A proposito di un autorevole
pidiessino «dal volto umano»
C'è un Veltroni per
la sinistra sotto la quercia?
Corre insistente la voce di un PDS che, al fine di guarire del mal di marzo, si
appresterebbe ad affidarsi a una segreteria Veltroni. Tale soluzione non ci
spiacerebbe, pur se le idee del direttore del ""l'Unità"" non sempre collimano
con le nostre. Per esempio, lo troviamo troppo «americano», con quella tanto
esternata adorazione per Bob Kennedy -di cui, si dice, ostenta un ritratto in
ufficio-; personaggio, certo, sotto vari aspetti positivo anche per noi,
decisissimi però a non fare di lui, come di altri emblematici alieni, la nostra
bandiera. Ma esteromania ed esterofilia sembrano essere permanentemente di moda
a Botteghe Oscure. Solo che, fino allo «strappo» berlingueriano, si trattava di
moda orientale; mentre, dall'altrettanto berlingueriana scoperta dell'«ombrello
NATO», la moda è diventata occidentale. Così, oggi, i Rodano sono rooseveltiani,
Occhetto fa professione di clintonismo, e il simpatico oltre che valido Veltroni
si atteggia a kennedyano.
A proposito: da qualche giorno anche Rifondazione Comunista è a rischio; da
quando, cioè, Renato Nicolini, celeberrimo ex deputato e assessore alla cultura
in Campidoglio, vi ha aderito dopo aver contrastato Rutelli nella corsa alla
sindacatura ed avere constatato la ferrigna volontà del gruppo dirigente della
Quercia di dare drastica soluzione di continuità al suo cursus honorum ad ogni
livello. Conosciamo il brillante inventore dell'«Effimero», nonché sessantottino
(Movimento Studentesco); e di recente, nell'intrattenerci secolui, ci punse
vaghezza di chiedergli, dopo che aveva confessato una ormai inimmaginabile fede
rooseveltiana una volta esauriti i furori marxisti rivoluzionari - dove diamine
fossero andate a finire le famose connotazioni fortemente «nazionali» del PCI
togliattiano dell'anno di grazia 1994. La risposta fu un sorriso fra l'ironico e
il divertito.
Torniamo a Walter Veltroni. Dicevamo di un nostro gradimento per la sua
eventuale ascesa alla leadership del Partito Democratico della Sinistra, ad onta
degli eccessivi languori kennedyani. Gli è che questo relativamente giovane
dirigente oggi al vertice del «giornale fondato da Gramsci» è un moderato di
quelli che non ci allarmano, pur essendo da noi ideologicamente diversi, forse
molto diversi; un moderato, cioè, appartenente al campo non del moderatismo
bensì della moderazione. Una prova di ciò, del resto, l'ha fornita con un
editoriale firmato il 13 aprile, ossia parecchi giorni prima della sfilata
commemorativa di Milano. Il contenuto esprime quasi un monito; la dettatura di
un indirizzo, anzi. E reca appunto, il programmatico titolo «Quale 25 aprile».
Proviamo ad analizzarlo rapidamente negli aspetti salienti.
«Voglio essere sincero. Non vorremmo rivedere, quel giorno, il clima truce di
certi cortei degli Anni Settanta. Quando si gridavano slogan di morte e di
vendetta, quando si sperava di vedere questo o quella "testa in giù" o a
"Piazzale Loreto". Non c'è da consumare, in quel giorno così importante, nessuna
rivincita, né organizzare le nuove Resistenze. Davvero sarebbe questo l'errore
più grave che si potrebbe fare e anche il regalo più gradito ai nostri
avversari. Dal 25 aprile del 1994 deve venire un messaggio di ricostruzione
nazionale [...]».
Ecco il linguaggio di un uomo civilissimo, oltre che colto e intelligente. Di un
uomo, quindi, che senza in nulla smentire e linea e progetto suoi e, forse, del
suo giornale -daremo conto al Lettore, in prosieguo, del significato, in questo
caso, dell'avverbio «forse»-, estrinseca in modo tale da indurre perfino un
collaboratore del "Secolo d'Italia", quotidiano non abbiamo ancora ben compreso
se del MSI-DN o di Alleanza Nazionale, a sostenere che il pezzo veltroniano è
senza alcun dubbio quanto di meglio nell'area progressista si è scritto sulla
ricorrenza resistenziale.
