Gli affari di
Berlusconi
"Berlusconi.
Inchiesta sul signor TV"
Riproduciamo,
qui a fianco, la copertina del libro da cui abbiamo tratto la
premessa -firmata dagli stessi Autori- e che sentiamo il dovere di
pubblicare. Per far capire agli italiani che se i partiti del
vecchio regime potevano essere considerati vere e proprie
associazioni per delinquere, il «nuovo», a cui si sono affidati, non
è certamente migliore. È lo spurgo di quella cloaca stracolma di
faccendieri, speculatori, corruttori e piduisti che ieri hanno
contribuito alla creazione dell'impero economico di Berlusconi e,
oggi, a dargli la possibilità di gestire il potere politico.
N.B. - Poiché è
piuttosto difficoltoso reperire il libro, invitiamo i lettori a
rivolgersi direttamente alla "Kaos Edizioni", Viale Abruzzi 58,
20131 Milano. |
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Gli
oscuri esordi e i finanziamenti dalla Svizzera;
da Milano 2 alla Loggia P2, tra "mafia bianca" e politici corrotti;
la Fininvest dei prestanome; l'occupazione dell'etere e il monopollo
pubblicitario;
le mani sui giornali e nello sport; gli ingenti debiti e "Forza Italia"...
L'ambigua avventura di Silvio Berlusconi.
Questo libro -alla sua seconda
edizione, accuratamente approfondito e aggiornato, dopo la travagliata prima
edizione del marzo 1987- non avrebbe mai dovuto uscire, poiché il personaggio
che vi è biografato gli ha dichiarato guerra prima ancora che venisse edito, e
durante e dopo la sua pubblicazione.
* * *
Il primo attacco di Berlusconi al presente libro è stato sferrato quando non era
ancora stato edito. Il 25 e 26 settembre 1986, il quotidiano "Il Mattino"
pubblicava un'inchiesta in due puntate del giornalista Roberto Napoletano
intitolata «Chi sarà il padrone di Berlusconi?»; Napoletano aveva intervistato
tra gli altri Marco Borsa (allora direttore di "Italia Oggi") e Giovanni
Ruggeri, quali «esperti» dell'ambigua materia berlusconiana: i temi trattati
spaziavano dal sodalizio del Cavaliere con il Venerabile maestro piduista Gelli,
alle erogazioni creditizie che le banche guidate da piduisti avevano a suo tempo
accordato alla Fininvest, dalla controversa e per più aspetti oscura «avventura
edilizia» del primo Berlusconi, ai suoi spericolati rapporti con il
chiacchierato faccendiere Flavio Carboni, agli ingenti debiti del gruppo
Fininvest, al fiasco di La Cinq in Francia, eccetera.
Il Cavaliere reagiva con un'irata lettera al quotidiano, esigendo la
pubblicazione di una chilometrica rettifica, nella quale scriveva: «Tutte le
affermazioni che il servizio de "Il Mattino" avrebbe materialmente desunto da
questa incombente opera (di imminente pubblicazione da parte degli Editori
Riuniti [il riferimento è al nostro futuro libro, citato nell'articolo, n.d.a.])
sono assolutamente false», e seguivano le sue contestazioni articolate in 18
punti, ciascuno dei quali cominciava con «È falso che ...». "Il Mattino"
replicava confermando tutte le notizie pubblicate nell'inchiesta del proprio
inviato. A quel punto, Berlusconi querelava il direttore Pasquale Nonno, e
l'inviato Roberto Napoletano, nonché «altri che avessero concorso al reato», e
cioè anche Giovanni Ruggeri e Mario Guarino (stavamo per l'appunto ultimando la
«incombente opera» menzionata dal Cavaliere). Ma il giudice istruttore del
Tribunale di Napoli stabilirà l'infondatezza delle doglianze di Berlusconi,
firmando l'ordinanza di archiviazione della sua querela.
