«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 5 - 15 Agosto 1994

 

Gli affari di Berlusconi
"Berlusconi. Inchiesta sul signor TV"

Riproduciamo, qui a fianco, la copertina del libro da cui abbiamo tratto la premessa -firmata dagli stessi Autori- e che sentiamo il dovere di pubblicare. Per far capire agli italiani che se i partiti del vecchio regime potevano essere considerati vere e proprie associazioni per delinquere, il «nuovo», a cui si sono affidati, non è certamente migliore. È lo spurgo di quella cloaca stracolma di faccendieri, speculatori, corruttori e piduisti che ieri hanno contribuito alla creazione dell'impero economico di Berlusconi e, oggi, a dargli la possibilità di gestire il potere politico.

N.B. - Poiché è piuttosto difficoltoso reperire il libro, invitiamo i lettori a rivolgersi direttamente alla "Kaos Edizioni", Viale Abruzzi 58, 20131 Milano.

 

Gli oscuri esordi e i finanziamenti dalla Svizzera;
da Milano 2 alla Loggia P2, tra "mafia bianca" e politici corrotti;
la Fininvest dei prestanome; l'occupazione dell'etere e il monopollo pubblicitario;
le mani sui giornali e nello sport; gli ingenti debiti e "Forza Italia"...
L'ambigua avventura di Silvio Berlusconi.



 

Questo libro -alla sua seconda edizione, accuratamente approfondito e aggiornato, dopo la travagliata prima edizione del marzo 1987- non avrebbe mai dovuto uscire, poiché il personaggio che vi è biografato gli ha dichiarato guerra prima ancora che venisse edito, e durante e dopo la sua pubblicazione.


* * *
Il primo attacco di Berlusconi al presente libro è stato sferrato quando non era ancora stato edito. Il 25 e 26 settembre 1986, il quotidiano "Il Mattino" pubblicava un'inchiesta in due puntate del giornalista Roberto Napoletano intitolata «Chi sarà il padrone di Berlusconi?»; Napoletano aveva intervistato tra gli altri Marco Borsa (allora direttore di "Italia Oggi") e Giovanni Ruggeri, quali «esperti» dell'ambigua materia berlusconiana: i temi trattati spaziavano dal sodalizio del Cavaliere con il Venerabile maestro piduista Gelli, alle erogazioni creditizie che le banche guidate da piduisti avevano a suo tempo accordato alla Fininvest, dalla controversa e per più aspetti oscura «avventura edilizia» del primo Berlusconi, ai suoi spericolati rapporti con il chiacchierato faccendiere Flavio Carboni, agli ingenti debiti del gruppo Fininvest, al fiasco di La Cinq in Francia, eccetera.
Il Cavaliere reagiva con un'irata lettera al quotidiano, esigendo la pubblicazione di una chilometrica rettifica, nella quale scriveva: «Tutte le affermazioni che il servizio de "Il Mattino" avrebbe materialmente desunto da questa incombente opera (di imminente pubblicazione da parte degli Editori Riuniti [il riferimento è al nostro futuro libro, citato nell'articolo, n.d.a.]) sono assolutamente false», e seguivano le sue contestazioni articolate in 18 punti, ciascuno dei quali cominciava con «È falso che ...». "Il Mattino" replicava confermando tutte le notizie pubblicate nell'inchiesta del proprio inviato. A quel punto, Berlusconi querelava il direttore Pasquale Nonno, e l'inviato Roberto Napoletano, nonché «altri che avessero concorso al reato», e cioè anche Giovanni Ruggeri e Mario Guarino (stavamo per l'appunto ultimando la «incombente opera» menzionata dal Cavaliere). Ma il giudice istruttore del Tribunale di Napoli stabilirà l'infondatezza delle doglianze di Berlusconi, firmando l'ordinanza di archiviazione della sua querela.