A proposito del "Secolo d'Italia": in attesa di capire che pesce è esprimiamo al
suo nuovo direttore, Gennaro Malgieri, le più vive congratulazioni e i migliori
auguri di ogni personale successo, significandogli che intatta resta la nostra
affettuosità per lui nonostante i molto diversi ragionamenti e qualche puntatina
polemica che, talvolta, ci è capitato di blandamente rivolgergli.
Ancora Veltroni: «E fu una tragedia perché costrinse gli italiani ad odiarsi, a
perseguitarsi, a spararsi, a voler l'uno annientare l'altro. Il sangue degli
uomini non ha colore. Una persona uccisa è una vittima. Ma la storia non ci
consente di fermarci a questa pur matura consapevolezza. Ci costringe ad andare
oltre, a guardare alla ragione delle cose, a capire il senso degli eventi. [...]
Sono passati molti anni, è vero. La riconciliazione degli italiani non è solo
auspicabile ma forse è già un dato della realtà. Lo scontro civile fra Fini e
Rutelli ne è stato la piena testimonianza».
E infine: «Ma il 25 Aprile non deve riaprire vecchie ferite, deve essere la
dimostrazione serena che c'è qualcosa che non si discute, la democrazia, e che
da lì, comunque, si deve ripartire [...] E i progressisti ora tutto devono fare
fuorché chiudersi in trincea, arroccarsi in una posizione difensiva, pensare di
consumare vendette politiche. Il compito grande è l'opposizione democratica,
forte e responsabile».
Quale diversità di tono, di taglio, di sostanza, dall'iraconda, ringhiosa,
traumatica chiusura -ben più imparentata con l'antifascismo borghese
dell'azionismo che non con il marxismo- di Achille Occhetto e dei suoi più o
meno provetti e provati replicanti!
Naturalmente sappiamo, come tutti, dei legami di amicizia, di solidarietà,
politici, che uniscono il direttore de "l'Unità" al segretario del partito; e
tuttavia pare a noi non propriamente temerario immaginare il primo conscio dei
guasti provocati alla causa dello schieramento di sinistra dall'affocato
oltranzismo occhettiano, sommato, a nostro sommesso giudizio, a seri errori di
direzione politica. Non ultimo dei quali la inammissibile andata a Canossa, vale
a dire nei quartieri alti della finanza internazionale, per rassicurarla circa
la definitiva, ideologica, rinuncia ad ogni ipotesi, perfino, di parentela del
PDS con il socialismo. E ciò nonostante lo scippo della vicepresidenza della
Internazionale patito non da Craxi ma dal PSI o da quanto di esso resta.
Sia chiaro: non stiamo demonizzando Occhetto; né tentando di presentarlo come un
panurgo covatore di tutti i mali possibili. Sappiamo, anzi, che ormai parliamo
di un personaggio storico, cui si deve la svolta trasformatrice di un comunismo
superato e inutile in un partito potenzialmente attuale e utile. Ma occorre pur
dire che dal congresso svoltista ad oggi non ne ha azzeccate molte. Non ci
esimeremo dal ornare esaustivamente sulle tante occasioni da lui sprecate o
mancate, limitandoci, al momento, a segnalare pecche e cantonate prese in ordine
ai temi di cui veniamo trattando. Sicuramente, il PDS ben farebbe a sfruttarne
le indubbie, non comuni capacità in un incarico adeguato per prestigio formale e
operativo; ma altrettanto certamente non dovrebbe trattarsi della segretaria,
ruolo nel quale ha già dato tutto quello che poteva dare e ha sbagliato tutto
ciò che c'era da sbagliare.
Per esempio, non ha capito che nel momento in cui il neofascismo diventava
postfascismo e, conseguentemente, veniva in evidenza come movimento popolare, di
massa, il compito storico del suo partito non poteva che subire mutazioni
profonde. E da contestativo, dunque, farsi dialogico. Ormai privo di memoria
storica causa esasperanti... esasperazioni anticontinuistiche -di cui si è
servito per immettere nel corpo del vecchio PCI, ereditato più da Berlinguer che
dal transeunte Natta, alcuni «nuovismi» che tali non sono in quanto reperiti nel
logoro bagaglio della cultura neo-vetero azionista- non ha tenuto presente che
il dialogo con i veri o presunti «fascisti» è stato sempre ancorché
intermittentemente parte integrante della strategia non solo del partito
comunista togliattiano ma anche delle formazioni di democrazia socialista.