* * *
L'uscita del nostro libro "Berlusconi. Inchiesta sul signor TV" era prevista per
il successivo ottobre 1986, presso gli Editori Riuniti (con i quali avevamo
stipulato regolare contratto); ma l'inchiesta pubblicata da "Il Mattino" e le
polemiche che ne erano seguite avevano suscitato non meglio precisate
«difficoltà tecniche» da parte degli Editori Riuniti - la casa editrice
rimandava infatti l'uscita del libro di mese in mese (verrà edito solo nel marzo
1987). Le ragioni delle «difficoltà tecniche» accampate dagli Editori Riuniti
emergeranno alcuni anni dopo, cioè nel settembre 1993, nell'ambito della
inchiesta giudiziaria «Mani pulite». Il sostituto procuratore Tiziana Parenti,
interrogando Flavio Di Lenardo (imprenditore editoriale, già socio della "Ecolibri"
- società collegata agli Editori Riuniti), apprenderà di «spericolate manovre
tentate da Silvio Berlusconi per bloccare la pubblicazione di una biografia
dedicata a Sua Emittenza». (1)
Di Lenardo racconta al giudice Parenti di avere appreso dall'avvocato Bruno
Peloso (al tempo amministratore delegato degli Editori Riuniti) di un furente
Berlusconi, il quale alternava minacce e profferte: «Peloso mi disse che Fedele
Confalonìeri cercò di evitare in tutti i modi l'uscita del volume perché
raccontava l'inizio dell'ascesa di Berlusconi... Il braccio destro del padrone
della Fininvest arrivò addirittura a ipotizzare l'acquisto della Editori
Riuniti, pur di non vedere quel libro in vendita»; (2) «I tentativi
erano accompagnati da offerte di denaro». (3)
Le dichiarazioni di Di Lenardo vengono riprese da tutti i quotidiani;
"L'Avvenire" scrive: «II libro è il celeberrimo (e ormai introvabile)
"Berlusconi. Inchiesta sul signor TV", scritto a quattro mani dai giornalisti
Giovanni Ruggeri e Mario Guarino. Il fatto, emerso due giorni fa, oggi sembra
sia diventato un caso nazionale. Uno dei due autori, Giovanni Ruggeri, dichiara:
"Per impedire l'uscita della biografia presso gli Editori Riuniti, Berlusconi
fece di tutto. Un giorno si presentò uno stretto collaboratore di Confalonieri e
mi offrì un assegno in bianco in cambio dei diritti del libro"». (4)
Infatti, come abbiamo denunciato più volte pubblicamente (senza ricevere alcuna
querela), nel febbraio '87 Fedele Confalonieri ci aveva telefonato presso la
Rusconi Editore (dove lavoravamo) chiedendo di incontrarci «per trovare un
accordo» benché noi avessimo respinto l'offerta, ci mandò in ufficio il
funzionario della Fininvest Sergio Roncucci, il quale, ostentando un carnet di
assegni, ci aveva detto: «Compriamo noi il vostro libro, a scatola chiusa. La
cifra la scrivete voi ...», e aveva anche ventilato di un possibile incarico a
"TV Sorrisi e Canzoni"... Nel corso della sua deposizione al giudice Parenti,
Flavio Di Lenardo ha inoltre dichiarato: «II libro uscì ugualmente, e Berlusconi
querelò la società editrice. Però la querela rientrò quando Berlusconi fece un
grosso affare in Unione Sovietica, relativo a contratti pubblicitari». (5)
Effettivamente, la Fininvest ha ottenuto l'esclusiva della raccolta
pubblicitaria delle imprese occidentali destinata ai palinsesti televisivi
sovietici: Di Lenardo ipotizza, in base alle presunte confidenze fattegli da
Peloso, che l'affare sia stato propiziato dagli Editori Riuniti (casa editrice
controllata dal PCI), e che in cambio Berlusconi abbia tra l'altro rimesso una
sua querela.
Fatto è che, finalmente edito nel marzo 1987, "Berlusconi. Inchiesta sul signor
TV" andava esaurito in pochi giorni. Una immediata ristampa (aprile '87)
esauriva la tiratura in tre settimane. Benché il successo di vendite fosse
comprensibile ed evidente, forte era il sospetto che parte della tiratura fosse
stata sottoposta a una sistematica opera di «rastrellamento» da parte di «mani
ignote». Non essendo riuscito a impedirne la pubblicazione, Berlusconi tentava
comunque di condannare il libro all'anonimato.