* * *
L'uscita del nostro libro "Berlusconi. Inchiesta sul signor TV" era prevista per il successivo ottobre 1986, presso gli Editori Riuniti (con i quali avevamo stipulato regolare contratto); ma l'inchiesta pubblicata da "Il Mattino" e le polemiche che ne erano seguite avevano suscitato non meglio precisate «difficoltà tecniche» da parte degli Editori Riuniti - la casa editrice rimandava infatti l'uscita del libro di mese in mese (verrà edito solo nel marzo 1987). Le ragioni delle «difficoltà tecniche» accampate dagli Editori Riuniti emergeranno alcuni anni dopo, cioè nel settembre 1993, nell'ambito della inchiesta giudiziaria «Mani pulite». Il sostituto procuratore Tiziana Parenti, interrogando Flavio Di Lenardo (imprenditore editoriale, già socio della "Ecolibri" - società collegata agli Editori Riuniti), apprenderà di «spericolate manovre tentate da Silvio Berlusconi per bloccare la pubblicazione di una biografia dedicata a Sua Emittenza». (1)
Di Lenardo racconta al giudice Parenti di avere appreso dall'avvocato Bruno Peloso (al tempo amministratore delegato degli Editori Riuniti) di un furente Berlusconi, il quale alternava minacce e profferte: «Peloso mi disse che Fedele Confalonìeri cercò di evitare in tutti i modi l'uscita del volume perché raccontava l'inizio dell'ascesa di Berlusconi... Il braccio destro del padrone della Fininvest arrivò addirittura a ipotizzare l'acquisto della Editori Riuniti, pur di non vedere quel libro in vendita»; (2) «I tentativi erano accompagnati da offerte di denaro». (3)
Le dichiarazioni di Di Lenardo vengono riprese da tutti i quotidiani; "L'Avvenire" scrive: «II libro è il celeberrimo (e ormai introvabile) "Berlusconi. Inchiesta sul signor TV", scritto a quattro mani dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino. Il fatto, emerso due giorni fa, oggi sembra sia diventato un caso nazionale. Uno dei due autori, Giovanni Ruggeri, dichiara: "Per impedire l'uscita della biografia presso gli Editori Riuniti, Berlusconi fece di tutto. Un giorno si presentò uno stretto collaboratore di Confalonieri e mi offrì un assegno in bianco in cambio dei diritti del libro"». (4)
Infatti, come abbiamo denunciato più volte pubblicamente (senza ricevere alcuna querela), nel febbraio '87 Fedele Confalonieri ci aveva telefonato presso la Rusconi Editore (dove lavoravamo) chiedendo di incontrarci «per trovare un accordo» benché noi avessimo respinto l'offerta, ci mandò in ufficio il funzionario della Fininvest Sergio Roncucci, il quale, ostentando un carnet di assegni, ci aveva detto: «Compriamo noi il vostro libro, a scatola chiusa. La cifra la scrivete voi ...», e aveva anche ventilato di un possibile incarico a "TV Sorrisi e Canzoni"... Nel corso della sua deposizione al giudice Parenti, Flavio Di Lenardo ha inoltre dichiarato: «II libro uscì ugualmente, e Berlusconi querelò la società editrice. Però la querela rientrò quando Berlusconi fece un grosso affare in Unione Sovietica, relativo a contratti pubblicitari». (5)
Effettivamente, la Fininvest ha ottenuto l'esclusiva della raccolta pubblicitaria delle imprese occidentali destinata ai palinsesti televisivi sovietici: Di Lenardo ipotizza, in base alle presunte confidenze fattegli da Peloso, che l'affare sia stato propiziato dagli Editori Riuniti (casa editrice controllata dal PCI), e che in cambio Berlusconi abbia tra l'altro rimesso una sua querela.
Fatto è che, finalmente edito nel marzo 1987, "Berlusconi. Inchiesta sul signor TV" andava esaurito in pochi giorni. Una immediata ristampa (aprile '87) esauriva la tiratura in tre settimane. Benché il successo di vendite fosse comprensibile ed evidente, forte era il sospetto che parte della tiratura fosse stata sottoposta a una sistematica opera di «rastrellamento» da parte di «mani ignote». Non essendo riuscito a impedirne la pubblicazione, Berlusconi tentava comunque di condannare il libro all'anonimato.
