le lettere
Caro missino,
hai creduto in un partito, quello della fiamma tricolore; eri sicuro che
rappresentasse le tue idee, anzi che fosse la continuazione dell'Idea.
Per questo partito hai lottato per anni, solo contro tutto e tutti. Spesso sei
stato deriso, altre volte malvisto e perseguitato. E qualcuno, che come te ha
creduto e combattuto per l'Idea, ci ha pure lasciato la pelle.
Ora il tuo partito ha vinto, è al governo con cinque ministri. Ma che fine hanno
fatto le tue idee?
Non hai mai avuto paura, nella tua vita, di dichiararti fascista e di fare il
saluto romano. Certo, forse lo hai fatto per nostalgia, oppure per pura sfida al
regime demo-comunista. Ora, però, il tuo partito ti dice che devi essere
antifascista e che, se fai il saluto romano, sei un naziskin. Il fascismo, ti
dicono, è solo violenza e dittatura.
Hai sempre lottato contro questa società materialista e mondialista dove l'uomo
è considerato come mero strumento di produzione e consumo. Ora, il tuo partito,
ti dice che devi essere un liberaldemocratico e che, quindi, devi accettare il
modello di sviluppo capitalista; con tanto di Coca Cola e patatine prefritte.
Hai sempre creduto che la nostra Nazione fosse stata umiliata in quanto colonia
economica e militare degli Stati Uniti d'America. Ora, il tuo partito, ti dice
che devi rispettare l'alleanza atlantica e, magari, partecipare ai
festeggiamenti per la liberazione. Hai sempre lottato per abbattere questo
regime partitocratico per cacciare i politici corrotti. Ora, il tuo partito, ti
dice che tu non conti più nulla e che, anzi, devi supinamente prendere ordini
dai riciclati. Cioè da quei ladri e maneggioni democristiani che volevi cacciare
via ma che, invece, si sono iscritti al tuo partito.
Caro camerata -pardon!- caro alleato, oggi tu sei diventato liberale,
democristiano, antifascista e, magari, anche un buon massone. Credi nel
capitalismo e nella società dei consumi, ti inchini al padrone americano e al
sionismo internazionale.
Non sei d'accordo con la nuova linea del partito? Non importa. C'è sempre chi,
nel partito, ti rappresenterà nel gioco delle parti. L'opposizione interna sta
crescendo: il fascismo non si tocca, dicono. Ma è un film già visto. I soliti
sciacalli che, nel nome dell'Ideale, cercano di piazzare sul mercato il
pacchetto di azioni rappresentato dai duri e puri. Ma, come al solito, sono
pronti a barattare le tue idee con qualche carica istituzionale, o magari con un
impiego alla Rai-Tv.
Complimenti, caro amico, in tutti questi anni sei stato molto utile alla causa.
All'inizio sei servito, nella logica degli opposti estremismi, per stabilizzare
il regime clerico-borghese. Poi sei servito a mandare al parlamento tanta brava
gente che, nel nome dell'Idea, si è sistemata alla faccia tua. Infine sei
servito a mandare al governo gli uomini del tuo partito. Che ora ti dicono:
grazie di tutto, ma non ci servi più.
Come hai detto...? te ne vuoi andare dal partito? Ma... allora sei un traditore!
Vergognati!
un coglione come te
È da qualche numero che "Tabularasa" viene permeata di un ritrovato graffiante
vigore; sembra che sia tornato a scrivere Beppe Niccolai. Complimenti. Con un
auspicio di buon lavoro, colgo l'occasione di inviarvi una lettera già da molto
tempo spedita a quelli de "L'Italia settimanale" (i post-fascisti, per
intenderci) e cestinata all'istante. Non mi meraviglio e non mi lamento per
questo: li compiango. Non certo per aver gettato quel foglio di carta, ma perché
a volte per dimostrare a sé stessi e agli altri di essere così
post-post-fascisti, si rischia di assorbire i «migliori» vizi della democrazia.
Ovvero imparare tutti la stessa canzone, un unico e fervido batter di mani. Una
liberazione da un certo passato con quel rassicurante «amici» che vien loro
rivolto dal «loro» Fini.
Ma ci si può radere la testa e diventare «arancioni»; ci si può comprare una
valigetta di pelle, impugnare la "Torre di Guardia" e diventare Testimoni di
Geova, ci si può comprare "Capital" e sentirsi come Agnelli; ma in tutti questi
casi, come in altri, nessuno ti dirà mai: «Che capacità di coalizione, quanta
forza di aggregazione». Al massimo ti diranno che ti sei convertito o che ti sei
rincoglionito. Ed è ciò che sta avvenendo nel nostro mondo politico. Una
nebulosa grigia, inodore, chiamata «Alleanza nazionale» si aggira in cerca di
teste, inneggia al moderatismo, al presidenzialismo, al conservatorismo, ad un
polo da opporre alla sinistra. Già, alla sinistra, come se ciò fosse sufficiente
per abbracciare reazionari d'ogni età, bigotti clericali destrorsi, mummie DC
modello Pomicino. Tutti uniti per arginare «il rosso».