Alla sua uscita nelle librerie (20 marzo 1987), subito il gruppo Fininvest
diramava un comunicato minacciando azioni legali a carico degli autori
(«colpevoli» di attentare alla reputazione di Berlusconi) e contro «gli organi
di stampa e d'informazione che in qualunque forma e a qualunque titolo diano
risalto al libro in questione». Ma il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti
della Lombardia respingeva «l'intimidazione preventiva e generalizzata della
Fininvest», e in un suo comunicato alla stampa intitolato «L'Ordine
sull'intimidazione della Fininvest» dichiarava: «Presa conoscenza del comunicato
diffuso dalla Fininvest Comunicazioni dopo la pubblicazione del volume-pamphlet
dedicato a Silvio Berlusconi dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino
per i tipi degli Editori Riuniti, l'Ordine dei giornalisti della Lombardia
respinge la manifesta inammissibilità dell'intimidazione preventiva e
generalizzata rivolta nel comunicato stesso agli organi di stampa e
d'informazione che in qualunque forma e a qualunque titolo daranno risalto al
libro in questione».
La polemica Fininvest - Ordine dei giornalisti della Lombardia veniva registrata
dai quotidiani con accenti critici per le arroganti intimidazioni della
Fininvest; scriveva ad esempio "la Repubblica": «Forse i troppi viaggi
all'estero gli hanno dato alla testa. Dal tempo in cui Craxi voleva scacciare il
corrispondente di "Le Monde" da Roma, non si era vista una cosa più insensata e,
infondo, anche autolesionista»; e "La Notte": «II contenuto del libro, scritto
dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, ha mandato in bestia Sua
Emittenza spingendolo all'incauta mossa, giudicata come un inaccettabile
tentativo di censura preventiva».
Ma -come è noto- Berlusconi è un tipo tenace, e dunque «aggirava» il comunicato
dell'Ordine dei giornalisti contattando personalmente alcuni direttori di
giornali. Ad esempio, il compianto Pietro Giorgianni, direttore de "La Notte",
il quale ci ha raccontato la seguente telefonata di Sua Emittenza: «Direttore,
parlando di quel libro lei si è giocato la mia stima... lo la riduco in
povertà», e Giorgianni: «Non può: sono già povero ...».
Dopodiché, prende avvio l'offensiva legale. Il 12 maggio 1987, Berlusconi
presenta due querele alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Milano, alle quali farà seguire anche la costituzione di parte civile «per il
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali tutti». Il potentissimo
«Sua Emittenza» (sodale del potentissimo presidente del Consiglio Bettino Craxi)
si ritiene diffamato dal contenuto di due interviste che gli autori di
"Berlusconi. Inchiesta sul signor TV" hanno rilasciato, in occasione dell'uscita
del libro, a "l'Unità" e a "La Notte".
Per il servizio apparso sul quotidiano del PCI il 28 marzo 1987, la querela
berlusconiana coinvolge, oltre agli intervistati, l'estensore dell'articolo
Francesco Bucchieri, e -limitatamente alla questione dell'«omesso controllo»- il
direttore del quotidiano comunista Giancarlo Bosetti. L'illustre querelante
lamenta che nell'intervista sia stata affermata l'esistenza di un procedimento
penale a suo carico per reati valutari; inoltre, si duole del passo
dell'intervista che tratteggia il suo impero come un «colosso d'argilla»
costituito da «scatole cinesi» spesso vuote.
Anche la querela del 28 marzo 1987, relativa all'articolo pubblicato da "La
Notte" il 20 marzo, è sporta per «diffamazione aggravata dall'uso del mezzo
della stampa e dall'attribuzione di fatti determinati (quello di avere un
processo pendente per reati valutari)». Vi si legge: «Sul numero del quotidiano
"La Notte" del 20 marzo 1987 appariva in prima pagina e a caratteri cubitali il
titolo annunciante un libro-bomba su Berlusconi. Nel sottotitolo si specificava,
tra l'altro, essere il libro il risultato di una "lunga indagine che mette a
fuoco gli interessi di Berlusconi con le loro luci e le loro ombre". Il tutto,
corredato da una foto "a mezzo busto" del sottoscritto e dal rinvio "a pag. 3"».
