«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 5 - 15 Agosto 1994

 

Per l'essere sull'avere


 

Finisce il secolo. Con esso, i grandi miti che infiammarono gli uomini. E i miti, e gli uomini che li incarnarono, sottoposti ad una martellante critica demolitrice. Dovunque macerie morali. È il crollo dell'assoluto. Il pensiero diventa illusione, le idee vanità, la verità utopia. La ragione prevale sull'istinto e si elevano peana alla felicità universale: la vita come fatalità, l'egoismo come ragion d'essere. Si dileguano le religioni. Travolti gli ideali morali, si preconizzano mète radiose.
Assistiamo ad un ondeggiamento immenso e tenebroso che viene scambiato come nuova cultura, quasi si fosse innalzata una nuova civiltà che promette una società paradisiaca ed ai divulgatori della «felicità» tutti vi tengon dietro a capo chino. Si vuoi far cadere nell'oblio una verità incontestabile: per vivere è necessario soffrire. Per vivere con superbia e dignità fra superbi.
Forse è l'eterno ritorno, l'alternanza del circolo della vita. Sboccia l'era del moderatismo impersonata da una consorteria intenzionata a detenere il potere attraverso l'arbitrio. Un governo di industriali e commercianti guidati da un abile ciarlatano che si spaccia per demiurgo e che vuole cloroformizzare la vita politica: supremo barone distributore di feudi, elargitore di investiture. Attorniato da una maggioranza parlamentare di politicanti maneggioni e affaristi, di corruttori e corrotti, mansueta ed acquiescente. E se parte di essa, talvolta, si sforza di mimare logomachie politiche, lo fa al solo scopo di avere soddisfatta la propria avidità per incarichi ministeriali e istituzionali con il fine di acquietare gli appetiti e gli interessi di determinate clientele.
Sta per realizzarsi una «nuova» democrazia che tutto intristisce invecchia ammala e che riuscirà, forse, a dare forma ad una alleanza tra la plebe e la borghesia imprenditrice. Saremo una grande massa di schiavi al servizio di pochi che ci porteranno al punto di accettare ed assimilare il liberalismo di tipo anglosassone. Ma davvero il nostro popolo ha necessità di simile vergognosa esperienza? Di rinnegare tutta la propria storia?
Non abbiamo forse il dovere di difendere, con ogni mezzo, una civiltà antichissima, forte di tutti i valori dello spirito contro questa «nuova» civiltà fondata su «valori» fisici, materiali, meccanici; con programmi fumosi, vaporose visioni, rarefatte utopie? È un «nuovo» dove abbondano il superficialismo intellettuale, l'ibridismo teorico, la confusione morale e dottrinaria. A ben vedere, è il riemergere di un residuato demagogico del cosiddetto «vecchio» con l'aggiunta del pragmatismo di chi ha come traguardo l'avere sull'essere. Che vuole palesemente dimostrare quanto siano vacui ed astratti simboli quali: volontà popolare, popolo, massa e che le rivoluzioni politiche si compiono assai meglio attraverso il gioco di complesse operazioni economiche. Già da tempo assistiamo ad una storia di apostasie e di diserzioni. Il connubio tra il segretario di un movimento politico ed il capo di un oligopolio fanno ben capire che alla base dell'accordo non vi sia un mero intreccio di interessi elettorali. Infatti, all'imprenditore andranno i profitti, al politico... la mancia.
E allora -penserà qualcuno- si è chiuso un ciclo? Nemmeno per sogno. Forse siamo gli illusi, gli sconsolati, i disperati di sempre, ma proprio per questo non vogliamo rassegnarci. Anche perché abbiamo la certezza che gli invocati, gli aspettati, gli eletti si dimostreranno, ben presto, oligarchi, despoti e traditori anche agli occhi di chi li ha votati. Quel giorno, non facciamoci trovare impreparati. Fin da ora cerchiamo di stringere rapporti con chi, su questo «nuovo», la pensa come noi. Fosse pure il diavolo.

 

a. c.

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