Questa prospettiva può anche essere valida per chi sogna come unico progetto
politico un soggetto anti-sinistra. Ma è stato forse dimostrato da qualche parte
che la sommatoria di tutte le componenti esterne alla sinistra sia migliore
della sinistra stessa? Ma forse si vuole semplicemente dimostrare e dare avallo
alla tesi che il fascismo sia uguale a reazione. Perché vogliamo dare validità a
questo teorema che non ci appartiene e che ci hanno costruito intorno? Perché
finire nel credere di essere quello che non siamo ma che altri vorrebbero che
fossimo. È stato detto che avevamo bisogno di aggregazione per fare una destra
di governo che, altrimenti, saremmo stati dei semplici nostalgici con il piacere
dell'autolesionismo del ghetto. Sono le stesse considerazioni che avrebbe potuto
fare, o che forse ha fatto, l'on. Turchi al tempo di «Democrazia nazionale».
Non si può credere che «Alleanza nazionale» sia un soggetto politico nuovo. È
come voler credere che Achille Occhetto ha inventato la socialdemocrazia. AN, in
realtà, rappresenta un progetto politico che mira, consciamente o non, a
disintegrare la Destra radicale, la Nuova Destra, per costringerla a diventare
Destra economica. Già, destra economica. Non ci piacque al tempo di DN,
l'etichetta «destra», ma a malincuore la metabolizzammo. Si disse che era un
problema di differenziazione, ma mai e poi mai riusciremo a digerire una
coalizione con la «destra economica», ovvero la destra mercantilistica, usuraia,
mondialista. La destra del capitale.
E poi, di quale capacità di aggregazione si tratta? Questa è una resa. Si, è
vero che bisogna dare un taglio ai simboli del passato, ma attenzione, a questa
esteriorità non abbiamo mai creduto in quanto era l'espressione dell'apparire
non dell'essere. Se è vero che bisogna scrollarsi di dosso i feticci del passato
(appartenuti o appartenenti all'apparire) non è altrettanto vero che dobbiamo
snaturalizzarci a livello intellettivo. Ciò equivarrebbe metterci in fila per
farci lobotomizzare.
Ideali come Socializzazione, Stato sociale hanno un valore o anche questi fanno
parte di un retaggio del passato dì cui bisogna vergognarsi?
È opportuno, ora più che mai, fermarsi a guardare dentro di noi con una rapida e
sincera introspezione che ci consenta di pensare a dare concretezza alle nostre
idee per attuare quel progetto che fu incompiuto. Dobbiamo far conoscere la
nostra dottrina sociale. Ritrovare il gusto del rifiuto alla vita borghese e
pantofolaia (propria della destra conservatrice) ed il rifiuto della grettezza
di classe (tipica della sinistra storica). Per rompere quella dualità
destra-sinistra e creare la trasversalità popolare e nazionale autentica.
Lorenzo Chialastri
Egregio signor Carli,
mi scusi se oso disturbarla. Sono una ragazza che ha avuto la fortuna di
leggere, per puro caso, il n° 1 del gennaio 1993 di "Tabularasa". Mi creda, sono
rimasta molto contenta e sorpresa di sapere di autori «nostri» che il mondo
missino nasconde: cioè Berlo Ricci, Niccolai ed altri. Vede, sono giovane ed
ogni tanto leggo il "Secolo d'Italia", anche perché non arriva altro qui
nell'edicola. Le chiedo se lei ha la raccolta di "Tabularasa"; se esce ancora e
se ha qualcosa sugli scrittori ed uomini d'azione prima citati. Le spese le può
fare a mio carico. Mi creda, ho tanto bisogno di leggere. Aspetto con ansia una
sua risposta.
Sua, se permette, giovane amica,
Angela
Gentile signorina,
ho provveduto a spedirLe tutta la raccolta di "Tabularasa". Nessuna spesa.
Riguardo agli scritti di Beppe Niccolai, provvederò ad inviarLe fotocopie di
articoli da lui pubblicati negli anni 1979-80-81 e da me raccolti in volume.
Volume che, purtroppo, è oggi irreperibile.
Per quanto concerne Berto Ricci,
gli unici suoi scritti che hanno visto la stampa -"Lo scrittore italiano" e
"Poesie e Ritmi"-, sono disponibili presso la "Libreria Europa" dell'amico Enzo
Cipriano, via Sebastiano Veniero, 74 - 00192 Roma, Tel. 06 - 39722155.
Un cordiale saluto.
A.
C.