Qualche nome socialista per semplificare e ricordare? Garosci, Andreoni, Silone,
Mondolfo, Formica, Zatterin, Bonfantini, etc. etc. Così la crescita del MSI
-dilagato in Alleanza Nazionale e ormai inserito in un solido ed ampio sistema
irresistibilmente proiettato verso il potere- gli ha cancellato il ben
dell'intelletto, inducendolo a fare esattamente il contrario di ciò che avrebbe
dovuto fare. Si è lanciato, pertanto, in una allucinante campagna di
antifascismo di origine controllata (marca 1945), invece di contendere a
Berlusconi il rapporto privilegiato con l'ambiente del postfascismo organizzato,
soprattutto giocando sulle contraddizioni fra la linea di destra,
nazional-conservatrice, dell'establishment finiano e la vasta, profonda,
appassionata qualificazione nazional-popolare, sociale, socializzatrice,
addirittura rivoluzionaria, di tanta parte della base e dell'elettorato missino.
Insomma, Achille Occhetto -vero autore dell'exploit destrorso, sia pure
indirettamente- ha scosso l'albero e il Cavaliere ha raccolto i frutti.
Questo succede quando ci si affida ai cascami culturali e psicologici
dell'azionismo! Questo avviene quando, invece di fare analisi attente e serie,
si preferisce sparare nel mucchio! È andata così, e chi, come dice il noto
proverbio, è causa del suo mal pianga sé stesso... Sarà per un'altra volta. Ma
ci sarà un'altra volta? C'è da dubitarne. La Storia difficilmente rinnova i
grandi appuntamenti. Se però ci dovesse essere, è evidente che essa non
gradirebbe un rendez-vous con l'uomo che pure è in grado di vantare all'attivo
la Bolognina. Walter Veltroni, appunto, potrebbe proporsi come la personalità
adatta per quella iniziativa politica orientata verso il mondo postfascista di
cui tanto si è sentita e si sente la mancanza.
* * *
Veltroni non è il solo a "l'Unità" su questa linea di responsabilità nazionale e
di moderazione estranea al moderatismo. Per esempio, scorrendo un editoriale
più... antico -è del novembre '93, siglato dal vicedirettore vicario Giuseppe
Caldarola- troviamo un sanissimo concetto coonestato da altro analogo contenuto
in una frase di Pasolini. Ambedue rispecchiano un modo corretto di porsi nei
confronti di una destra ancora non lanciata verso i trionfi dell'inverno e della
primavera. Vediamo: «... l'emergere, spesso artificioso, di un clima di "grande
paura" è un'arma tipica della destra. Ma anche la sinistra deve liberarsene.
Vengono alla mente le parole scritte da Pasolini oltre vent'anni fa: "È nata una
divisione terroristica fra giusti e reprobi... Verso il reprobo il giusto sente
un'antipatia fisica così forte, una sorta di repugnanza: non gli stringe la
mano, lo evita, gira al largo... ciascuno si è trovato in una particella alla
deriva in questo caos: ed ha provato un odio inaudito, una specie dì schifo per
i suoi avversari". Il rischio della sinistra è quello di inseguire una destra
immaginaria. Sognare Segni trovarsi Fini e Bossi. Dobbiamo vivere le prossime
settimane senza "stringere la mano" a chi ha scelto Lega o MSI? I nostalgici del
centro pensano che finiti loro, sono finiti tutti i mondi politici possibili. Le
forze di progresso devono avere un'ambizione più alta: spingere la destra a
enunciare il proprio progetto, fermare la deriva reazionaria e secessionista dei
settori più avventurosi, impedire l'imbarbarimento della battaglia politica». E
ancora: «Se questa destra saprà fare politica civilmente sarà un bene per tutti
...»
Orbene, non è assolutamente nostra intenzione processare Occhetto con
articoli-requisitoria. Però come ignorare che il number one quercino altro non
fa che diffondere la «grande paura» raccontando a dritta e a mancina che la
democrazia è in grave pericolo solo perché gli italiani non hanno votato come
piace a lui e a chi redige queste note - dimenticando che primo dovere di un
democratico è prestare ossequio, anche nei giudizi e nei commenti alle scelte
dei cittadini? Come non notare che ad ogni pie' sospinto «Baffodiferro» -così lo
chiama Giampaolo Pansa su "L'Espresso"- fa del terrorismo ideologico
distinguendo fra «giusti» (antifascisti alla sua maniera) e «reprobi»
(post-fascisti e presunti o veri fascisti)? Come non registrare che
l'«inseguimento di una destra immaginaria» è tra gli sports preferiti
dell'Inquilino del Bottegone, soprattutto quando non si accorge che i rarissimi
giudizi edificanti di Fini su Mussolini altro non sono che momenti tattici, atti
a tenere sotto controllo una residua ala integralista che esiste, e non può non
esistere, intorno ai bagliori della Fiamma? Come non rendersi conto che la foia
neo-vetero azionista del leader maximo induce i membri del partito a «vivere...
senza stringere la mano a chi ha scelto Lega o MSI?»
