«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 6 - 31 Ottobre 1994

 

Regime di campieri e gabellotti


«Niuna cosa è al mondo la quale non abbia nascimento dalla lotta,

principiando dalle armonie sociali»
Aristotele

 

Se la democrazia rappresentativa serve al consolidamento del potere economico e finanziario del grande capitale ai cui margini si costituisce una nuova classe di valvassori; se in essa democrazia si materializzano centinaia di sette collegate da interessi derivanti dal potere che sta occupando tutto il territorio nazionale, ebbene, è il caso di ripensarla. E spiegare agli italiani che essa, così come oggi viene arrogantemente concepita, è la negazione della libertà e della giustizia sociale. È l'accaparramento nelle mani di pochi di un bene comune.
Non è vero che il voto degli italiani sia stato espresso per questo tipo di maggioranza. Il voto è stato manifestato in modo differenziato, in un clima di disintegrazione dei partiti ma, nel quale, la presenza degli uomini politici si è fatta sentire. Sia dei vecchi, sia dei nuovi che però al vecchio sistema erano legati. È stato un voto dettato da irresponsabili impulsi collettivi che ha ceduto ai travestimenti pomposi di alcuni individui. Individui che hanno dato vita e configurazione ad associazioni anziché a idee. Lo dimostra la nascita dei clubs di Berlusconi e dei circoli di AN ai quali si sono iscritti, in maggioranza, gli arnesi che gravitavano nel vecchio sistema. Le solite mezze calzette delle realtà professionali ed economiche che si servono dei clubs -ma soprattutto dei circoli di AN- come di «temporanei locali per la disinfestazione» al fine di ottenere i «diplomi antemarcia». E clubs e circoli sono contigui, interscambiabili, zone di attraversamenti frenetici. La loro minore o maggiore importanza dipende sempre dal peso dei «pezzi da novanta» che i rispettivi presidenti possono esibire sulla scena. Sono marchingegni («nuovi», anche questi) paragonabili a quelli che usavano i notabili dei vecchi partiti e che servivano alla pratica del «voto di scambio». Ma qui siamo giunti a perfezionarlo con una pletora di gabellotti e campieri che mediano, intercedono e si profondono in promesse di elargizioni di favori. Che stanno già distribuendo. Poi passeranno all'esazione: il voto. Circoli composti da uomini pronti a mutare opinione in qualsiasi momento, senza cognizione alcuna della dignità del costume politico.
Il nuovo modo di concepire la politica, si badi bene, non ha distrutto i partiti, ma soltanto trasformato. Per renderli strumenti più personalizzati, per addormentare gli entusiasmi, per cloroformizzare i dissensi. Il trasformismo è divenuto precetto e, nella sua attuazione, prende forma la filosofia dell'accordo con tutti, dei patteggiamenti. Sopita la lunga stagione delle grandi lotte e dei dibattiti ideologici, si tende all'ordinaria amministrazione. All'epopea, succede la prosa. Sul palcoscenico si recita la legge del libero mercato. Con la conclusione che in breve tempo, con la decadenza morale già in atto, riprenderà ancor più vigore la corruzione che del libero mercato è stata sempre parte essenziale. E indispensabile.
Questa maggioranza è una congrega di apprendisti stregoni che tengono in essere un governo cabalistico per un'Italia che sono convinti essere cinquecentesca e in cui rifulge soltanto la scienza della transazione, della contrattazione, dell'accomodamento, della corruzione. Scienze nelle quali Berlusconi ha già dato prova, in passato, essere maestro sapiente e insuperabile.
È tempo che quella parte di italiani che ha accettato con estremo ed ingiustificato lealismo la sconfitta, esca dal torpore. Che si facciano avanti coloro che possono risvegliare gli animi ed obblighino, questo nostro popolo, a stimolare i propri istinti, a tendere l'orecchio a richiami antichissimi sì da armonizzarli con il genio sopito. Per incamminarsi oltre i bacini morti dell'abulia e della rinuncia.

 

a. c.

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