Il testo della querela prosegue citando brani della nostra intervista («"Dal
nostro libro saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, società ombra, mafia
bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli"»); dopodiché il megaeditore craxiano e
piduista argomenta: «II testo dell'intervista è tale da far ritenere che tutto
questo ben dì Dio [cioè fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino,
Calvi, Gelli, n.d.a.] sia posto nel libro "a carico" del sottoscritto. Per la
verità, non è precisamente così, perché il libro è costruito, dal punto di vista
della diffamazione, in maniera più subdola ma più accorta... L'intervista invece
è più brutale, sotto il profilo della metodologia diffamatoria: va giù dura e
diretta, perché le "cose spiacevoli" non possono non significare un
coinvolgimento di Berlusconi nell'elencazione sopra riportata [e cioè
fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli, n.d.a.]».
Ma la querela sporta dall'ex palazzinaro affiliato alla Loggia P2 riserva un
finale «colpo di scena»: «... Ed ecco la sorpresa: l'articolista è nientedimeno
lo stesso direttore del quotidiano "La Notte" Pietro Giorgianni, che agisce
evidentemente in sospetta sincronia con il suo editore, Rusconi; quest'ultimo è
già stato querelato dal sottoscritto per un'altra intervista, rilasciata ad un
settimanale nello stesso lasso di tempo in cui veniva pubblicato l'articolo di
cui sopra. Anche Ruggeri e Guarino sono giornalisti di casa Rusconi».
Berlusconi ritiene dunque che i «rusconiani» abbiano ordito una «strategia della
diffamazione» a suo danno, come sostiene nella querela; ma in seguito cambierà
idea e rimetterà la querela sporta a carico dell'editore Edilio Rusconi.
Rimetterà anche la querela a carico di Pietro Giorgianni, il quale era stato
querelato sia come estensore dell'articolo, sia nella sua veste di direttore de
"La Notte" (Giorgianni verrà in seguito invitato a cena nella villa di Arcore, e
quando il giornalista lascerà la direzione de "La Notte" gli verrà affidata la
direzione del periodico della Silvio Berlusconi editore "Telepiù"); ma il
«presunto diffamato» chiede espressamente che l'effetto della remissione della
querela a carico di Giorgianni non si estenda agli altri due querelati, e cioè a
Ruggeri e Guarino: lui il direttore lo perdona, ma «quei due» li vuole in
galera... Tuttavia, il Tribunale (presieduto da Giorgio Caimmi, giudice relatore
Fabio De Pasquale) è di diverso avviso. «La richiesta del querelante», si legge
nella sentenza del 27 aprile 1988, «deve giudicarsi quantomeno singolare. A
fondare l'effetto estensivo basterebbe infatti il rilievo dell'unicità dei fatti
contestati».
Il Tribunale dichiara dunque il non luogo a procedere nei confronti di tutti i
querelati, e condanna Berlusconi al pagamento delle spese processuali. Stessa
sorte subisce, l'anno dopo, la querela relativa all'intervista pubblicata da
"l'Unità". Berlusconi la rimette, e con sentenza del 20 novembre 1989 il
Tribunale (presidente Paolo Carfì, giudici Fabio De Pasquale e Claudio Gittaredi)
gli accolla le spese del procedimento. Secondo alcuni, la querela che stando
alla deposizione del Di Lenardo sarebbe stata rimessa quando «Berlusconi fece un
grosso affare pubblicitario in Unione Sovietica», sarebbe proprio quest'ultima.