Ovviamente, non coltiviamo alcuna intenzione di difendere il governo di
centrodestra, per l'instaurazione del quale non abbiamo responsabilità alcuna
avendo votato alla stessa maniera di Veltroni e Caldarola, pur con grande
travaglio e perplessità. Infatti a noi, gente di sinistra, questa Sinistra non
piace. Essa non ha le connotazioni nazionali, sociali, popolari, di classe, che
vagheggiamo.
Ma che dovevamo fare? O questa minestra o questa finestra... Non vogliamo
tutelare Berlusconi e Fini, dicevamo, ma ci chiediamo -nell'aderire cordialmente
alla filosofia politica di Caldarola, espressa nelle ultime righe riprodotte-
come praticare queste idee. Perché non si impedisce la «deriva reazionaria e
secessionista», né si argina «l'imbarbarimento della battaglia politica», men
che meno si condiziona la destra nel senso di «fare politica più civilmente» con
lo spericolato e avventurista linguaggio di Occhetto. Egli evidentemente non è
abbastanza consapevole -suggestionato com'è dal fascino perverso dello scontro
frontale in nome dell'antifascismo militante fuori stagione e fuori luogo- dei
rischi che fa correre al Paese, alla democrazia, alla Sinistra, con una azione
insistita, pervasiva, nevrotica, tesa a delegittimare, ad onta dell'equivoco
responso delle urne, la nuova maggioranza, così suscitando un clima di guerra
civile invece di realizzare le premesse necessarie e sufficienti per una
opposizione severa ma corretta, che permetta ad una sinistra rinnovata da cima a
fondo di recuperare vittoriosamente anche attraverso il dialogo fecondo con un
postfascismo di massa svincolato da ipoteche conservatrici e reazionarie.
* * *
Ma "l'Unità" non è unitaria, non tutti sembrano schierati con il direttore e il
suo vice, la redazione non pare seguire Veltroni nel suo identikit di
«pidiessino dal volto umano» che coglie ogni occasione giornalistica,
televisiva, comiziale, per esprimere preoccupazione -con accorato, persuasivo,
encomiabile umanesimo- per «il troppo odio che circola nella politica italiana».
Si leggono, nel quotidiano ormai di tutti i «progressisti», pezzi che fanno
rizzare i capelli. Per esempio, Sandro Veronesi, in un articolo sul numero del 7
aprile dedicato ad una serrata polemica con la Rai per la gestione in studio di
Vittorio Zucconi del "Combat film", da letteralmente i numeri. Nel trattare del
carnaio infame e vergognoso di Piazzale Loreto si lancia in affermazioni
tragicomiche, parlando di «un accanimento quasi artistico sul contrasto, sulla
profondità di campo attorno ai corpi straziati di Mussolini e della Petacci, e
delle inquadrature inedite di Piazzale Loreto letteralmente invaso dai milanesi,
una folla oceanica, sotto la pressione della quale la decisione di appendere i
corpi per i piedi pare più che altro una misura per difenderne l'integrità».
A questo punto, è giocoforza dire che il dott. Veronesi non ha il minimo
rispetto per i suoi Lettori, ai quali ritiene di poter far credere che gli
aguzzini i cadaveri li fecero dondolare appesi per i piedi solo per
umanisticamente salvaguardare l'integrità, e non per sommare vilipendio a
vilipendio, scherno a scherno, odio a odio, barbarie a barbarie. Tuttavia i
lettori de "l'Unità" -pidiessini o meno che siano, ma persone intelligenti e
serie- sanno benissimo che se il colonnello Valerio e soci avessero inteso
custodire la dignità delle salme si sarebbero ben guardati dall'ammucchiarle
incompostamente sul selciato, con l'evidente proposito di darle in pasto a una
folla inferocita e scesa al livello di montanelliani «secoli bui» dopo avere
manifestato, appena pochi mesi prima -era esattamente il dicembre-, entusiasmo e
consensi a Mussolini venuto a Milano per il famoso discorso al «Lirico». La
folla è femmina, si diceva una volta; ai tempi in cui una rivoluzione
grandemente positiva come quella femminista non aveva ancora infranto la
muraglia di pregiudizi e di disprezzo che teneva in soggezione e cattività
l'altra metà del cielo.