Egregio direttore,
sento il dovere di scriverle perché lei raffigura quei personaggi eroici, forse
d'altri tempi, e per questo sempre più rari, che amano vivere controvento, senza
farsi trascinare mai dal fragore della tempesta. Ma, purtroppo, i nostri tempi,
quelli che viviamo, sono fatti di inchini e riverenze, cervelli assopiti da
tanti impulsi automatici senza più neanche l'ombra dei sentimenti.
Intenzioni senza progetti, discussioni prive di idee, insomma tanta e tanta
mediocrità ed ignoranza. È questo il tempo dell'annullamento dell'individuo
capace di sentire, i cui valori sono un «Festival» o una «Telenovela»,
consigliati ad acquistare per telecomando alla fiera del nulla! Sì, ma ai nostri
figli cosa insegneremo? Come faremo a spiegare che dovrebbero esistere la fede,
l'amore, il rispetto, la dignità, l'orgoglio? È dura, caro direttore, quando si
scopre una realtà come questa! È vero, bisogna reagire, ribellarsi, ma come? Con
quali strumenti: la cultura, la politica, o cos 'altro ?
Mi dia una risposta, direttore, e se questa non sarà sufficiente, continuerò a
stimarla lo stesso.
Cordialmente,
Antonella Fortunato
Gentile signora,
sono abituato a ricevere anonimi improperi, grazie ai quali riesco a mantenermi
vivo, ma non ad essere il destinatario di sì benevole considerazioni; men che
meno così esagerate. E mi creda, mi ha fatto intimamente vergognare perché ben
conosco i miei limiti e, soprattutto, i miei difetti. Dei quali però non mi
dolgo. Insieme a loro ho trascorso tutta la mia vita e ad essi sono
particolarmente affezionato; che, ogni tanto, mi procurano tali e tante
soddisfazioni per cui sento ragionevolmente il dovere di accudirli e coltivarli
con tanta passione. Ma queste sono considerazioni del tutto personali epperò,
timidamente, mi permetto rivolgerLe l'invito ad evitare -sempre- la profusione
di elogi nei confronti di chicchessia, fosse pure il Padreterno. L'uomo, o per
necessità, o per ambizione, o per meschinità, è sempre pronto a mancare alla
parola data. A cambiare il suo stile di vita, a offrirsi al miglior offerente.
Raramente rimane ligio e fedele ai princìpi naturali, anche se essi gli sono
stati insegnati da qualcuno che, per poterli trasmettere ad altri in modo tale
che li potesse praticare senza affanno, ha duramente pagato. In ciò io sono
stato fortunato ed ho la certezza che anche Lei lo è stata e lo saranno i Suoi
figli. Offra pure, e sempre, l'amore; viva nella fede che l'essere umano può
migliorare; abbia rispetto, ma solo verso chi lo merita; mantenga sempre la Sua
dignità e dimostri, in ogni occasione, tutto l'orgoglio che da essa ne deriva.
Come vede, anziché indicarLe gli strumenti necessari per combattere questo
nostro tempo, utilizzo e commento i valori che Lei teme non possano essere
assorbiti dai Suoi figli a causa del mondo che li circonda. Ma non sarà così.
Lei chiede a me una risposta che non sono in grado di dare. Anzi. È Lei che mi
ha dato una lezione, che mi ha fatto soffermare sulle miserie di questa società,
ma dandomi anche la speranza che essa possa essere cambiata, migliorata. Io, Lei
e tantissimi altri amici in ogni parte d'Italia, vi possiamo contribuire
fattivamente. Mettendo a disposizione il nostro altruismo -oggi ostacolato- ma
la cui richiesta non tarderà a giungere. Sia pronta a ricevere -quando ciò
accadrà- grandi delusioni, ma non ne soffra. È naturale che ciò avvenga. La
maggioranza dei nostri simili ritiene che i valori siano merce di scambio, per
cui, se Lei ha infuso fede e coraggio, loro La ripagheranno con i peggiori
torti. Questa sarà la loro moneta. Ma, Le ripeto: non ne dovrà soffrire.
L'altruismo e il sacrificio non sono unità di misura.
Lei scrive: «È vero, bisogna reagire, ribellarsi, ma come? Con quali strumenti:
la cultura, la politica, o cos'altro?» Ed io Le rispondo: non certamente con la
politica finché l'uomo non sarà diventato tale. Essa, così come oggi è intesa, è
un artifizio per gabbare gli ingenui. Con la cultura? Certo. Ma io la intendo
come studio ed affinamento del pensiero; mezzo di sostentamento intellettivo per
la comprensione delle nostre ed altrui carenze; insostituibile strumento per
tenere viva, in noi, l'insofferenza per i cialtroni. Piano piano, maturerà la
ribellione. Saremo stati noi a produrla, saremo noi a guidarla. La ringrazio per
le belle parole e spero di poterLa sempre annoverare tra gli amici più cari.
A.C.
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