«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 4 - 15 Giugno 1994

 

I servizi e le stragi


Ingiustizia è fatta

E siamo alla «quarta verità» sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Tre ergastoli agli «esecutori», condanne per calunnia confermate ai vertici dei servizi segreti e della loggia P2. Gli «spontaneisti» Valerio Fioravanti e Francesca Mambro ed il «comune» Sergio Picciafuoco (reo di essersi trovato per caso in stazione quel maledetto 2 agosto e di essere rimasto ferito nell'esplosione) sono stati i destinatari degli ergastoli che sono serviti agli ineffabili giudici di Bologna per sgravarsi la loro cattiva coscienza e per appagare la richiesta di «giustizia» dei mestieranti dell'antifascismo. E questo dopo che nel precedente processo d'appello erano stati assolti «per non aver commesso il fatto». Ma una provvidenziale sentenza della Cassazione a sezioni unite riaprì, nel febbraio del '92, i giochi. Giochi sporchi, con carte truccate proprio da quelle sezioni unite della Suprema Corte che vennero investite del procedimento dopo che questo era stato spudoratamente «scippato» alla 1ª Sezione che ne era titolare, grazie alle «buone» entrature dell'avvocato Guido Calvi rappresentante della Parte civile e dirigente dell'Ufficio legale del PDS. Le mie affermazioni non sono smentibili. Non fosse altro che per il fatto di essere stato l'unico tra gli «imputati» ad avere avuto confermata l'assoluzione in Cassazione. Ma ripercorriamo le tappe del «processo infame».


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L'origine del teorema
II 4 agosto 1980 Francesco Cossiga -al tempo Presidente del Consiglio dei Ministri- dichiara in Parlamento che l'attentato alla stazione di Bologna è «fascista». Mentre l'informazione di massa aggredisce «l'eversione di destra», il Governo spinge la magistratura a fornire una risposta «politica».


Gli sviluppi giudiziari
II 26 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emette ventotto ordini di cattura nei confronti di militanti di «destra» accusati di aver ricostituito sotto sigle diverse il disciolto Movimento Politico Ordine Nuovo. Il 28 agosto scatta la retata nei confronti dei militanti.
È il questore Russomanno (SISDE) a commissionare in carcere al delinquente comune Piergiorgio Farina le «rivelazioni» che consentono il blitz. L'assemblaggio dei nomi dei catturati -tutti romani- è stato fatto sulla base del «Rapporto Minozzi» (il funzionario della Digos di Roma che raccolse nell'aprile del 1980 le dichiarazioni rese dal «superteste» Marco Mario Massimi) travasato nel «Rapporto Lazzerini» (Dirigente della Digos di Roma). Ambedue i rapporti risalgono alla primavera del 1980. Da mesi, dunque, i nomi di «quei fascisti» erano «pronti per essere usati».


I «depistaggi» dei servizi: l'operazione «terrore sui treni»
Nel novembre 1980 il Procuratore della Repubblica di Bologna Ugo Sisti chiede al generale Santovito le «prove» per poter mantenere in stato di arresto i militanti catturati tra la fine di agosto e la metà di settembre: gli «indizi», infatti, stanno crollando.
Ha inizio l'operazione «terrore sui treni». Il 13 gennaio 1981 viene fatta rinvenire dal SISMI sul rapido Taranto-Milano una valigia contenente esplosivo ed armi «riconducenti» a Massimiliano Fachini. Ricompare il T4 «compatibile» con l'esplosivo che sarebbe stato usato nell'attentato alla stazione. Nella valigia ci sono biglietti aerei intestati a fantomatici appartenenti all'«Internazionale nera» diretta da Stefano Delle Chiaie. Un'informativa del SISMI fa figurare a nome Fiorvanti (sic!) e Bottacin (nome al tempo usato dal latitante Gilberto Cavallini) la prenotazione aerea ed indica in Giorgio Vale la persona che a Bari ha acquistato i biglietti rinvenuti nella valigia.
Vale notoriamente faceva parte del «gruppo Fioravanti - Mambro - Cavallini» che al tempo disponeva di una base logistica a Gandoli, nei pressi di Taranto. Ecco perché Bari e Taranto. E Vieste...
In breve Santovito, Musumeci e Belmonte non hanno compiuto un «depistaggio» inteso a «coprire» -come spudoratamente è stato sostenuto dagli inquirenti- i «neri» Signorelli e Fachini: la loro è stata un'operazione mirata ad indicare «quei colpevoli» che -prescelti come capri espiatori- saranno prima incriminati e poi condannati chi per strage e chi per banda armata.
Il SISMI -nella migliore tradizione di tutti i Servizi- ha, dunque, costruito una pista falsa per una strage vera. Ma c'è ben altro: la pista la si è cominciata a costruire prima della strage!
Belmonte, infatti, riattiva un suo vecchio contatto -trasferito dal servizio di intelligence al comando della caserma dei CC di Vieste- nel mese di luglio 1980. Dopo, quindi, l'abbattimento nel cielo di Ustica del DC9 dell'Itavia e prima dell'attentato alla stazione di Bologna. Il maresciallo Sanapo, incaricato di «costruire» la falsa pista, ne parla in sede d'interrogatorio dibattimentale e dinanzi alla Corte d'Assise di Roma (chiamata a giudicare sul «depistaggio») e dinanzi a quella di Bologna chiamata a giudicare sulla strage. Eppure nessun magistrato ha fornito un qualsivoglia rilievo ad un elemento di importanza e di gravita eccezionali. Ma si sa: il farlo avrebbe significato sconfessare il teorema accusatorio.
Il 5 maggio 1982 Giorgio Vale, sorpreso a letto da un'irruzione della polizia nell'appartamento dove è rifugiato, viene «suicidato».
La pista indicata dall'operazione «terrore sui treni» viene momentaneamente «messa in sonno». Le risse che lacerano la magistratura bolognese favoriscono altre ipotesi di lavoro.

