«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 4 - 15 Giugno 1994

 

Mala tempora currunt
Cultura, addio!
Nefasti effetti del consumismo

 

«Anche se possiamo condannare la materiale soppressione della letteratura (la persecuzione degli scrittori, gli abusi della censura, il rogo dei libri), siamo poi impotenti di fronte al delitto più grave: l'indifferenza verso i libri, la non-letteratura, il disprezzo per i libri. Per questo delitto una persona paga con tutta la vita e, se il delitto è commesso da una Nazione intera, essa lo paga con la sua storia»

Brodskij, Premio Nobel per la letteratura 1988



Quale il destino di una Nazione che abdichi alla propria cultura, per adeguarsi si miti imperanti? Quello di divenire colonia di un unico, indistinto, massificato, onnidilagante impero tecnologico-produttivistico, definito impropriamente «società del benessere», quando dovrebbe piuttosto chiamarsi del malessere.
Gli effetti di tale mancata crescita o di una simile involuzione (almeno per i Paesi che ebbero una luminosa tradizione) si pongono nei termini di un più facile asservimento alla volontà di chi detiene le leve del potere.
Uccidendo la cultura, si spegne il pensiero e con esso la giusta critica nei confronti di chi tende a schiacciare l'essere umano, impedendo l'evoluzione verso forme espressive di carattere superiore. Ai nostri giorni, stiamo assistendo alla più mostruosa congiura, esplicantesi addirittura a livello planetario, ordita contro l'intima essenza dell'uomo: lo Spirito. Ciò si vuole e presto sarà realizzato da parte di chi crede solo al profitto individuale.
Riusciremo ad impedire l'attuazione del più orrendo crimine perpetrato ai danni del genere umano? Dipende. Occorre vedere cosa saremo capaci di contrapporvi. Vista, però, la qualità delle «reazioni» che vengono attualmente proposte, c'è da dubitarne. Ed allora il futuro non sarà roseo.
Crollato il mito di una giustizia sociale (che pure aveva la sua validità, anche se ha trovato espressione in forme dittatoriali), non resta che il faustismo ed il fordismo dell'uomo contemporaneo, abbagliato dagli «ideali» del consumismo, oppure il riemergere di una coscienza «religiosa», che non assume in genere il carattere liberatorio che dovrebbe esserle proprio, ma piuttosto quello di una supina acquiescenza ad una fede cieca, di tipo dogmatico. Tuttavia, qualche speranza può essere nutrita, nonostante tutto, grazie all'impegno assicurato da alcuni intellettuali che remano vigorosamente contro corrente e che restano fedeli, classica eccezione che conferma la regola, a luminosi ideali positivi, nonché dalla scuola che, seppur sotto processo per vari motivi, non ultimo per lo scarso tempo dedicato alla lettura integrale delle opere, non può venir criminalizzata. Infatti, anche la visione panoramica fornita dalla storia della letteratura è utile, per proseguire verso un'indagine più approfondita, affidata all'impegno personale.
Il problema, in ultima analisi, andrebbe risolto in ambito politico; il fatto è che quando i politici, abili lottizzatori dei mass-media, ci propinano Panetti, Baudo, pallonate, canzonette, quiz e varietà più o meno scimuniti a getto continuo, l'appello lanciato in un'ora scolastica (solo qui ormai si sentono campane diverse) all'approfondimento culturale ed all'instaurazione di uno spirito critico si perde in un bailamme di ventitre ore di lavaggio del cervello di segno opposto.
Fatica improba, amici cari, e nemmeno riconosciuta; ma tant'è. Pertanto, non meravigliamoci che una Nazione, ormai privata di una vera cultura e colpita dall'analfabetismo di ritorno, sia inevitabilmente destinata a soccombere di fronte al modello dominante, sia quello di una feroce dittatura che di uno scialbo qualunquismo. In tale clima, si continua certo a stampare libri, ma in genere orientati a senso unico e d'infima qualità; in ogni caso, l'opera non è valorizzata per i contenuti, ma viene vista come merce di scambio, privilegiando l'utile che se ne può trarre e non tanto la valenza educativa ed anagogica.
