la recensione
I santi
militari
«Se voi sarete quel che dovete
essere, metterete il foco in tutta l'Italia»: è così che Caterina da Siena parla
a papi e a cardinali perché restaurino la comunità cristiana scossa dallo scisma
d'Avignone.
Ed è un parlare schietto, duro, appassionato: ma chi l'ha detto, del resto, che
i santi (e le sante) debbano tener costantemente puntati gli occhi al cielo, con
assorta e devota compunzione, trascurando di guardare alle miserie terrestri? Il
cielo del santo è prima di tutto un cammino aspro e forte in mezzo agli uomini
perché siano degni del Dio di fronte al quale si inginocchiano: e se lungo la
strada c'è da menare qualche buona mazzata, reale o metaforica che sia, non è
che il santo si tiri indietro.
Ci sta proprio bene santa Caterina come patrona d'Italia da rinvigorire perché
non muoia di vigliaccheria: e in questo ruolo di protezione e di rianimazione
Francesco d'Assisi le fa da ottimo compagno. Anche qui si tratta di toglierci
dalla mente l'immaginetta del santo tutto miele che trascorre il suo tempo tra
laudi all'Altissimo, onnipotente, bon Signore, prediche ai lupi affamati e soavi
complimenti ai variopinti uccellini: basta leggere il "Francesco d'Assisi" di
Franco Cardini (Mondadori) per far la conoscenza con un santo duro e puro che
non rinuncerà mai a quei valori di eroismo e di fedeltà su cui, giovanissimo,
voleva modellare la propria vita, secondo lo stile delle chansons de geste. Solo
che, dopo aver indossato le armi (prima per prender parte, nel 1202 alla guerra
contro Perugia; successivamente per aggregarsi alla spedizione di Gualtieri di
Brienne che combatteva per il papa Innocenzo III), fu folgorato dalla visione e
dalla parola del Signore: trasformatosi in miles pacificus, non lasciò comunque
avvilire il suo cuore di una volta, ma lo fece battere al servizio della
Cristianità. Pellegrino in Italia come in Terrasanta, Francesco fu tra i
Crociati che assediavano Damietta: certo, non si era recato nei Luoghi Santi
armato fino ai denti ma non era inerme quando si presentò al Sultano al-Malik al
Kamil per annunciargli la parola di Cristo.
Ci piace immaginarlo umile, sì, ma anche «robustoso e forte» come il Frate Foco
celebrato nel Cantico delle creature. Insomma, Francesco aveva un bel
temperamento.
E ha fatto bene Rino Cammilleri a inserirlo a pieno titolo nel suo "I santi
militari" (PIEMME): un'opera di sana e cristiana provocazione dove sono raccolte
le incisive biografie di 27 santi patroni, 113 militari dall'epoca apostolica ai
nostri giorni, otto cappellani militari. L'ultimo capitolo è riservato ai
combattenti dimenticati: e qui un cattolico dichiaratamente tradizionalista o,
se preferite, controrivoluzionario come Cammilleri, non poteva non inserire
(insieme ai cosiddetti samurai cristiani massacrati nel Giappone secentesco
durante la rivolta di Shimabara e ai cristeros, cioè ai popolani cattolici che
in Messico, nel primo dopoguerra, presero le armi contro i governanti
filo-comunisti) le glorie vandeane e quelle sanfediste.
Ma qual è, in sostanza, il nucleo ideologico del libro? È Cammilleri stesso a
dire, nella premessa, che ad offrire lo spunto all'opera è stata «la coincidenza
esistente tra molte virtù cristiane e molte di quelle richieste ai militari». Si
legge ancora: «In fondo, anche per il cristiano la vita è un combattimento:
militici super terram vita hominis est. Naturalmente il cristiano combatte
contro il peccato. Il soldato, se la sua causa è giusta, combatte anche contro
il peccatore, cioè l'ingiusto aggressore. Il soldato, il monaco e il sacerdote
portano uno speciale abito, che li indica attivi per qualcosa di più alto,
qualcosa per cui si deve essere pronti anche a dare la vita. Oltre al portare
una divisa, anche il coraggio, lo sprezzo delle fatiche e dei pericoli,
l'obbedienza, la disciplina, il dominio di sé, il lavoro di squadra, la
ritualità, le gerarchie sono aspetti comuni all'uno e all'altro ordine».
