mano" a chi ha scelto Lega o MSI? I nostalgici del centro pensano che finiti loro, sono finiti tutti i mondi politici possibili. Le forze di progresso devono avere un'ambizione più alta: spingere la destra a enunciare il proprio progetto, fermare la deriva reazionaria e secessionista dei settori più avventurosi, impedire l'imbarbarimento della battaglia politica». E ancora: «Se questa destra saprà fare politica civilmente sarà un bene per tutti ...»
Orbene, non è assolutamente nostra intenzione processare Occhetto con articoli-requisitoria. Però come ignorare che il number one quercino altro non fa che diffondere la «grande paura» raccontando a dritta e a mancina che la democrazia è in grave pericolo solo perché gli italiani non hanno votato come piace a lui e a chi redige queste note - dimenticando che primo dovere di un democratico è prestare ossequio, anche nei giudizi e nei commenti alle scelte dei cittadini? Come non notare che ad ogni pie' sospinto «Baffodiferro» -così lo chiama Giampaolo Pansa su "L'Espresso"- fa del terrorismo ideologico distinguendo fra «giusti» (antifascisti alla sua maniera) e «reprobi» (post-fascisti e presunti o veri fascisti)? Come non registrare che l'«inseguimento di una destra immaginaria» è tra gli sports preferiti dell'Inquilino del Bottegone, soprattutto quando non si accorge che i rarissimi giudizi edificanti di Fini su Mussolini altro non sono che momenti tattici, atti a tenere sotto controllo una residua ala integralista che esiste, e non può non esistere, intorno ai bagliori della Fiamma? Come non rendersi conto che la foia neo-vetero azionista del leader maximo induce i membri del partito a «vivere... senza stringere la mano a chi ha scelto Lega o MSI?»
Ovviamente, non coltiviamo alcuna intenzione di difendere il governo di centrodestra, per l'instaurazione del quale non abbiamo responsabilità alcuna avendo votato alla stessa maniera di Veltroni e Caldarola, pur con grande travaglio e perplessità. Infatti a noi, gente di sinistra, questa Sinistra non piace. Essa non ha le connotazioni nazionali, sociali, popolari, di classe, che vagheggiamo.
Ma che dovevamo fare? O questa minestra o questa finestra... Non vogliamo tutelare Berlusconi e Fini, dicevamo, ma ci chiediamo -nell'aderire cordialmente alla filosofia politica di Caldarola, espressa nelle ultime righe riprodotte- come praticare queste idee. Perché non si impedisce la «deriva reazionaria e secessionista», né si argina «l'imbarbarimento della battaglia politica», men che meno si condiziona la destra nel senso di «fare politica più civilmente» con lo spericolato e avventurista linguaggio di Occhetto. Egli evidentemente non è abbastanza consapevole -suggestionato com'è dal fascino perverso dello scontro frontale in nome dell'antifascismo militante fuori stagione e fuori luogo- dei rischi che fa correre al Paese, alla democrazia, alla Sinistra, con una azione insistita, pervasiva, nevrotica, tesa a delegittimare, ad onta dell'equivoco responso delle urne, la nuova maggioranza, così suscitando un clima di guerra civile invece di realizzare le premesse necessarie e sufficienti per una opposizione severa ma corretta, che permetta ad una sinistra rinnovata da cima a fondo di recuperare vittoriosamente anche attraverso il dialogo fecondo con un postfascismo di massa svincolato da ipoteche conservatrici e reazionarie.