Berlusconi sporge un'altra querela a nostro carico per un'ulteriore intervista
pubblicata dal settimanale "Epoca". (6)
Il giornalista Carlo Verdelli aveva trascritto, nel numero di "Epoca" del 26
marzo 1987, il colloquio-intervista che aveva avuto con noi in merito al libro
appena pubblicato. Gli argomenti dell'intervista erano stati anticipati dalla
edizione de "La Notte" del 20 marzo; Berlusconi era al corrente di questo
particolare («quella a "La Notte" è un'intervista... in seconda battuta»,
puntualizzava infatti nella sua querela); e dunque la «presunta diffamazione»
era contenuta in entrambe le testate: e tuttavia, il querelante rimetteva solo
la querela a carico de "La Notte", mentre confermava quella a "Epoca". Sarà
questa evidente contraddizione, questa giuridicamente inammissibile difformità,
a segnare la sconfitta finale del Cavaliere, dopo una battaglia legale durata
anni e combattuta in tutti e tre i gradi di giudizio, fino alla Cassazione.
Berlusconi sporgeva querela per l'articolo di "Epoca" il 12 maggio 1987. Il
processo si teneva nell'autunno del 1988 presso il Tribunale penale di Verona,
competente per territorio (in quanto "Epoca" si stampava in quella città).
Imputati di diffamazione aggravata a mezzo stampa erano i soliti Ruggeri e
Guarino, il collega Carlo Verdelli, e per «omesso controllo» il direttore del
settimanale Alberto Statera. (7)
La vicenda merita di essere seguita attraverso il testo della sentenza datata 16
novembre 1988 del Tribunale penale (presidente Mario Resta, giudici a latere
Giovanni Tamburino e Giovanni Pietro Pascucci, estensore): «Si dolse, in
particolare, nell'atto di querela, il Berlusconi, di due brani contenuti in
detto articolo... In primo luogo ritenne diffamatorio l'articolo laddove, dopo
che gli autori avevano spiegato il perché della scelta della casa editrice
Editori Riuniti ( "Abbiamo scelto la casa editrice del PCI perché ci piaceva una
loro collana, "I libri bianchi", quella che pubblica gli atti di accusa dei
giudici impegnati nei processi più importanti: mafia, Sindona, strage di
Bologna"), con un ardito accostamento e in risposta alla domanda che sorgeva
spontanea di come c'entrasse Berlusconi coi processi, riferiva come testualmente
dichiarato dagli autori del libro che "un procedimento penale in corso ce
l'aveva anche lui: dal 1983, per reati valutari commessi insieme a Flavio
Carboni. E una vicenda poco risaputa ma la si evince, incontrovertibilmente,
dalla relazione della Commissione parlamentare sulla P2". In secondo luogo
gravemente diffamatoria, a giudizio del querelante, doveva ritenersi la frase
successivamente riportata nell'articolo anch'essa come testuale dichiarazione
degli autori del libro: "Dal nostro libro su Berlusconi saltano fuori cose
spiacevoli: fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli"
[...]».
Si da il caso che all'inizio della fase dibattimentale noi imputati avessimo
subito chiarito che Carlo Verdelli aveva riportato fedelmente le nostre
dichiarazioni, e che la notizia del procedimento penale a carico di Berlusconi
era poi risultata infondata. Infatti, nel procedimento penale cui ci eravamo
riferiti erano imputati il faccendiere Flavio Carboni e il suo braccio destro
Emilio Pellicani, e deponendo davanti alla Commissione d'inchiesta sulla Loggia
P2, Pellicani aveva chiamato in causa anche Berlusconi: si trattava di una
chiamata di correità, tant'è vero che il faccendiere il 19 luglio 1984 aveva
promosso causa civile contro Berlusconi esigendo la restituzione di 545 milioni
che avrebbe speso per suo conto e in suo nome e chiedendo di «essere manlevato
da tutte le conseguenze a lui derivanti e da derivare dal procedimento penale
pendente davanti alla Procura di Trieste»: questo era quanto noto al momento
dell'uscita del nostro libro e dell'intervista a Epoca. Mentre al Tribunale di
Verona era in corso il processo per la querela di Berlusconi, ignoravamo ancora
che il 6 ottobre 1988 la Prima sezione civile del Tribunale di Milano,
presieduta dal giudice Diego Curtò (8), aveva respinto le richieste di Pellicani
(ed è singolare che Berlusconi abbia ritenuto di non informare il Tribunale di
Verona della sentenza a lui favorevole e avversa a Pellicani - ma forse più
strano ancora è il merito della sentenza...).