Per risollevarsi da uno strato così avvilente, occorrerebbe almeno lo stesso tempo impiegato da coloro che, animati da uno spirito distruttore, hanno portato allo status quo. Bisognerebbe, infatti, ricostruire pazientemente quanto è stato colpevolmente dimenticato, vilmente dileggiato, empiamente calpestato e disfatto.
Sarebbe sufficiente, forse, lo spazio di due generazioni, ma bisognerebbe iniziare subito e con massimo impegno tale opera meritoria. Purtroppo, così non è. Non se ne vedono nemmeno i prodromi, le avvisaglie, i segni premonitori.
I padroni del vapore, oggi, non dimostrano certo alcuna intenzione di cambiare la situazione presente. Si parla, infatti, di privatizzare le istituzioni scolastiche; cosa può venir fuori di buono da un imprenditore sponsorizzante che investe i suoi miliardi per vederli fruttare a breve scadenza, a beneficio delle sue industrie, nazionali o multinazionali che siano, delle sue banche, della borsa in cui specula a man bassa, dei suoi traffici più o meno loschi? È logico prevedere che le discipline davvero formative, quali quelle umanistiche in genere, vengano penalizzate da tale stato di cose e che si privilegino, invece, materie di tipo tecnico, utili alla formazione dei futuri operai specializzati e dei loro managers, quali l'informatica, la telematica, la computeristica e, più in generale, tutti gli studi di tipo scientifico. Un mondo squallido, disanimato, governato da tecnocrati e da banchieri, dall'alta finanza e dagli speculatori internazionali. Roba da "Metropolis", da "1984", da rabbrividire !
Eppure, lo chiamano progresso ed, in quest'ottica, si tende a far credere, soprattutto alle nuove generazioni, che la scuola abbia il dovere di immettere direttamente nel mondo del lavoro, che l'istruzione debba fornire solo informazioni essenziali per l'efficienza tecnica, evidenziando una mentalità deleteria, tipica di quest'età oscura, che vorrebbe ridurre l'individuo ad un robot che produce e consuma.
A nostro avviso, invece, la scuola, a meno che non si tratti di un organismo specifico, non deve assolutamente finalizzare il suo insegnamento ad uno scopo pragmatico; è giusto sì fornire ai giovani un'informazione tecnico-pratica, un quadro sulla situazione economica e sociale odierna, indicare le prospettive di lavoro e gli sbocchi professionali, i contenuti delle correnti di pensiero contemporanee, ma non limitarsi a questo.
Si dovrebbe formare, piuttosto, una coscienza autonoma ed una morale in grado di reggere alle facili lusinghe ed agli attacchi che provengono da più parti con violenza inaudita e con subdola ipocrisia, insinuantesi come una biscia nelle anime sprovvedute.
La storia insegna, infatti, che un mondo privo di moralità produce una scienza assassina, dei sistemi politici mostruosi (con buona pace del Machiavelli), una società violenta, egoistica, utilitaristica, edonistica. Del resto, «l'uomo non vive di solo pane», checché ne dicano i sostenitori di una visione materialistica della vita, ed ha bisogno anche (forse, soprattutto!) di risposte chiare ed esaurienti ai dubbi esistenziali che sempre più lo dilaniano. La scuola dovrebbe svolgere, insomma, un ruolo anche formativo, oltre che puramente nozionistico-informativo, nei confronti delle coscienze dei futuri cittadini, salvaguardando ovviamente la libertà delle opinioni ed il loro rispetto, nell'educazione al dialogo ed al confronto ideologico. Non temano, pertanto, coloro che gridano allo scandalo, paventando il plagio o l'avvento di uno Stato etico.