Bene: molti cristiani sono diventati santi passando attraverso il mestiere delle
armi e il libro -che reca la prefazione di Giovanni Marra, Arcivescovo Ordinario
Militare- è dedicato proprio a loro. Ed è qui che sta la provocazione. Perché in
mezzo alla marea montante di cristianucci e di cristianacci sbavanti
giaculatorie, untuosi, piagnucolosi, pacifisti fino al midollo ma non veramente
pacifici se la pax deve andar sempre in coppia con la iustitia; contro la
tipologia del cristiano molle, rilassato nella sua celestiale bigotteria
assolutamente ostile a ogni rivendicazione di forza e di virilità morale,
frequentatore assiduo di sagrestie e di sottoboschi politici, abituato a
declinare in mille varianti l'aurea massima prega Dio e fatti il prossimo: un
libro come quello di Cammilleri, tessuto di notizie e di aneddoti, e servito da
una prosa chiara e scorrevole, serve proprio da contro-testimonianza. «Il vostro
cristianesimo non sia inginocchiatoio ma una lama di coltello», ammoniva un
cristiano di robusto carattere e fieri spiriti, come il fiorentino Domenico
Giuliotti.
Cammilleri, che è siciliano ma insegna e vive a Pisa, un po' di intransigenza
deve averla respirata se tanto gli garbano i santi che non disdegnano la spada.
Apre questa vivace compagnia la Madonna campeggiante sugli stendardi degli
eserciti cristiani e garante di mirabili vittorie come quella di Lepanto. E la
santa sequenza procede con volti e storie più o meno noti. Ecco Michele
Arcangelo che vince il dragone dell'Apocalisse, Giorgio «con la lancia in resta,
mentre carica un drago per difendere una fanciulla legata e una città posta
sopra un monte», così come ce lo presenta l'icona tradizionale; Martino, che
offre un pezzo del suo mantello a un mendicante; Giovanna d'Arco, la Pulzella
cui San Michele e Santa Caterina affidano la missione di liberare la Francia
dagli Inglesi. C'è il Longino che trafisse Gesù sulla croce con un colpo di
lancia e poi si convertì; ci sono i santi che in cristiana imitazione di Leonida
alle Termopili, muoiono a schiera come Acacio d'Armenia e compagni, e i martiri
di Sebastia; ci sono i santi medievali con le loro storie suggestive, cariche di
colore e di fantasia; Carlo Magno e i Paladini di Francia, un principe come
Vladimiro di Novgorod, un imperatore come Enrico II, un monaco come Bernardo di
Chiaravalle, che da la regola ai Cavalieri del Tempio, un predicatore come
Pietro l'Eremita, un arcivescovo come Thomas Becket, un combattente
dall'immagine potentemente suggestiva come Galgano, il cavaliere che conficcò
«la spada nella roccia» per farsi miles pacificus: e quella spada esiste
veramente e la si può ammirare sul monte Siepi, in territorio senese.
Santi per tutti i giorni, per ogni (buona) occasione: Ignazio di Loyola,
fondatore della Compagnia di Gesù; Pio V, papa di Lepanto; Carlo d'Asburgo,
l'ultimo imperatore.
Tra i cappellani militari troviamo Giovanni XXIII che fu impegnato in questa
veste durante la Prima Guerra Mondiale e in seguito scrisse: «Di tutto sono
grato al Signore, ma particolarmente Lo ringrazio perché a vent'anni ha voluto
che facessi il mio bravo servizio militare e poi durante tutta la Prima Guerra
Mondiale lo rinnovassi da sergente e da Cappellano».
Mario
Bernardi Guardi
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