Nella prima edizione del nostro libro, a pagina 102, avevamo scritto: «Pellicani
sostiene trattarsi di procedimenti per reati valutari che vedrebbero coinvolto,
oltre a due società di Carboni, anche Silvio Berlusconi. Se ciò che Pellicani
afferma corrispondesse al vero, significherebbe che contro Berlusconi sarebbe in
corso (1983) un procedimento penale. Non ci è consentito soffermarci
ulteriormente su questo punto e di approfondirlo, poiché scatterebbe il reato di
violazione di segreto istruttoria»; al collega Verdelli non potevamo aver
dichiarato altro - a scanso di equivoci, lo avevamo pregato di riferirsi alla
pagina 102 del libro, ed egli lo aveva puntualmente scritto, sia pure con
l'inevitabile imprecisione delle sintesi troppo sommarie.
La prima udienza del processo di Verona si teneva il 27 settembre 1988, ma nel
frattempo si erano verificati fatti nuovi. Il procedimento di Trieste pendente
in istruttoria a carico del duo Carboni-Pellicani era approdato in aula per il
pubblico dibattimento, e quindi era caduto il segreto istruttorio; presa visione
delle carte processuali, avevamo potuto constatare che Berlusconi non figurava
tra i rinviati a giudizio, circostanza che infatti subito dichiaravamo in
apertura del processo di Verona. La sentenza ce ne darà atto: «Ruggeri ha
precisato di aver potuto recentemente accertare l'infondatezza della notizia...
Ma di quali altri elementi erano in possesso gli autori del libro su tale
informazione? Lo si ricava dalla memoria oggi prodotta a firma del Ruggeri: "Ma
dove la prudenza, il senso della misura, la cautela nel trattare siffatta
materia vengono da noi esercitati al massimo è a proposito dell'affare
Calderugia-Nova Nuraghe. Le due società -di diritto estero- possedevano vaste
aree edificabili in Sardegna; Carboni e Berlusconi le acquisirono per destinare
i terreni alla realizzazione, in società tra loro, del gigantesco progetto di
insediamento turistico noto come Olbia 2... Il cav. Berlusconi ha dichiarato di
non aver mai sentito parlare della Calderugia e della Nova Nuraghe. Che
smemorato! In sostanza Berlusconi sapeva che i terreni erano di società estere,
sapeva che volevano il pagamento "in nero", sapeva che Carboni-Comincioli
avevano ingannato l'Ufficio italiano cambi, e frodato il fisco, ecc. Berlusconi
aveva fornito il denaro per i terreni in questione, e questi sono regolarmente
finiti a lui con rogito del notaio Zito di Milano dell'aprile 1981. Questi i
fatti. Che poi Pellicani gli abbia attribuito una comunicazione giudiziaria è un
errore deprecabile, ma non cambia la sostanza dei fatti"».
«Tali elementi», si legge più avanti nella sentenza, «se giustificavano la
conclusione del cointeressamento di Berlusconi all'acquisto dei terreni e del
suo coinvolgimento nella complicata vicenda giudiziaria, non autorizzavano certo
la conclusione di un suo concorso nei reati valutari addebitati al Carboni».
Era questa considerazione che determinava la nostra condanna a un milione di
lire di multa ciascuno. Per le residue imputazioni venivamo invece assolti per
insufficienza di prove. Il collegio giudicante perveniva alla nostra assoluzione
«con riserva» in merito alla frase «società ombra, mafia bianca, Ciancimino,
Calvi, Gelli», in considerazione del fatto che «sono effettivamente esistiti dei
punti di contatto o dei legami del Berlusconi con dette persone e con fatti del
genere giungendosi anche a qualificare tali rapporti come non irrilevanti», e
inoltre perché quanto da noi affermato «non appare ispirato da motivi contrari
ai doveri professionali del giornalista».
Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Verona erano un duro colpo per il
clan berlusconiano, già contrariato dalla parzialissima e momentanea «vittoria
di Pirro». Il mensile "Prima comunicazione" nel febbraio 1989 pubblicava un
inserto speciale con il testo completo della sentenza, e segnalava: «Il
Tribunale di Verona condanna i quattro giornalisti, ma molta stampa scrive che
lo sconfitto è Berlusconi».