Alla sua uscita nelle librerie (20 marzo 1987), subito il gruppo Fininvest diramava un comunicato minacciando azioni legali a carico degli autori («colpevoli» di attentare alla reputazione di Berlusconi) e contro «gli organi di stampa e d'informazione che in qualunque forma e a qualunque titolo diano risalto al libro in questione». Ma il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia respingeva «l'intimidazione preventiva e generalizzata della Fininvest», e in un suo comunicato alla stampa intitolato «L'Ordine sull'intimidazione della Fininvest» dichiarava: «Presa conoscenza del comunicato diffuso dalla Fininvest Comunicazioni dopo la pubblicazione del volume-pamphlet dedicato a Silvio Berlusconi dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino per i tipi degli Editori Riuniti, l'Ordine dei giornalisti della Lombardia respinge la manifesta inammissibilità dell'intimidazione preventiva e generalizzata rivolta nel comunicato stesso agli organi di stampa e d'informazione che in qualunque forma e a qualunque titolo daranno risalto al libro in questione».
La polemica Fininvest - Ordine dei giornalisti della Lombardia veniva registrata dai quotidiani con accenti critici per le arroganti intimidazioni della Fininvest; scriveva ad esempio "la Repubblica": «Forse i troppi viaggi all'estero gli hanno dato alla testa. Dal tempo in cui Craxi voleva scacciare il corrispondente di "Le Monde" da Roma, non si era vista una cosa più insensata e, infondo, anche autolesionista»; e "La Notte": «II contenuto del libro, scritto dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, ha mandato in bestia Sua Emittenza spingendolo all'incauta mossa, giudicata come un inaccettabile tentativo di censura preventiva».
Ma -come è noto- Berlusconi è un tipo tenace, e dunque «aggirava» il comunicato dell'Ordine dei giornalisti contattando personalmente alcuni direttori di giornali. Ad esempio, il compianto Pietro Giorgianni, direttore de "La Notte", il quale ci ha raccontato la seguente telefonata di Sua Emittenza: «Direttore, parlando di quel libro lei si è giocato la mia stima... lo la riduco in povertà», e Giorgianni: «Non può: sono già povero ...».
Dopodiché, prende avvio l'offensiva legale. Il 12 maggio 1987, Berlusconi presenta due querele alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, alle quali farà seguire anche la costituzione di parte civile «per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali tutti». Il potentissimo «Sua Emittenza» (sodale del potentissimo presidente del Consiglio Bettino Craxi) si ritiene diffamato dal contenuto di due interviste che gli autori di "Berlusconi. Inchiesta sul signor TV" hanno rilasciato, in occasione dell'uscita del libro, a "l'Unità" e a "La Notte".
Per il servizio apparso sul quotidiano del PCI il 28 marzo 1987, la querela berlusconiana coinvolge, oltre agli intervistati, l'estensore dell'articolo Francesco Bucchieri, e -limitatamente alla questione dell'«omesso controllo»- il direttore del quotidiano comunista Giancarlo Bosetti. L'illustre querelante lamenta che nell'intervista sia stata affermata l'esistenza di un procedimento penale a suo carico per reati valutari; inoltre, si duole del passo dell'intervista che tratteggia il suo impero come un «colosso d'argilla» costituito da «scatole cinesi» spesso vuote.