Piccola nota di curiosità. L'antifascistissimo Veronesi, forse senza
accorgersene, usa una locuzione di radice littoria: «folla oceanica» (all'epoca
il riferimento era a Piazza Venezia, dove la gente si ammassava per ascoltare i
discorsi del Duce). Abbiamo usato il «forse» nel dubbio che Veronesi si sia
voluto servire della espressione mussoliniana a mo' di macabra derisione. Se
così fosse non potremmo non collocarlo nella eletta coorte di coloro che orinano
e sputano sui corpi dei nemici vinti, catturati, e passati per le armi. Ad
honorem, naturalmente. Più che mai condizionato da iracondo e irrispettoso
settarismo di pura marca occhettiana, il Veronesi prende una topica che, tra
l'altro, mette in luce una ciclopica ignoranza su eventi tanto remoti da
consigliare più placate e pacate valutazioni.
Dice: «La Repubblica di Salò ha combattuto contro l'Italia, i suoi soldati
indossavano la divisa tedesca». Ma dove ha pescato queste minchiate? Semmai, è
vero il contrario. I soldati del Regno del Sud indossavano, dopo 1'8 settembre
'43, le uniformi kaki degli Alleati. Quelli della RSI sempre vestirono la divisa
grigioverde tradizionale. Figuriamoci se Graziani, con il carattere ombroso che
aveva e gelosissimo com'era delle caratteristiche militari nazionali, era
disposto a tollerare l'affronto dell'imposizione di panni tedeschi alle sue
truppe! Veronesi, digiuno di cultura su quel periodo, non sa che il marchese di
Neghelli era talmente stimato dai comandi germanici da indurli -eccezionalissimo
evento- a mettere ai suoi ordini varie divisioni della Wehrmacht, raggruppate,
insieme a formazioni italiane, nella Armata Liguria.
Ciò precisato -e non per difendere i cosiddetti «repubblichini», ma in omaggio
alla più limpida verità storica- ci affrettiamo a soggiungere che onoriamo e
amiamo con pari intensità sia i combattenti dello Stato sabaudo che quelli della
RSI. A proposito dei primi: la Radio di Salò fece delle loro uniformi
angloamericane un costante motivo di polemica. Quanto ai secondi, c'è da dire
che essi sempre biasimarono i militi delle SS italiane per i loro abiti nazisti.
Ma si trattava di milizie arruolate direttamente dai tedeschi subito dopo
l'armistizio, quando ancora non esistevano le gerarchie castrensi della
Repubblica mussoliniana.
Ultima performance veronesiana: «Giano Accame, incapace di prendere le distanze,
in cinquantanni, da una cazzata compiuta quando ne aveva sedici, ci ha svelato
che i disgraziati fucilati dagli americani non erano spie, ma "eroi italiani"».
Caro Veronesi, ognuno fa le «cazzate» che più gli piacciono. Occhetto, per
esempio, ha fatto quella di andare ad ossequiare i magnati dell'alta finanza
internazionale a Londra, assicurando la indefettibile fedeltà a vita del PDS al
«capitalismo illuminato». E l'ha fatta a pochi giorni dalle elezioni. Risultato:
a Sesto San Giovanni, un tempo la «Stalingrado proletaria italiana», Forza
Italia ha fatto man bassa.
Non parliamo, poi, dei compagni del vecchio PCI, che di «cazzate» hanno riempito
tutte le amene contrade del Bel Paese. Il riferimento è a quelle relative al
«paradiso socialista sovietico», all'URSS «regno della classe operaia»,
all'«immancabile trionfo del comunismo», alla «indistruttibile unità del campo
del socialismo intorno al compagno Stalin».
Quanto, poi, alle «spie» della RSI, chi ha mai potuto sostenere che una «spia»,
per il fatto di essere tale, non possa essere anche un eroe purissimo e
onorando? Basta essere disinteressati, credere nella causa che si è abbracciato,
comportarsi eroicamente davanti al plotone di esecuzione. Come, appunto, fecero
quegli italiani -italiani come te, caro Veronesi, non dimenticarlo mai!-
fucilati dagli americani. Ossia da gente distante trilioni di anni luce dal
comunismo e dal socialismo. Anche questo sei vivamente pregato di non
scordartelo mai!
Enrico
Landolfi
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