Infatti, L'Espresso scriveva di «clamorosa sconfitta giudiziaria di Berlusconi a
Verona». (9) "Il manifesto" gli dedicava questo colorito articolo:
«In galera! Il grido bracardiano è risuonato mercoledì pomeriggio nell'aula di
giustizia del Tribunale di Verona, ex caserma asburgica con vista sul carcere. A
lanciarlo è l'avvocato Domenico Contestabile, a nome di Silvio Berlusconi e
all'indirizzo di Carlo Verdelli, Alberto Statera, Giovanni Ruggeri e Mario
Guarino. Era la quarta e ultima udienza del processo per diffamazione aggravata
[...]. Berlusconi, che alla sua immagine tiene molto, si era presentato in
persona alla terza udienza, nonostante tutto quello che ha da fare. Alla giuria
aveva raccontato delle lagrime di mammà alla lettura dell'articolo. Il suo
avvocato ha raccontato anche delle lagrime dei Berlusconi babies alla lettura
del libro, incautamente lasciato da papa in bella evidenza sulla libreria della
villa di Arcore. "Il sospetto come strumento della diffamazione", ha tuonato
l'avvocato diparte civile, e per questa pratica da "diffamatori di professione"
ha chiesto una riparazione pecuniaria di 100 milioni. Il pubblico ministero, da
parte sua, ha chiesto 9 mesi di reclusione per Verdelli, 8 per Ruggeri-Guarino,
5 per Statera direttore di Epoca. Punizione esemplare per chi lede l'immagine dì
Berlusconi? La giuria, dopo 4 ore e mezza, ha deciso che non era il caso... Una
sentenza che certo non può soddisfare Berlusconi». (10)
Anche "l'Unità", in un articolo intitolato «Berlusconi amico di Getti querela ma
i giudici assolvono», evidenziava come il magnate di Arcore avesse chiesto,
tramite il suo avvocato, un risarcimento di 100 milioni a testa, respinto dal
Tribunale, e condanne per tutti tra i 5 e i 9 mesi: «II Tribunale a tarda sera
ha invece emesso una sentenza diversa, assolvendo gli imputati proprio sulle
contestazioni più gravi, sia pure per insufficienza di prove». (11)
Ai nostri avvocati Corso Bovio, Caterina Malavenda e Paolo Maruzzo (che sono
anche colleghi pubblicisti, e ci hanno assistito con competenza e passione),
davamo mandato di ricorrere avverso la sentenza del Tribunale di Verona. Il 22
ottobre 1992, la Corte d'Appello di Venezia (presidente Michele Curato,
consiglieri Lionello Marini e Umberto Mariani) trasformava l'assoluzione per
insufficienza di prove in assoluzione piena, e riduceva a 700 mila lire la multa
per avere attribuito a Berlusconi il coinvolgimento in reati valutari in
concorso con Carboni.
Dunque, risultava vieppiù legittimo, e con l'autorevolissimo avallo del
Tribunale, accostare il nome e le gesta di Silvio Berlusconi al Venerabile
maestro piduista Licio Gelli, al mafioso Vito Ciancimino, al bancarottiere
piduista Roberto Calvi, e a vicende di fallimenti, società ombra, «mafia
bianca». Rimaneva l'infinitesimale neo della multa per una svista non nostra -
un minuscolo neo del quale volevamo comunque liberarci.
L'ultimo atto è del 30 marzo 1993. La Corte suprema di Cassazione (presidente
Guido Guasco, consiglieri Giuseppe Ciufo, Guido letti, Alfonso Malinconico,
Carlo Cognetti) accoglieva il nostro ricorso, giusto l'articolo 90 del vecchio
Codice di procedura penale: «L'impugnata sentenza dev'essere annullata senza
rinvio», sentenziava la Cassazione.