Anche la querela del 28 marzo 1987, relativa all'articolo pubblicato da "La Notte" il 20 marzo, è sporta per «diffamazione aggravata dall'uso del mezzo della stampa e dall'attribuzione di fatti determinati (quello di avere un processo pendente per reati valutari)». Vi si legge: «Sul numero del quotidiano "La Notte" del 20 marzo 1987 appariva in prima pagina e a caratteri cubitali il titolo annunciante un libro-bomba su Berlusconi. Nel sottotitolo si specificava, tra l'altro, essere il libro il risultato di una "lunga indagine che mette a fuoco gli interessi di Berlusconi con le loro luci e le loro ombre". Il tutto, corredato da una foto "a mezzo busto" del sottoscritto e dal rinvio "a pag. 3"». Il testo della querela prosegue citando brani della nostra intervista («"Dal nostro libro saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli"»); dopodiché il megaeditore craxiano e piduista argomenta: «II testo dell'intervista è tale da far ritenere che tutto questo ben dì Dio [cioè fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli, n.d.a.] sia posto nel libro "a carico" del sottoscritto. Per la verità, non è precisamente così, perché il libro è costruito, dal punto di vista della diffamazione, in maniera più subdola ma più accorta... L'intervista invece è più brutale, sotto il profilo della metodologia diffamatoria: va giù dura e diretta, perché le "cose spiacevoli" non possono non significare un coinvolgimento di Berlusconi nell'elencazione sopra riportata [e cioè fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli, n.d.a.]».
Ma la querela sporta dall'ex palazzinaro affiliato alla Loggia P2 riserva un finale «colpo di scena»: «... Ed ecco la sorpresa: l'articolista è nientedimeno lo stesso direttore del quotidiano "La Notte" Pietro Giorgianni, che agisce evidentemente in sospetta sincronia con il suo editore, Rusconi; quest'ultimo è già stato querelato dal sottoscritto per un'altra intervista, rilasciata ad un settimanale nello stesso lasso di tempo in cui veniva pubblicato l'articolo di cui sopra. Anche Ruggeri e Guarino sono giornalisti di casa Rusconi».
Berlusconi ritiene dunque che i «rusconiani» abbiano ordito una «strategia della diffamazione» a suo danno, come sostiene nella querela; ma in seguito cambierà idea e rimetterà la querela sporta a carico dell'editore Edilio Rusconi. Rimetterà anche la querela a carico di Pietro Giorgianni, il quale era stato querelato sia come estensore dell'articolo, sia nella sua veste di direttore de "La Notte" (Giorgianni verrà in seguito invitato a cena nella villa di Arcore, e quando il giornalista lascerà la direzione de "La Notte" gli verrà affidata la direzione del periodico della Silvio Berlusconi editore "Telepiù"); ma il «presunto diffamato» chiede espressamente che l'effetto della remissione della querela a carico di Giorgianni non si estenda agli altri due querelati, e cioè a Ruggeri e Guarino: lui il direttore lo perdona, ma «quei due» li vuole in galera... Tuttavia, il Tribunale (presieduto da Giorgio Caimmi, giudice relatore Fabio De Pasquale) è di diverso avviso. «La richiesta del querelante», si legge nella sentenza del 27 aprile 1988, «deve giudicarsi quantomeno singolare. A fondare l'effetto estensivo basterebbe infatti il rilievo dell'unicità dei fatti contestati».
Il Tribunale dichiara dunque il non luogo a procedere nei confronti di tutti i querelati, e condanna Berlusconi al pagamento delle spese processuali. Stessa sorte subisce, l'anno dopo, la querela relativa all'intervista pubblicata da "l'Unità". Berlusconi la rimette, e con sentenza del 20 novembre 1989 il Tribunale (presidente Paolo Carfì, giudici Fabio De Pasquale e Claudio Gittaredi) gli accolla le spese del procedimento. Secondo alcuni, la querela che stando alla deposizione del Di Lenardo sarebbe stata rimessa quando «Berlusconi fece un grosso affare pubblicitario in Unione Sovietica», sarebbe proprio quest'ultima.