L'«operazione ciolini»
II 26 novembre 1981 ha inizio l'«Operazione Ciolini» con cui si attiva una nuova pista. Nell'operazione rimangono coinvolti tutti gli «uomini del potere»: dai magistrati Gentile, Floridia e Nunziata a Giovanni Spadolini (Presidente del Consiglio dei Ministri), a Clelio Darida (Ministro della Giustizia), a Virgilio Rognoni (Ministro degli Interni), a Giulio Andreotti (Ministro degli Esteri), a Ferdinando Mor (Console generale a Ginevra), al Direttore del SISDE De Francesco, al Vice-direttore del SISDE Parisi, al dirigente dell'Ucigos Alessandro Milioni, ai dirigenti del SISMI Sportelli e Reitani.
Il delinquente comune Elio Ciolini è stato al centro di un vergognoso intreccio -fatto di «favoreggiamenti», di «protezioni», di «versamenti» di cifre cospicue sottratte al pubblico erario- finalizzato a «ripulire» l'immagine di Gelli e ad indicare come responsabile della strage del 2 agosto Stefano Delle Chiaie.
In questa logica il dottor Milioni organizza le due operazioni note come «Marlboro» e «Pall Mall» che hanno come obiettivo l'eliminazione fisica di Delle Chiaie.
Il 9 ottobre 1982 viene «fucilato» a Santa Cruz de la Sierra Pierluigi Pagliai. Delle Chiaie riesce ancora a sfuggire ad un'improbabile «cattura»: la sua morte in un «conflitto a fuoco» avrebbe risolto definitivamente il «caso Bologna».

Il ritorno all'operazione «terrore sui treni»
Fallita l'operazione di cattura del 10 dicembre 1985 si rilancia la tesi del PCI -e fatta propria dai suoi militanti togati- della «Super-organizzazione» sponsorizzatrice delle stragi e composta da uomini dei Servizi «deviati», agli ordini di Gelli e Pazienza in collusione con Reversione di destra».
Il teorema, dunque, si amplia e si arricchisce sino ad ipotizzare l'esistenza di «una struttura segreta composta da militari e civili» con il fine del «condizionamento politico del paese» nell'ambito di una «visione politico-strategica» riferita già alla prima metà degli anni Sessanta e che si «è servita delle stragi in funzione di potere».
Nonostante le risultanze dell'istruttoria condotta dal Giudice istruttore di Roma dottor Luigi Gennaro; nonostante le varie istruttorie ed i vari processi riguardanti il FUAN-NAR, i NAR e "Terza Posizione"; nonostante il diverso indirizzo fornito dai riscontri processuali, non solo si ripropone ad opera degli inquirenti e dei requirenti l'esistenza di una «centrale unica» del «terrorismo nero» e si nega la realtà dello «spontaneismo», ma si sostiene la presenza ventennale di una innaturale ed impossibile alleanza strategica ed operativa tra gli apparati dello Stato e gli uomini di vertice dei Movimenti extraparlamentari neofascisti. Da una tale «cupola» sarebbero via via dipese le diverse bande armate di «destra». Ultima nel tempo la banda armata «romano-veneta» di cui avrebbero fatto parte i «falsi spontaneisti» ed il cui obiettivo finale sarebbe stato rappresentato dall'attentato alla Stazione di Bologna...
Dagli atti non emerge nessun elemento che giustifichi il teorema accusatorio. Eppure i giudici istruttori parlano di loro convincimenti formatisi grazie ad una «rilettura critica degli atti». Parlano, ancora, di «dialettica processuale». In realtà la «critica» e la «dialettica» sottendono l'accettazione acritica del teorema, giustificata con le dichiarazioni (basate su «impressioni» e generici «sentiti dire») ad «anelli successivi» di svalutatissimi «pentiti».

