Pensieri e parole
Sull'ultimo numero di
"Tabularasa", Gino Logli ha inteso annunciare la sua iscrizione ad un club
forzista (si dice così?) di Pisa. Non me ne stupisco. Così come non mi
scandalizzano quegli ex compagni di viaggio (lasciamo perdere i nomi, che non
serve) folgorati dal fascino delle sigle emergenti CCD, UDC, Clubs
Pannella-riformatori; né quelli che si cospargono il capo di cenere davanti a
qualche dignitario della corte di Fini ricevendone il manuale di istruzioni sul
nuovo corso, ivi comprese le indicazioni su tipo e durata della penitenza.
Nessuna meraviglia: l'addio con rancore era solo una riflessione autoironica sul
tempo andato, l'epopea dei coglioni. Più deserto dei tartari che amarcord... Ma
è storia vecchia, come quella degli italiani pronti a soccorrere i vincitori.
Non mi piace il moralismo peloso. Che c'è di strano o di incomprensibile in
queste folgorazioni? Il panorama politico a lungo congelato dal diffuso
consociativismo si va semplificando. Le forze in campo subiscono un processo di
polarizzazione. Inizia la fase dei grandi rimescolamenti, delle riflessioni,
magari dei ripensamenti: individuali e di gruppo.
Che credi, Gino, son grato anch'io al dottor Berlusconi. Perché ha finalmente
sgombrato il campo da alibi, ambiguità ed ipocrisie. Sappiamo chi è, da dove
viene, di quali mezzi dispone, quali interessi rappresenta, quale è il suo
programma. Non solo quello stampato negli eleganti dépliant s in dotazione ai
suoi clubs. A te piace: lo vuoi studiare ed approfondire. La maggioranza di
questo Paese la pensa come te. A me non va proprio a genio: per motivi
assolutamente razionali, ininfluenzabili dal tarlo del pregiudizio. Di
conseguenza, ho deciso di combatterlo con tutte le mie forze. Non ho la puzza
sotto il naso, né uso trastullarmi con la purezza della razza. Non sottilizzo
sulla sudorazione sgradevole, sulle caratteristiche fisiognomicoantropologiche
degli eventuali compagni in armi. Figurarsi il look.
Tuttavia, non penso affatto che tu appartenga alla categoria degli italiani
pecoroni (la maggioranza) e lo scrivente a quella degli intelligenti (orgogliosa
minoranza in via di estinzione). Semplicemente che siamo su fronti contrapposti,
non solo di «approfondimento e studio». Spero che presto si smetta di studiare
in questo nostro Paese. Che venga il tempo della lotta dura. Altrimenti come
potremmo farci male? Quando s'incontra un guado od un'asperità durante un
cammino, c'è chi decide di andare avanti e chi torna sui propri passi. Non serve
interrogarsi sulle rispettive motivazioni, che tanto non le cambieresti. Di
pazzi e savi è piena la storia dell'umanità. Quasi sempre i secondi hanno
ragione, eppure i primi... a volte...
Buona fortuna, Gino. Ma non volermene se altrettanta ne auguro a quel mio amico
mandrillone ossessionato dal sesso impossibile il quale è convinto di poterti
possedere, nonostante le «mutande di ferro».
* * *
Mi consolo con le vittorie dei poveri...
Piccoli segnali in controtendenza nel voto di ballottaggio del 26 giugno. No!
non è passata la sbornia. L'ennesima onda lunga che sospinge i nuovi potenti
verso lidi di gloria è ancora spumeggiante e minacciosa. Epperò, diamine!, per
qualche giorno ho visto meno spocchiosa arroganza negli stati maggiori di
Arcore, meno sorrisi a prova di telecamera, meno voglia di un altro tressette
elettorale per tentare il cappotto. Quando la carta gira bisogna
approfittarne...