Berlusconi sporge un'altra querela a nostro carico per un'ulteriore intervista pubblicata dal settimanale "Epoca". (6)
Il giornalista Carlo Verdelli aveva trascritto, nel numero di "Epoca" del 26 marzo 1987, il colloquio-intervista che aveva avuto con noi in merito al libro appena pubblicato. Gli argomenti dell'intervista erano stati anticipati dalla edizione de "La Notte" del 20 marzo; Berlusconi era al corrente di questo particolare («quella a "La Notte" è un'intervista... in seconda battuta», puntualizzava infatti nella sua querela); e dunque la «presunta diffamazione» era contenuta in entrambe le testate: e tuttavia, il querelante rimetteva solo la querela a carico de "La Notte", mentre confermava quella a "Epoca". Sarà questa evidente contraddizione, questa giuridicamente inammissibile difformità, a segnare la sconfitta finale del Cavaliere, dopo una battaglia legale durata anni e combattuta in tutti e tre i gradi di giudizio, fino alla Cassazione.
Berlusconi sporgeva querela per l'articolo di "Epoca" il 12 maggio 1987. Il processo si teneva nell'autunno del 1988 presso il Tribunale penale di Verona, competente per territorio (in quanto "Epoca" si stampava in quella città). Imputati di diffamazione aggravata a mezzo stampa erano i soliti Ruggeri e Guarino, il collega Carlo Verdelli, e per «omesso controllo» il direttore del settimanale Alberto Statera. (7)
La vicenda merita di essere seguita attraverso il testo della sentenza datata 16 novembre 1988 del Tribunale penale (presidente Mario Resta, giudici a latere Giovanni Tamburino e Giovanni Pietro Pascucci, estensore): «Si dolse, in particolare, nell'atto di querela, il Berlusconi, di due brani contenuti in detto articolo... In primo luogo ritenne diffamatorio l'articolo laddove, dopo che gli autori avevano spiegato il perché della scelta della casa editrice Editori Riuniti ( "Abbiamo scelto la casa editrice del PCI perché ci piaceva una loro collana, "I libri bianchi", quella che pubblica gli atti di accusa dei giudici impegnati nei processi più importanti: mafia, Sindona, strage di Bologna"), con un ardito accostamento e in risposta alla domanda che sorgeva spontanea di come c'entrasse Berlusconi coi processi, riferiva come testualmente dichiarato dagli autori del libro che "un procedimento penale in corso ce l'aveva anche lui: dal 1983, per reati valutari commessi insieme a Flavio Carboni. E una vicenda poco risaputa ma la si evince, incontrovertibilmente, dalla relazione della Commissione parlamentare sulla P2". In secondo luogo gravemente diffamatoria, a giudizio del querelante, doveva ritenersi la frase successivamente riportata nell'articolo anch'essa come testuale dichiarazione degli autori del libro: "Dal nostro libro su Berlusconi saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli" [...]».
Si da il caso che all'inizio della fase dibattimentale noi imputati avessimo subito chiarito che Carlo Verdelli aveva riportato fedelmente le nostre dichiarazioni, e che la notizia del procedimento penale a carico di Berlusconi era poi risultata infondata. Infatti, nel procedimento penale cui ci eravamo riferiti erano imputati il faccendiere Flavio Carboni e il suo braccio destro Emilio Pellicani, e deponendo davanti alla Commissione d'inchiesta sulla Loggia P2, Pellicani aveva chiamato in causa anche Berlusconi: si trattava di una chiamata di correità, tant'è vero che il faccendiere il 19 luglio 1984 aveva promosso causa civile contro Berlusconi esigendo la restituzione di 545 milioni che avrebbe speso per suo conto e in suo nome e chiedendo di «essere manlevato da tutte le conseguenze a lui derivanti e da derivare dal procedimento penale pendente davanti alla Procura di Trieste»: questo era quanto noto al momento dell'uscita del nostro libro e dell'intervista a Epoca. Mentre al Tribunale di Verona era in corso il processo per la querela di Berlusconi, ignoravamo ancora che il 6 ottobre 1988 la Prima sezione civile del Tribunale di Milano, presieduta dal giudice Diego Curtò (8), aveva respinto le richieste di Pellicani (ed è singolare che Berlusconi abbia ritenuto di non informare il Tribunale di Verona della sentenza a lui favorevole e avversa a Pellicani - ma forse più strano ancora è il merito della sentenza...).