Il teorema ed il processo di 1° grado
II teorema non regge alla verifica dibattimentale. Si dissolve la associazione eversiva: e con essa scompare la «Super-organizzazione». I vertici del SISMI e gli affaristi della P2 vengono condannati per calunnia nei confronti di Vale e di altri militanti della «destra». Ma nel grottesco «Teatro delle Verità» Massimiliano Fachini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (insieme ad un piccolo malavitoso di nome Picciafuoco), vengono riconosciuti colpevoli del reato di strage: proprio come sostenuto dai «pistaroli» del SISMI.
Signorelli, Cavallini ed altri vengono condannati per un'inesistente banda armata costruita in laboratorio dagli inquirenti.
Il teorema, dunque, considerato «chiuso» dalla requisitoria del PM Libero Mancuso e dall'ordinanza istruttoria dei Giudici Istruttori Zincani e Castaido, non trova in 1° grado la sua definitiva consacrazione: ma la strage deve -comunque- essere «fascista». Esattamente come sostenuto da Francesco Cossiga e come stabilito per editto sulla lapide sul frontale della stazione di Bologna.

Il processo di 2° grado e la «cancellazione» del teorema
La sentenza emessa il 18 luglio 1990 dalla Corte d'Assise di Appello cancella il teorema assolvendo tutti gli imputati dal reato di strage e condannando Fioravanti, Mambro, Cavallini e Giuliani per banda armata.
Musumeci e Belmonte vengono ancora una volta riconosciuti come calunniatori.
In sentenza si mette in discussione la stessa filosofia che aveva ispirato gli inquirenti nella loro paranoia teorematica. «La matrice fascista della strage poteva costituire una delle possibili ipotesi su cui lavorare, non certo una verità data per scontata e, quindi, da dimostrare ad ogni costo». Questo ed altro si legge nella sentenza dei giudici di Appello. Tra l'altro non si esclude la possibilità di un collegamento tra la strage alla stazione e l'abbattimento del DC9 dell'Itavia, riprendendo in via di ipotesi quanto sostenuto con forza da Signorelli in aula. «Ustica chiama Bologna: una strage per coprire un massacro».

La sentenza di appello-bis e la «quarta verità»
La sentenza del 16 maggio (se si prescinde dall'assoluzione di Massimiliano Fachini) si conforma a quanto statuito dalle sezioni unite della Cassazione. Con la condanna degli «esecutori» e con la consegna a Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte della patente di «calunniatori» si è preteso «ristabilire la verità» sulla strage che può -a giusto titolo!- definirsi «fascista». Anche se sono scomparsi definitivamente i «mandanti» e se si sostiene che i «bugiardi» istituzionali hanno depistato non più per volgari motivi di lucro ma per fini di terrorismo. Insomma affaristi della P2 e uomini dei Servizi avrebbero creato una «falsa pista» per far ricadere la colpa su altri che non fossero Fioravanti e Mambro. Salvo che poi, proprio seguendo quella pista, si sia giunti ad «incastrare» coloro da cui si voleva depistare.
A tal punto a noi non interessa la semplice denuncia degli inquinamenti operati nella ricerca della Verità né interessa stigmatizzare i comportamenti «licenziosi» con cui talune Corti vanno avallando quella Verità: smentire la tesi della matrice «fascista» dello stragismo significherebbe assumere un atteggiamento riduttivo a fronte della Storia e della realtà politica caratterizzata dalle strategie storicamente messe in atto dal sistema.
Perché dovrebbe a tutti essere ormai ben chiaro che le bombe le ha messe lo Stato. Per stabilizzare maggioranze ed equilibri internazionali.
Quanto agli «assassini» si costruiscono. Appositamente. Con i teoremi. Una costruzione che ha visto la complicità sistematica degli uomini degli apparati, delle logge e delle lobbies del potere. Centrale e locale. Come i comportamenti di certe cosche bolognesi di falsa «opposizione» al potere centrale insegnano.
Ustica chiama Bologna, abbiamo sostenuto. L'ipotesi di una «strage per coprire un massacro» ha una sua precisa valenza che non potrà non fornire la spiegazione politica delle stragi che per anni hanno insanguinato la colonia Italia. E già si tenta di rilanciare la tesi della bomba a bordo del DC9... Che si voglia attribuire agli «spontaneisti» del NAR anche la strage di Ustica?
 

Paolo Signorelli

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