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Ma "l'Unità" non è unitaria, non tutti sembrano schierati con il direttore e il suo vice, la redazione non pare seguire Veltroni nel suo identikit di «pidiessino dal volto umano» che coglie ogni occasione giornalistica, televisiva, comiziale, per esprimere preoccupazione -con accorato, persuasivo, encomiabile umanesimo- per «il troppo odio che circola nella politica italiana».
Si leggono, nel quotidiano ormai di tutti i «progressisti», pezzi che fanno rizzare i capelli. Per esempio, Sandro Veronesi, in un articolo sul numero del 7 aprile dedicato ad una serrata polemica con la Rai per la gestione in studio di Vittorio Zucconi del "Combat film", da letteralmente i numeri. Nel trattare del carnaio infame e vergognoso di Piazzale Loreto si lancia in affermazioni tragicomiche, parlando di «un accanimento quasi artistico sul contrasto, sulla profondità di campo attorno ai corpi straziati di Mussolini e della Petacci, e delle inquadrature inedite di Piazzale Loreto letteralmente invaso dai milanesi, una folla oceanica, sotto la pressione della quale la decisione di appendere i corpi per i piedi pare più che altro una misura per difenderne l'integrità».
A questo punto, è giocoforza dire che il dott. Veronesi non ha il minimo rispetto per i suoi Lettori, ai quali ritiene di poter far credere che gli aguzzini i cadaveri li fecero dondolare appesi per i piedi solo per umanisticamente salvaguardare l'integrità, e non per sommare vilipendio a vilipendio, scherno a scherno, odio a odio, barbarie a barbarie. Tuttavia i lettori de "l'Unità" -pidiessini o meno che siano, ma persone intelligenti e serie- sanno benissimo che se il colonnello Valerio e soci avessero inteso custodire la dignità delle salme si sarebbero ben guardati dall'ammucchiarle incompostamente sul selciato, con l'evidente proposito di darle in pasto a una folla inferocita e scesa al livello di montanelliani «secoli bui» dopo avere manifestato, appena pochi mesi prima -era esattamente il dicembre-, entusiasmo e consensi a Mussolini venuto a Milano per il famoso discorso al «Lirico». La folla è femmina, si diceva una volta; ai tempi in cui una rivoluzione grandemente positiva come quella femminista non aveva ancora infranto la muraglia di pregiudizi e di disprezzo che teneva in soggezione e cattività l'altra metà del cielo.
Piccola nota di curiosità. L'antifascistissimo Veronesi, forse senza accorgersene, usa una locuzione di radice littoria: «folla oceanica» (all'epoca il riferimento era a Piazza Venezia, dove la gente si ammassava per ascoltare i discorsi del Duce). Abbiamo usato il «forse» nel dubbio che Veronesi si sia voluto servire della espressione mussoliniana a mo' di macabra derisione. Se così fosse non potremmo non collocarlo nella eletta coorte di coloro che orinano e sputano sui corpi dei nemici vinti, catturati, e passati per le armi. Ad honorem, naturalmente. Più che mai condizionato da iracondo e irrispettoso settarismo di pura marca occhettiana, il Veronesi prende una topica che, tra l'altro, mette in luce una ciclopica ignoranza su eventi tanto remoti da consigliare più placate e pacate valutazioni.
Dice: «La Repubblica di Salò ha combattuto contro l'Italia, i suoi soldati indossavano la divisa tedesca». Ma dove ha pescato queste minchiate? Semmai, è vero il contrario. I soldati del Regno del Sud indossavano, dopo 1'8 settembre '43, le uniformi kaki degli Alleati. Quelli della RSI sempre vestirono la divisa grigioverde tradizionale. Figuriamoci se Graziani, con il carattere ombroso che aveva e gelosissimo com'era delle caratteristiche militari nazionali, era disposto a tollerare l'affronto dell'imposizione di panni tedeschi alle sue truppe! Veronesi, digiuno di cultura su quel periodo, non sa che il marchese di Neghelli era talmente stimato dai comandi germanici da indurli -eccezionalissimo evento- a mettere ai suoi ordini varie divisioni della Wehrmacht, raggruppate, insieme a formazioni italiane, nella Armata Liguria.
Ciò precisato -e non per difendere i cosiddetti «repubblichini», ma in omaggio alla più limpida verità storica- ci affrettiamo a soggiungere che onoriamo e amiamo con pari intensità sia i combattenti dello Stato sabaudo che quelli della RSI. A proposito dei primi: la Radio di Salò fece delle loro uniformi angloamericane un costante motivo di polemica. Quanto ai secondi, c'è da dire che essi sempre biasimarono i militi delle SS italiane per i loro abiti nazisti. Ma si trattava di milizie arruolate direttamente dai tedeschi subito dopo l'armistizio, quando ancora non esistevano le gerarchie castrensi della Repubblica mussoliniana.
Ultima performance veronesiana: «Giano Accame, incapace di prendere le distanze, in cinquantanni, da una cazzata compiuta quando ne aveva sedici, ci ha svelato che i disgraziati fucilati dagli americani non erano spie, ma "eroi italiani"». Caro Veronesi, ognuno fa le «cazzate» che più gli piacciono. Occhetto, per esempio, ha fatto quella di andare ad ossequiare i magnati dell'alta finanza internazionale a Londra, assicurando la indefettibile fedeltà a vita del PDS al «capitalismo illuminato». E l'ha fatta a pochi giorni dalle elezioni. Risultato: a Sesto San Giovanni, un tempo la «Stalingrado proletaria italiana», Forza Italia ha fatto man bassa.
Non parliamo, poi, dei compagni del vecchio PCI, che di «cazzate» hanno riempito tutte le amene contrade del Bel Paese. Il riferimento è a quelle relative al «paradiso socialista sovietico», all'URSS «regno della classe operaia», all'«immancabile trionfo del comunismo», alla «indistruttibile unità del campo del socialismo intorno al compagno Stalin».
Quanto, poi, alle «spie» della RSI, chi ha mai potuto sostenere che una «spia», per il fatto di essere tale, non possa essere anche un eroe purissimo e onorando? Basta essere disinteressati, credere nella causa che si è abbracciato, comportarsi eroicamente davanti al plotone di esecuzione. Come, appunto, fecero quegli italiani -italiani come te, caro Veronesi, non dimenticarlo mai!- fucilati dagli americani. Ossia da gente distante trilioni di anni luce dal comunismo e dal socialismo. Anche questo sei vivamente pregato di non scordartelo mai!
 

Enrico Landolfi

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