Nella prima edizione del nostro libro, a pagina 102, avevamo scritto: «Pellicani sostiene trattarsi di procedimenti per reati valutari che vedrebbero coinvolto, oltre a due società di Carboni, anche Silvio Berlusconi. Se ciò che Pellicani afferma corrispondesse al vero, significherebbe che contro Berlusconi sarebbe in corso (1983) un procedimento penale. Non ci è consentito soffermarci ulteriormente su questo punto e di approfondirlo, poiché scatterebbe il reato di violazione di segreto istruttoria»; al collega Verdelli non potevamo aver dichiarato altro - a scanso di equivoci, lo avevamo pregato di riferirsi alla pagina 102 del libro, ed egli lo aveva puntualmente scritto, sia pure con l'inevitabile imprecisione delle sintesi troppo sommarie.
La prima udienza del processo di Verona si teneva il 27 settembre 1988, ma nel frattempo si erano verificati fatti nuovi. Il procedimento di Trieste pendente in istruttoria a carico del duo Carboni-Pellicani era approdato in aula per il pubblico dibattimento, e quindi era caduto il segreto istruttorio; presa visione delle carte processuali, avevamo potuto constatare che Berlusconi non figurava tra i rinviati a giudizio, circostanza che infatti subito dichiaravamo in apertura del processo di Verona. La sentenza ce ne darà atto: «Ruggeri ha precisato di aver potuto recentemente accertare l'infondatezza della notizia... Ma di quali altri elementi erano in possesso gli autori del libro su tale informazione? Lo si ricava dalla memoria oggi prodotta a firma del Ruggeri: "Ma dove la prudenza, il senso della misura, la cautela nel trattare siffatta materia vengono da noi esercitati al massimo è a proposito dell'affare Calderugia-Nova Nuraghe. Le due società -di diritto estero- possedevano vaste aree edificabili in Sardegna; Carboni e Berlusconi le acquisirono per destinare i terreni alla realizzazione, in società tra loro, del gigantesco progetto di insediamento turistico noto come Olbia 2... Il cav. Berlusconi ha dichiarato di non aver mai sentito parlare della Calderugia e della Nova Nuraghe. Che smemorato! In sostanza Berlusconi sapeva che i terreni erano di società estere, sapeva che volevano il pagamento "in nero", sapeva che Carboni-Comincioli avevano ingannato l'Ufficio italiano cambi, e frodato il fisco, ecc. Berlusconi aveva fornito il denaro per i terreni in questione, e questi sono regolarmente finiti a lui con rogito del notaio Zito di Milano dell'aprile 1981. Questi i fatti. Che poi Pellicani gli abbia attribuito una comunicazione giudiziaria è un errore deprecabile, ma non cambia la sostanza dei fatti"».
«Tali elementi», si legge più avanti nella sentenza, «se giustificavano la conclusione del cointeressamento di Berlusconi all'acquisto dei terreni e del suo coinvolgimento nella complicata vicenda giudiziaria, non autorizzavano certo la conclusione di un suo concorso nei reati valutari addebitati al Carboni».
Era questa considerazione che determinava la nostra condanna a un milione di lire di multa ciascuno. Per le residue imputazioni venivamo invece assolti per insufficienza di prove. Il collegio giudicante perveniva alla nostra assoluzione «con riserva» in merito alla frase «società ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi, Gelli», in considerazione del fatto che «sono effettivamente esistiti dei punti di contatto o dei legami del Berlusconi con dette persone e con fatti del genere giungendosi anche a qualificare tali rapporti come non irrilevanti», e inoltre perché quanto da noi affermato «non appare ispirato da motivi contrari ai doveri professionali del giornalista».
Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Verona erano un duro colpo per il clan berlusconiano, già contrariato dalla parzialissima e momentanea «vittoria di Pirro». Il mensile "Prima comunicazione" nel febbraio 1989 pubblicava un inserto speciale con il testo completo della sentenza, e segnalava: «Il Tribunale di Verona condanna i quattro giornalisti, ma molta stampa scrive che lo sconfitto è Berlusconi».