Non che sia il caso di enfatizzare un voto che ha interessato appena sei milioni
di italiani, metà dei quali hanno preferito il mare o la montagna alle gabine
elettorali (ne abbiamo davvero le tasche piene di urne, schede ed
exit-poll). Ma lasciatemi dire che qualche motivo di soddisfazione c'è,
altrimenti faccio torto al mio fottuto ottimismo.
Primo: il dato relativo al consenso ormai fluttuante. Gli zoccoli più duri si
stanno consumando. Ce la faranno gli asini a trasportare le masserizie nelle
case dei nuovi padroni o scoppieranno prima? Giriamo il quesito all'on. Pilo per
un sondaggio sui quadrupedi.
Chi non è Pilo-dipendente nel frattempo potrà illudersi che cadute le
appartenenze ideologiche o partitiche, gli umori degli italiani siano, appunto,
umori: variabili, volubili. E ne trarrà l'auspicio che non ci saranno più
stagioni politiche quarantennali. Oggi a te, domani a me. Secondo, più
significativo elemento: la crescita del dissenso attivo o passivo. Basta dare
un'occhiata alle percentuali di astensionismo ed a quelle del voto inespresso od
annullato. Si potrebbe dedurre che un gran numero di cittadini, ad ogni
latitudine, non si riconosca nelle attuali rappresentanze, nelle offerte che
provengono dal mercato della politica. Restano dunque ampi spazi per una
proposta alternativa a quella costruita negli uffici di Publitalia?
Certamente sì. A patto di non cadere nella trappola del pregiudizio, della
polemica sterile, della disputa ideologica di tipo tradizionale. La destra
-questa destra!- può essere sfidata su ben altri terreni evidenziandone limiti e
contraddizioni. Forse non bisogna neppure sfidarla, tante sono le questioni
sulle quali verrà puntuale la verifica e, per molti, la disillusione. Un
esempio: da Napoli, in occasione del vertice dei potenti della Terra, il
Cavaliere annuncia 100.000 nuovi posti di lavoro già «creati dal nulla». Il
giorno dopo la smentita. Da Confindustria e sindacati, non dal Padreterno
preoccupato della sua celeste poltrona. Sarebbero dati ISTAT, per giunta
contraddittori, relativi al periodo gennaio-aprile, quando Berlusconi era sì
presidente, ma di una squadra di calcio per quanto blasonata.
In fondo, a guardare certi ministri e sottosegretari, sembra di essere usciti da
una qualche apocalisse con i pochi sopravvissuti chiamati a compiti e funzioni
più grandi di loro. Invece di governare e decidere parlano, combinando così
tanti guai da costringere il padre-padrone a zittirli. Ci penserà Ferrara: la
grande rivoluzione ha finalmente la voce che merita. Tutto a posto, adesso?
Macché.
La RAI, la giustizia, i monopoli, la nuova legge elettorale: «più che una
maggioranza sembra un pollaio», strilla Casini reclamando un vertice (ma non
erano riti da prima repubblica?). «Il nuovo puzza ancora di stantio», ammonisce
Pivetti sbattendo la porta in faccia a Scognamiglio ed il telefono al Presidente
sulla questione delle nomine televisive. «Lottizzare non è facile», ironizza
Manca che di queste cose se ne intende.
La Politica, il Governo di una nazione, lo Stato e le sue leggi, la Democrazia e
le sue regole sono cose ben diverse e complesse della gestione di un'azienda.
Non dovremmo farcelo rammentare dall'on. Bossi.
* * *
Altro che antifascismo. Non si può dare l'impressione di non aver altre frecce
al proprio arco, facendo apparire strumentale persino il diritto alla memoria.
Forse non è sufficientemente chiara la strategia dei vincitori su questo
versante? Per sostenere la svolta di Fini e farne lievitare credibilità e
quotazioni c'è bisogno di un contemporaneo attacco da sinistra, dove purtroppo
pullulano gli imbecilli, e da destra. Dall'interno, con le solite sortite di
Buontempo o della Mussolini, quanto dall'esterno dove, guarda caso, si
moltiplicano le accuse di alto tradimento al leader di AN. Le cronache
riferiscono del ritorno in campo di Pisanò (l'uomo giusto al momento giusto,
quando serve) che annuncia future battaglie attraverso un nuovo foglio: titolo
"Seconda Repubblica", sottotitolo «periodico dei fascisti e dei produttori per
la democrazia corporativa».
