«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 5 - 15 Agosto 1994

 

Una politica per valori e finalità che non scadono


 

Caro Carli, è sempre un piacere leggere "Tabularasa". Si può non essere d'accordo su alcuni o tutti i commenti e le tesi, ma non si può non dare atto della grande libertà di linea e di espressione del proprietario-direttore e dei collaboratori. Né tu né gli altri praticate la captatio benevolentice, anzi... E questo, a mio modo di vedere, fa grande un piccolo giornale, così come il contrario immiserisce i giornaloni.
Ma non è per dirti questo che ho preso carta e penna. L'apprezzamento per un giornale credo che si possa confermare cercando di esporre qualche riflessione e, magari, qualche proposta. E ci provo. Come libero cittadino, ovviamente: e quindi come da tempo, troppo ormai, non mi è dato di fare; ma a cui non ho mai rinunziato, tant'è che mi appresto, anzi procedo a recuperare.
Una riflessione su cui mi affanno da diverso tempo, è la seguente. Fra i nostri vecchi amici, molti della mia età, per quasi cinquant'anni (altri per un tempo minore, ma pur sempre eccessivo) si sono baloccati a rintracciare e mettere alla gogna le antiche ruffianerie verso il Duce ed il fascismo di numerosi campioni dell'Era Antifascista. Io, per la verità, a questo gioco, forse per incapacità, non ho mai partecipato. Ma comunque, mi ci comprendo anch'io, abbiamo perso tempo prezioso per ben altre ricerche e approfondimenti. Inoltre, a ben vedere, a quei girasoli abbiamo fatto il grosso regalo di costruirgli o accrescergli una popolarità che certamente non meritavano.
Ebbene, se è così, non credo sia lecito dissipare intelletti e mezzi per avvantaggiare, questa volta, chi era inconsapevolmente o cripto-antifascista, ma s'è redento alla Verità e già svolazza come leggiadra farfalla nei prati della Nuova Repubblica. Cioè: è utile votarsi all'osservazione di cotanti fenomeni, anziché prendere atto che s'è fatta libera una buona porzione di terra e di cielo ove si potrebbe costruire un qualcosa da esibire e proporre alle nuove generazioni?
Altra riflessione. Ciascuno è libero di sollazzarsi replicando l'abusato «Solo noi ...». Che però, direi, attiene a una vecchia operetta: eseguita con buoni sentimenti dai più, ma solo «per mestiere» da concertatori e da orchestrali di prima fila. Chi ci prova gusto è bene che insista. Ma forse è una baggianata guardare sempre dall'alto in basso i non pochi che in buona fede, come noi, si tengono cari i loro ideali, che magari differiscono solo per le bardature (imposte in alto loco) dagli obiettivi finalistici cui si deve ancora tendere, vista la loro piena attualità.
Possibile che «altrove» ci sia soltanto il Male? E dove finisce l'altrove, visto che nemmeno «in prossimità» ci sarebbe più qualche residuo di Buono? Si pensa di «tornare al bosco»? Ma non ci si è stati già per troppo tempo? Restarci, semmai, quindi, nel bosco. Per «rifondare» qualcosa, sulla cui natura resta impossibile concordare anche discutendo in due o in tre; oppure per farvisi raggiungere da altri, i Malvagi di un tempo, magari?
E ancora: restare nel bosco per sortirne ogni volta che passa un ciarlatano di patacche elezionistiche; oppure uscirne una volta per sempre e collocarsi bene in vista (nella porzione libera di terra e di cielo) per chiamare a raccolta chiunque voglia rischiare per gli altri e non per sé, e quindi faccia voto di non rotolare a candidarsi per il primo cadreghino che gli si prospetti?
Insisto. Sinistra, destra: ancora? Ma chi lo ascolta più questo linguaggio? Nel vocabolario popolare, si sa, destra equivale a guardia bianca del capitale. Il che è una grossa sciocchezza, ma che si è saputa imporre, comunque è accezione comune, e non puoi farci niente. Peggio ancora il termine sinistra. Nemmeno elettoralmente parlando viene usato più; nemmeno dai pochi o tanti che davvero si sentono votati alla solidarietà operante per il progresso sociale. Forse con un po' di fantasia se ne può uscire, se si vuole; ma insistervi può servire soltanto a restare soli. La qual cosa è senza dubbio alcuno una scelta rispettabilissima. Ma non è inguaribilmente sterile?
A queste riflessioni, che poi sono domande, mi viene da rispondere di sì, derivandone una proposta. Non «politica», almeno nel significato usuale, truffaldino, della scalata ai Palazzi. Ma invece volta a ricercare le volontà di «influire» sui processi politici senza farsene corrompere. Con l'animo di chi vuoi correre assieme ad altri per una mèta, un trìpode molto lontano: per il quale occorrono corridoi intimamente e solennemente votati a passare la fiaccola ai più freschi, perché essi a loro volta la passino rapidamente ad altri e questi ad altri ancora.
Certo, è una corsa che chi la inizia non potrà parteciparvi sino al traguardo. Ma che importa? La politica si può anche intendere, e forse più correttamente, come l'arte di comporre manipoli e centurie e aggregazioni sempre più numerose e concordi: ma per valori e finalità che non scadono, non per trame onori e vantaggi personali. Per lo meno, questa è l'unica politica da cui resto affascinato e cui mi sentirei di partecipare.
Quell'«altra», per quanto mi riguarda, se la faccia chi ha stomaco di struzzo e faccia di bronzo, o magari cervello di gallina.
 

Ivo Laghi

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