Infatti, L'Espresso scriveva di «clamorosa sconfitta giudiziaria di Berlusconi a Verona». (9) "Il manifesto" gli dedicava questo colorito articolo: «In galera! Il grido bracardiano è risuonato mercoledì pomeriggio nell'aula di giustizia del Tribunale di Verona, ex caserma asburgica con vista sul carcere. A lanciarlo è l'avvocato Domenico Contestabile, a nome di Silvio Berlusconi e all'indirizzo di Carlo Verdelli, Alberto Statera, Giovanni Ruggeri e Mario Guarino. Era la quarta e ultima udienza del processo per diffamazione aggravata [...]. Berlusconi, che alla sua immagine tiene molto, si era presentato in persona alla terza udienza, nonostante tutto quello che ha da fare. Alla giuria aveva raccontato delle lagrime di mammà alla lettura dell'articolo. Il suo avvocato ha raccontato anche delle lagrime dei Berlusconi babies alla lettura del libro, incautamente lasciato da papa in bella evidenza sulla libreria della villa di Arcore. "Il sospetto come strumento della diffamazione", ha tuonato l'avvocato diparte civile, e per questa pratica da "diffamatori di professione" ha chiesto una riparazione pecuniaria di 100 milioni. Il pubblico ministero, da parte sua, ha chiesto 9 mesi di reclusione per Verdelli, 8 per Ruggeri-Guarino, 5 per Statera direttore di Epoca. Punizione esemplare per chi lede l'immagine dì Berlusconi? La giuria, dopo 4 ore e mezza, ha deciso che non era il caso... Una sentenza che certo non può soddisfare Berlusconi». (10)
Anche "l'Unità", in un articolo intitolato «Berlusconi amico di Getti querela ma i giudici assolvono», evidenziava come il magnate di Arcore avesse chiesto, tramite il suo avvocato, un risarcimento di 100 milioni a testa, respinto dal Tribunale, e condanne per tutti tra i 5 e i 9 mesi: «II Tribunale a tarda sera ha invece emesso una sentenza diversa, assolvendo gli imputati proprio sulle contestazioni più gravi, sia pure per insufficienza di prove». (11)
Ai nostri avvocati Corso Bovio, Caterina Malavenda e Paolo Maruzzo (che sono anche colleghi pubblicisti, e ci hanno assistito con competenza e passione), davamo mandato di ricorrere avverso la sentenza del Tribunale di Verona. Il 22 ottobre 1992, la Corte d'Appello di Venezia (presidente Michele Curato, consiglieri Lionello Marini e Umberto Mariani) trasformava l'assoluzione per insufficienza di prove in assoluzione piena, e riduceva a 700 mila lire la multa per avere attribuito a Berlusconi il coinvolgimento in reati valutari in concorso con Carboni.
Dunque, risultava vieppiù legittimo, e con l'autorevolissimo avallo del Tribunale, accostare il nome e le gesta di Silvio Berlusconi al Venerabile maestro piduista Licio Gelli, al mafioso Vito Ciancimino, al bancarottiere piduista Roberto Calvi, e a vicende di fallimenti, società ombra, «mafia bianca». Rimaneva l'infinitesimale neo della multa per una svista non nostra - un minuscolo neo del quale volevamo comunque liberarci.
L'ultimo atto è del 30 marzo 1993. La Corte suprema di Cassazione (presidente Guido Guasco, consiglieri Giuseppe Ciufo, Guido letti, Alfonso Malinconico, Carlo Cognetti) accoglieva il nostro ricorso, giusto l'articolo 90 del vecchio Codice di procedura penale: «L'impugnata sentenza dev'essere annullata senza rinvio», sentenziava la Cassazione.