Ancora le cronache sui progetti di Maurizio Boccacci, capo dei naziskin, che
avrebbe depositato la sua dichiarazione di guerra al liberalcapitalismo presso
un'agenzia di stampa pronto a stringere alleanze politico-militari con la
sinistra estrema.
Per ultimo leggiamo di un appuntamento viareggino organizzato da tale Leccisi
per una sorta di «rifondazione fascista». Dietrologia a parte, l'analisi di
questi tempestivi «movimenti» appare sufficientemente chiara. Quanto meno
rispetto all'effetto raggiunto. Fascismo, antifascismo... non è questa la
strada. Chi vuoi percorrerla, da una parte e dall'altra, si accomodi pure:
renderà un buon servizio al Cavaliere ed ai suoi scudieri.
* * *
Che succede all'ombra della Quercia e sotto i suoi aridi cespugli? La corsa alla
segreteria è stata vinta da D'Alema. Ho sperato anch'io che a spuntarla fosse
Veltroni, senz'altri elementi di giudizio che la simpatia. Magari sarò stato
influenzato dagli stereotipi costruiti dai mass-media. Veltroni o D'Alema, il
PDS si trovava e si trova davanti ad un bivio, l'appuntamento con una scelta a
lungo differita. Subire il ricatto dei vetero-comunisti per ricomporre, sia pure
sotto mentite spoglie, il vecchio PCI, oppure andare oltre sé stesso e la sua
storia; smantellare ciò che resta degli apparati; contribuire, al di fuori di
ogni tentazione egemonizzante, alla costruzione di un nuovo soggetto politico.
Lo sforzo innovativo, l'ulteriore strappo che attende la Quercia, appare
inevitabile quanto indipendente -questa, almeno, l'impressione- dall'attuale
capo di Botteghe Oscure. I cui baffetti, si dice, nasconderebbero molte e
positive sorprese.
D'altra parte, la stessa questione si pone su un fronte più ampio. Quella cioè
di costruire un'alternativa al liberismo selvaggio, alla telecrazia,
all'offensiva del supermercato, portando a sintesi quanto meno programmatica
differenti culture e sensibilità che vanno dalla sinistra post-comunista ai
cattolici. In questo processo, in qualche modo già avviato, troverei
affascinante che ciascuno di noi, magari la stessa rivista, potesse assumere un
compito ed un ruolo.
Il rischio -assai concreto- è che il processo diventi un semplice procedimento,
l'operazione di assemblaggio di numeri e sigle in una grande confusione
politica, culturale e programmatica. Il fallimento del cartello elettorale
progressista ne è la prova più recente.
Un compito ed un ruolo in questa fase! Questa è stata, in definitiva, la
riflessione dell'ultima riunione (20 giugno) dei Movimenti federalisti del Sud,
afferenti al progetto di Unione Mediterranea, che si sono dati un coordinamento
provvisorio in vista della Assemblea con funzione costituente che si terrà
probabilmente a Napoli il 7-8-9 ottobre. Discutendo del tema «Oltre la vecchia
sinistra, per battere la nuova destra: la sfida federalista, meridionalista e
mediterranea», è stato ribadito quanto sia riduttiva e fuorviante la
contrapposizione destra-sinistra. Non si tratta di collocarsi nominalmente a
destra o a sinistra, ma di scegliere da che parte stare rispetto alla difesa di
valori, princìpi, bisogni ed interessi reali.
