«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 5 - 15 Agosto 1994

 

la recensione

I santi militari

 

«Se voi sarete quel che dovete essere, metterete il foco in tutta l'Italia»: è così che Caterina da Siena parla a papi e a cardinali perché restaurino la comunità cristiana scossa dallo scisma d'Avignone.
Ed è un parlare schietto, duro, appassionato: ma chi l'ha detto, del resto, che i santi (e le sante) debbano tener costantemente puntati gli occhi al cielo, con assorta e devota compunzione, trascurando di guardare alle miserie terrestri? Il cielo del santo è prima di tutto un cammino aspro e forte in mezzo agli uomini perché siano degni del Dio di fronte al quale si inginocchiano: e se lungo la strada c'è da menare qualche buona mazzata, reale o metaforica che sia, non è che il santo si tiri indietro.
Ci sta proprio bene santa Caterina come patrona d'Italia da rinvigorire perché non muoia di vigliaccheria: e in questo ruolo di protezione e di rianimazione Francesco d'Assisi le fa da ottimo compagno. Anche qui si tratta di toglierci dalla mente l'immaginetta del santo tutto miele che trascorre il suo tempo tra laudi all'Altissimo, onnipotente, bon Signore, prediche ai lupi affamati e soavi complimenti ai variopinti uccellini: basta leggere il "Francesco d'Assisi" di Franco Cardini (Mondadori) per far la conoscenza con un santo duro e puro che non rinuncerà mai a quei valori di eroismo e di fedeltà su cui, giovanissimo, voleva modellare la propria vita, secondo lo stile delle chansons de geste. Solo che, dopo aver indossato le armi (prima per prender parte, nel 1202 alla guerra contro Perugia; successivamente per aggregarsi alla spedizione di Gualtieri di Brienne che combatteva per il papa Innocenzo III), fu folgorato dalla visione e dalla parola del Signore: trasformatosi in miles pacificus, non lasciò comunque avvilire il suo cuore di una volta, ma lo fece battere al servizio della Cristianità. Pellegrino in Italia come in Terrasanta, Francesco fu tra i Crociati che assediavano Damietta: certo, non si era recato nei Luoghi Santi armato fino ai denti ma non era inerme quando si presentò al Sultano al-Malik al Kamil per annunciargli la parola di Cristo.
Ci piace immaginarlo umile, sì, ma anche «robustoso e forte» come il Frate Foco celebrato nel Cantico delle creature. Insomma, Francesco aveva un bel temperamento.
E ha fatto bene Rino Cammilleri a inserirlo a pieno titolo nel suo "I santi militari" (PIEMME): un'opera di sana e cristiana provocazione dove sono raccolte le incisive biografie di 27 santi patroni, 113 militari dall'epoca apostolica ai nostri giorni, otto cappellani militari. L'ultimo capitolo è riservato ai combattenti dimenticati: e qui un cattolico dichiaratamente tradizionalista o, se preferite, controrivoluzionario come Cammilleri, non poteva non inserire (insieme ai cosiddetti samurai cristiani massacrati nel Giappone secentesco durante la rivolta di Shimabara e ai cristeros, cioè ai popolani cattolici che in Messico, nel primo dopoguerra, presero le armi contro i governanti filo-comunisti) le glorie vandeane e quelle sanfediste.
Ma qual è, in sostanza, il nucleo ideologico del libro? È Cammilleri stesso a dire, nella premessa, che ad offrire lo spunto all'opera è stata «la coincidenza esistente tra molte virtù cristiane e molte di quelle richieste ai militari». Si legge ancora: «In fondo, anche per il cristiano la vita è un combattimento: militici super terram vita hominis est. Naturalmente il cristiano combatte contro il peccato. Il soldato, se la sua causa è giusta, combatte anche contro il peccatore, cioè l'ingiusto aggressore. Il soldato, il monaco e il sacerdote portano uno speciale abito, che li indica attivi per qualcosa di più alto, qualcosa per cui si deve essere pronti anche a dare la vita. Oltre al portare una divisa, anche il coraggio, lo sprezzo delle fatiche e dei pericoli, l'obbedienza, la disciplina, il dominio di sé, il lavoro di squadra, la ritualità, le gerarchie sono aspetti comuni all'uno e all'altro ordine».
Bene: molti cristiani sono diventati santi passando attraverso il mestiere delle armi e il libro -che reca la prefazione di Giovanni Marra, Arcivescovo Ordinario Militare- è dedicato proprio a loro. Ed è qui che sta la provocazione. Perché in mezzo alla marea montante di cristianucci e di cristianacci sbavanti giaculatorie, untuosi, piagnucolosi, pacifisti fino al midollo ma non veramente pacifici se la pax deve andar sempre in coppia con la iustitia; contro la tipologia del cristiano molle, rilassato nella sua celestiale bigotteria assolutamente ostile a ogni rivendicazione di forza e di virilità morale, frequentatore assiduo di sagrestie e di sottoboschi politici, abituato a declinare in mille varianti l'aurea massima prega Dio e fatti il prossimo: un libro come quello di Cammilleri, tessuto di notizie e di aneddoti, e servito da una prosa chiara e scorrevole, serve proprio da contro-testimonianza. «Il vostro cristianesimo non sia inginocchiatoio ma una lama di coltello», ammoniva un cristiano di robusto carattere e fieri spiriti, come il fiorentino Domenico Giuliotti.
Cammilleri, che è siciliano ma insegna e vive a Pisa, un po' di intransigenza deve averla respirata se tanto gli garbano i santi che non disdegnano la spada.
Apre questa vivace compagnia la Madonna campeggiante sugli stendardi degli eserciti cristiani e garante di mirabili vittorie come quella di Lepanto. E la santa sequenza procede con volti e storie più o meno noti. Ecco Michele Arcangelo che vince il dragone dell'Apocalisse, Giorgio «con la lancia in resta, mentre carica un drago per difendere una fanciulla legata e una città posta sopra un monte», così come ce lo presenta l'icona tradizionale; Martino, che offre un pezzo del suo mantello a un mendicante; Giovanna d'Arco, la Pulzella cui San Michele e Santa Caterina affidano la missione di liberare la Francia dagli Inglesi. C'è il Longino che trafisse Gesù sulla croce con un colpo di lancia e poi si convertì; ci sono i santi che in cristiana imitazione di Leonida alle Termopili, muoiono a schiera come Acacio d'Armenia e compagni, e i martiri di Sebastia; ci sono i santi medievali con le loro storie suggestive, cariche di colore e di fantasia; Carlo Magno e i Paladini di Francia, un principe come Vladimiro di Novgorod, un imperatore come Enrico II, un monaco come Bernardo di Chiaravalle, che da la regola ai Cavalieri del Tempio, un predicatore come Pietro l'Eremita, un arcivescovo come Thomas Becket, un combattente dall'immagine potentemente suggestiva come Galgano, il cavaliere che conficcò «la spada nella roccia» per farsi miles pacificus: e quella spada esiste veramente e la si può ammirare sul monte Siepi, in territorio senese.
Santi per tutti i giorni, per ogni (buona) occasione: Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù; Pio V, papa di Lepanto; Carlo d'Asburgo, l'ultimo imperatore.
Tra i cappellani militari troviamo Giovanni XXIII che fu impegnato in questa veste durante la Prima Guerra Mondiale e in seguito scrisse: «Di tutto sono grato al Signore, ma particolarmente Lo ringrazio perché a vent'anni ha voluto che facessi il mio bravo servizio militare e poi durante tutta la Prima Guerra Mondiale lo rinnovassi da sergente e da Cappellano».
 

Mario Bernardi Guardi

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