Era la vittoria finale e completa. Di tutti e tre i gradi di giudizio, niente è rimasto a nostro carico, neppure la pur modestissima multa. L'onnipotente Cavaliere, da parte sua, non solo doveva prendere atto della completa sconfitta, ma finiva nei guai per falsa testimonianza - cioè a dire, l'accusatore finiva sul banco degli imputati, ai sensi dell'art. 372 del Codice di procedura penale. Al Tribunale di Verona, nel corso dell'udienza del 27 settembre 1988, Berlusconi aveva deposto sotto giuramento; interrogato in merito alla sua affiliazione alla Loggia massonica P2, l'aveva temporalmente collocata nell'anno 1981 (invece che nel 1978, come noi avevamo scritto), e aveva affermato -mentendo- di non avere corrisposto al Venerabile maestro Licio Gelli alcuna quota di iscrizione alla Loggia, al momento dell'affiliazione. Al cospetto di queste clamorose menzogne, avevamo inoltrato un esposto alla Pretura di Verona. Il 22 luglio 1989, il pretore Gabriele Nigro firmava una sentenza istruttoria di «non doversi procedere contro l'imputato [Berlusconi, n.d.a.] perché il fatto non costituisce reato». Avverso la decisione del pretore si appellava il Procuratore generale della Corte d'Appello di Venezia Stefano Dragone. Il processo d'Appello aveva luogo nel maggio 1990. Dal nostro esposto alla Pretura erano trascorsi venti mesi, nel corso dei quali era stata varata dal Parlamento l'ennesima amnistia (la ventitreesima della storia repubblicana); essa diveniva operante il 12 aprile 1990, e riguardava i reati commessi fino a tutto il 24 ottobre 1989 - per Berlusconi era un provvidenziale salvagente. Quando i magistrati lo avevano convocato a Venezia per rispondere del reato di falsa testimonianza, l'editore piduista aveva dichiarato: «Spero che la prossima amnistia, che si annunzia non rinunziabile, non mi tolga il piacere di vedere confermata la sentenza di proscioglimento [della Pretura, n.d.a.] dalla Sezione istruttoria presso la Corte di Appello di Venezia». (12)
«Amnistia non rinunziabile»? Berlusconi farà tutto meno che rinunciarvi, e la Corte d'Appello (presidente G. Battista Stigliano, consiglieri Luigi Nunziante e Luigi Lanza, relatore) non gli toglierà alcun piacere: «Ritiene il Collegio che le dichiarazioni dell'imputato non rispondano a verità... Ne consegue quindi che il Berlusconi, il quale, deponendo davanti al Tribunale di Verona nella sua qualità di teste-parte offesa, ha dichiarato il falso su questioni pertinenti alla causa ed in relazione all'oggetto della prova, ha reso affermazioni non estranee all'accertamento giudiziale e idonee in astratto ad alterare il convincimento del Tribunale stesso e ciò (a prescindere dal mancato utilizzo processuale delle dichiarazioni menzognere medesime da parte del giudicante) ha compiutamente realizzato gli estremi obiettivi e subiettivi del contestato delitto... Il reato attribuito all'imputato va dichiarato estinto per intervenuta amnistia».
Complimenti, Cavaliere!
 

Giovanni Ruggeri - Mario Guarino

 

Note:
1) "L'Europeo", 20 settembre 1993.
2) "II Messaggero", 9 settembre 1993.
3) "Il Corriere della Sera", 9 settembre 1993.
4) "L'Avvenire", 10 settembre 1993.
5) "la Repubblica", 9 settembre 1993.
6) Superfluo precisare che il settimanale della Mondadori, al tempo dei fatti in questione, non era ancora entrato a far parte dell'impero berlusconiano.
7) Non appena Berlusconi acquisirà la Mondadori, Statera verrà sollevato dalla direzione di "Epoca".
8) Sulle singolari coincidenze intercorse fra il corrotto giudice Diego Curtò e Finivest-Berlusconi, cfr. pp. 221, 222.
9) "L'Espresso", 15 gennaio 1989.
10) "il manifesto", 17 novembre 1988.
11) "L' Unità", 17 novembre 1988
12) "L'Espresso", 25 febbraio 1990.

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