Era la vittoria finale e completa. Di tutti e tre i gradi di giudizio, niente è
rimasto a nostro carico, neppure la pur modestissima multa. L'onnipotente
Cavaliere, da parte sua, non solo doveva prendere atto della completa sconfitta,
ma finiva nei guai per falsa testimonianza - cioè a dire, l'accusatore finiva
sul banco degli imputati, ai sensi dell'art. 372 del Codice di procedura penale.
Al Tribunale di Verona, nel corso dell'udienza del 27 settembre 1988, Berlusconi
aveva deposto sotto giuramento; interrogato in merito alla sua affiliazione alla
Loggia massonica P2, l'aveva temporalmente collocata nell'anno 1981 (invece che
nel 1978, come noi avevamo scritto), e aveva affermato -mentendo- di non avere
corrisposto al Venerabile maestro Licio Gelli alcuna quota di iscrizione alla
Loggia, al momento dell'affiliazione. Al cospetto di queste clamorose menzogne,
avevamo inoltrato un esposto alla Pretura di Verona. Il 22 luglio 1989, il
pretore Gabriele Nigro firmava una sentenza istruttoria di «non doversi
procedere contro l'imputato [Berlusconi, n.d.a.] perché il fatto non costituisce
reato». Avverso la decisione del pretore si appellava il Procuratore generale
della Corte d'Appello di Venezia Stefano Dragone. Il processo d'Appello aveva
luogo nel maggio 1990. Dal nostro esposto alla Pretura erano trascorsi venti
mesi, nel corso dei quali era stata varata dal Parlamento l'ennesima amnistia
(la ventitreesima della storia repubblicana); essa diveniva operante il 12
aprile 1990, e riguardava i reati commessi fino a tutto il 24 ottobre 1989 - per
Berlusconi era un provvidenziale salvagente. Quando i magistrati lo avevano
convocato a Venezia per rispondere del reato di falsa testimonianza, l'editore
piduista aveva dichiarato: «Spero che la prossima amnistia, che si annunzia non
rinunziabile, non mi tolga il piacere di vedere confermata la sentenza di
proscioglimento [della Pretura, n.d.a.] dalla Sezione istruttoria presso la
Corte di Appello di Venezia». (12)
«Amnistia non rinunziabile»? Berlusconi farà tutto meno che rinunciarvi, e la
Corte d'Appello (presidente G. Battista Stigliano, consiglieri Luigi Nunziante e
Luigi Lanza, relatore) non gli toglierà alcun piacere: «Ritiene il Collegio che
le dichiarazioni dell'imputato non rispondano a verità... Ne consegue quindi che
il Berlusconi, il quale, deponendo davanti al Tribunale di Verona nella sua
qualità di teste-parte offesa, ha dichiarato il falso su questioni pertinenti
alla causa ed in relazione all'oggetto della prova, ha reso affermazioni non
estranee all'accertamento giudiziale e idonee in astratto ad alterare il
convincimento del Tribunale stesso e ciò (a prescindere dal mancato utilizzo
processuale delle dichiarazioni menzognere medesime da parte del giudicante) ha
compiutamente realizzato gli estremi obiettivi e subiettivi del contestato
delitto... Il reato attribuito all'imputato va dichiarato estinto per
intervenuta amnistia».
Complimenti, Cavaliere!
Giovanni
Ruggeri - Mario Guarino
Note:
1) "L'Europeo", 20 settembre 1993.
2) "II Messaggero", 9 settembre 1993.
3) "Il Corriere della Sera", 9 settembre 1993.
4) "L'Avvenire", 10 settembre 1993.
5) "la Repubblica", 9 settembre 1993.
6) Superfluo precisare che il settimanale della Mondadori, al tempo dei fatti in
questione, non era ancora entrato a far parte dell'impero berlusconiano.
7) Non appena Berlusconi acquisirà la Mondadori, Statera verrà sollevato dalla
direzione di "Epoca".
8) Sulle singolari coincidenze intercorse fra il corrotto giudice Diego Curtò e
Finivest-Berlusconi, cfr. pp. 221, 222.
9) "L'Espresso", 15 gennaio 1989.
10) "il manifesto", 17 novembre 1988.
11) "L' Unità", 17 novembre 1988
12) "L'Espresso", 25 febbraio 1990.
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