Senza inseguire il mito, tutto americano, dei due partiti diversi nei colori
delle bandiere ma identici nella sostanza, bensì radicalizzando il confronto e
lo scontro sui contenuti, su questioni vere, di carattere interno ed
internazionale, per obbligare ciascuno ad una scelta che non sia di mero
opportunismo ma di sostanziale adesione a due griglie di valori tra esse
conflittuali ed alternative, due modelli di società e di sviluppo.
Questa capacità di indicare una prospettiva ed un cammino autenticamente
alternativi ed antagonisti al modello proposto da Forza Italia -accettato dal
Polo delle Libertà senza riserve, salvo l'interessante distinguo da parte della
Lega- è sin qui mancata allo schieramento di opposizione, sicché il vuoto va
rapidamente colmato. Destra e sinistra sono ormai etichette appiccicate ad abiti
consunti. Non riescono ad interpretare dialetticamente una realtà profondamente
mutata ed assai più complessa di quella che emergeva tra l'Ottocento ed il
Novecento. Lo abbiamo sostenuto per tanti anni, non vedo perché si debba
smettere di farlo.
In questi giorni mi sono lasciato catturare dall'attualità dei temi sui quali
molti di noi hanno scritto in questi anni, sempre con un certo significativo
anticipo rispetto al generale dibattito politico. La fine del comunismo; il
cambiamento dell'asse geopolitico Est-Ovest - Nord-Sud; la perdita di ruolo e di
senso dei partiti tradizionali; i nuovi strumenti del consenso; la scomposizione
e la riaggregazione delle differenti culture secondo nuove ed inedite polarità;
l'impossibilità di interpretare la società contemporanea alla luce di schemi e
risposte ideologiche e dottrinarie; i problemi di tipo nuovo e l'indicazione
delle risposte quale cemento per la costruzione di nuovi soggetti.
A questo potrei aggiungere la scelta federalista fatta da chi scrive in una
realtà dove a parlarne si veniva apostrofati come disfattisti; le tante
iniziative in tema di protagonismo meridionale quando ancora si era in pieno
regime da intervento straordinario, oppure quelle recentissime riguardanti il
Mediterraneo.
Sto riflettendo, certamente non in termini autoconsolatori, su queste piccole
intuizioni, indicative di sensibilità e maturità politica e le confronto con
l'elaborazione che c'è stata in questi anni su altri versanti. Vedo uno spazio
ed un futuro.
* * *
L'UNICEF ha presentato il suo ultimo rapporto sul progresso delle Nazioni. Si
apprende che un terzo dei bambini dei Paesi in via di sviluppo è gravemente
denutrito. Per malattie banali ne muoiono, ogni anno, sette milioni; 250.000
diventano ciechi; 160.000 poliomelitici; 600.000 sono le vittime del tetano.
Eppoi stupri, violenze, sevizie, sfruttamento, prostituzione, commercio di
organi.
Quanti occidentali hanno dedicato una riflessione a queste notizie? Quanti
forzisti? Quanti liberisti? Ne hanno parlato a Napoli i «7 Grandi»? E, dopo gli
incontri, le passerelle, il teatro, lo shopping delle ladies tutto non
riprenderà ad andare come prima?
Fino al giorno in cui i grandi saranno arroganti, egoisti ed onnipotenti, ed i
piccoli potranno far sentire la propria voce, i tremendi morsi della loro fame.
È consentito ancora in questo Paese -in questo Pianeta!- stare dalla parte dei
perdenti, degli esclusi, degli emarginati? Dalla parte dei bambini? Sognare
ch'essi abbiano cittadinanza in terra, non solo un posto sicuro nel regno dei
cieli? Avere pietà dei ricchi che non vedono oltre le barricate e chiedere loro
di rinunciare ad un pezzo del loro benessere materiale perché non siano soltanto
i dannati dell'inferno?
È possibile immaginare che queste non debbano essere soltanto riflessioni
estemporanee per mettersi in pace la propria coscienza, ma oggetto di azione
politica, qui ed ora? La mia risposta è sì!
Beniamino
Donnici
|