Solo in tal modo, infatti, potrà finalmente rinascere l'uomo organico, esistente in civiltà precedenti la nostra, che non avevano tagliato il mondo ed il sapere umano in due tronconi: quello pragmatico e quello morale-metafisico. Si è finito, in tal modo, per prestare attenzione solo all'aspetto più esteriore dell'individuo, dimenticando la sua parte più nobile e profonda, reale e duratura, con tutte le conseguenze che abbiamo dinanzi, in ogni campo. Infatti, cosa può comportare una politica oppure una scienza che ignorino una morale? Che frutti può produrre una cultura vuota, che privilegi il fatto estetico-formale? Che senso ha una religione che si appaghi del ritualismo e ricerchi prevalentemente il potere temporale? Tutti hanno sott'occhio le tragiche conseguenze di tale errore. Pertanto, il senso morale della vita, la dimensione del sacro non possono venir cancellate, senza subire inevitabili, gravissimi contraccolpi a tutti i livelli. Ricordare questo è compito primario e responsabilità ineludibile degli educatori, degli insegnanti, dei politici, degli intellettuali, dei religiosi, nonostante i numerosi pareri contrari che tuttora sussistono. Certo, ognuno poi sarà libero di applicare o meno tali consigli, ma non si può certo prescindere da tali conoscenze, non si può fondare un mondo su misura per l'homo oeconomicus, appiattito su di un'unica dimensione.
Ciò vuoi dire scatenare tutte le componenti più negative dell'anima umana e preparare l'avvento di un futuro in cui s'addensano cupi presagi. Per esorcizzare tutto ciò, si dovrebbe proporre l'instaurazione di un nuovo umanesimo, volto a fornire gli strumenti critici idonei a formare la coscienza dell'uomo contro la minaccia rappresentata da una «civiltà» puramente tecnologica. Contro il tentativo di meccanizzazione dell'uomo, che tende a privarlo di ogni potere decisionale, occorrerebbe piuttosto tornare a sapere su quale terreno storico ci siamo formati, con chi e per che cosa si debba lottare, quale sia il senso ed il fine dell'esistenza.
Concludendo, vorremmo citare una frase dello scienziato-filosofo Albert Einstein, proponendola all'attenta considerazione del lettore: «È essenziale che lo studente abbia una comprensione ed un senso vivo dei valori morali, di ciò che è moralmente buono. Altrimenti, con le sue conoscenze specialistiche, sarà più simile ad un cane ben ammaestrato che ad una persona che abbia conosciuto uno sviluppo armonioso».
Abbiamo voluto riportare l'opinione di un illustre personaggio in merito al problema trattato, per assicurare un sigillo d'autorità alle nostre parole che, altrimenti, rischiano di divenire una vox clamans in deserto.
Nonostante tutto, però, non amiamo farci troppe illusioni; la direzione intrapresa porta, infatti, a precipitare inevitabilmente diritti nell'abisso e ci vorrebbe ben altro che articoli e citazioni, per illustri che siano.
Forse, dovremo toccare il fondo, prima di risalire. L'importante, allora, consiste nel fatto di coltivare nel frattempo la speranza di un esito positivo, operando in sintonia coi nostri pensieri, per assicurare coerenza con le nostre azioni, fornendo altresì l'esempio di un corretto comportamento, elemento prima o poi trainante, soprattutto se affermato coraggiosamente e con forza. In tal modo e solo in questo si potrà rimanere in piedi nonostante tanta rovina prodotta dalla furia devastatrice di chi persegue caparbiamente solo e sempre il proprio utile, costi quel che costi.
Ma soprattutto, e questa è la cosa più importante che ci da motivo di ben sperare, si potrà riproporre, quando sarà svanito ogni punto ideale di riferimento, a coloro che, di fronte a tanta desolazione, intenderanno mutar rotta ed alzar le vele verso nuovi lidi, una visione del mondo positiva, luminosa ed equilibrata, di nuovo organica, l'unica capace di soddisfare finalmente tutte le esigenze dell'essere umano, non solo quelle attinenti alla sfera biologica, ma anche quelle interiori, di carattere spirituale, in grado di risolvere dubbi e d'appianare problemi, di sanare angosce esistenziali, di nutrire l'anima che grida, inascoltata, la sua disperazione, coperta dall'ossessivo frastuono della civiltà delle macchine, del ferro, del Kaliyuga che avanza inesorabile, eppur necessaria, quasi a costituire un banco di prova ineludibile per il genere umano, grazie al quale esso proverà in modo inequivocabile la sua «nobilitade».
 

Alfredo Stirati

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