«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 6 - 31 Ottobre 1994

 

Dal fattore «K» al fattore «B»: la sinistra condannata a governare


 

C'è sempre una prima volta nella vita. Questo lo stato d'animo mentre mi accingevo a parlare al popolo post o ex-comunista, ad una importante Festa dell'Unità nel cosentino. Nessun pedaggio pagato all'ipocrisia. Parole chiare, anche dure. Applausi sinceri. Quindi, tra un bicchiere di vino rosso e una salsiccia, strette di mano tra chi intuisce di essere sulla stessa trincea non avendo tempo, né voglia, d'interrogarsi sui sentieri per i quali vi è giunto. L'insolito invito e conseguente incontro ha un antefatto: qualche settimana fa, in occasione del rinnovo degli Organismi istituzionali, i Gruppi consiliari progressisti -PDS in testa- hanno fatto confluire i loro voti sul mio nome per l'elezione nell'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale della Calabria. Una scelta certamente ed ampiamente ponderata -per le ricadute politiche e gli sviluppi che non mancherà di avere per il futuro- preceduta da apprezzamenti lusinghieri nei confronti della mia persona ma, soprattutto, sul ruolo «di avanguardia culturale» svolto in questi anni dal Movimento che ho contribuito a fondare. Quella festa, però, ha lasciato ben altro segno in chi scrive.
L'odore, i sapori, i volti, gli sguardi, i modi semplici, genuini: lì capisci -assai di più che intorno ai cosiddetti «tavoli» dei cosiddetti «poli»- valori, emozioni, sentimenti che ti accomunano, potendo serenamente riflettere sul perché il dialogo sia stato sin qui impossibile. Evitando, magari, di risolvere questa non secondaria questione in maniera semplicistica ed autoassolutoria. Da entrambe le parti.
Credo di aver portato -insieme ad alcuni spunti di riflessione che, dato il contesto, non potevano non essere giudicati originali- una nota d'ottimismo.
Soprattutto quando, all'inizio del mio intervento, ho ringraziato un convitato di pietra, cavaliere e presidente, invitando l'incredulo uditorio a fare altrettanto. E grazie a lui -mi sono sforzato di argomentare- che la sinistra italiana si trova, per la prima volta nella sua storia, persino al di là dei suoi meriti e delle sue stesse convinzioni, all'inizio di un percorso tanto obbligato quanto favorevole.
Fu Ronchey, se non vado errato, ad aver coniato il fattore K. Indicando con esso, lucidamente, quella serie di contingenze storiche e politiche, di equilibri e rapporti di forza internazionali ed interni, che -da Yalta in poi- hanno portato i comunisti italiani, proprio in quanto tali, sino all'anticamera del potere, addirittura associandoveli attraverso pratiche consociative, ma sempre impedendone una diretta assunzione di responsabilità di governo.
Quel fattore negativo, dalla rivoluzione dell'89 in poi, ha progressivamente perduto il suo significato. Non c'è più il comunismo. Il muro è crollato, tutto è rapidamente e drammaticamente cambiato in Italia, in Europa e nel mondo. Sicché gli eredi del vecchio PCI, pur tra lentezze ed incertezze che amplificano le altrui diffidenze, hanno oggettivamente fatto grandi passi in direzione della revisione culturale, dell'innovazione programmatica. Un po' meno, in verità, in quella del superamento del centralismo decisionale e dell'ammodernamento della struttura organizzativa del partito, dove resistono sacche consistenti di conservazione.
Epperò -a soccorrere i «suonati» del 27 e 28 marzo- interviene oggi un altro fattore, di segno tutt'affatto contrario, che potremmo indicare come fattore B (Berlusconi, Biscione, Buon (si fa per dire) governo, Bulimia lottizzatrice dei nuovi padroni del vapore...).
Una serie, cioè, di mutate contingenze di segno questa volta favorevole, che condannerà la sinistra post-comunista a governare questo strano Paese.
Se anche in via d'ipotesi -ma molti fatti attestano il contrario!- il PDS volesse rimanere al palo, condizionato da pigrizie antiche e recenti ovvero da ciò che resta dei suoi apparati, l'impressione è che la storia, da qualche anno in tumultuoso movimento, lo trascinerà comunque in avanti. Anzi, oltre.
I tempi, ovviamente, non sono per nulla scontati. Ma è mia personalissima opinione ch'essi saranno piuttosto brevi. Vuoi per la progressiva polarizzazione del quadro politico -checché ne pensi il prof. Buttiglione e per quanto si agitino i troppi nostalgici del proporzionalismo- vuoi, appunto, per i disastri pregressi e futuri di questa nuova destra arrogante, famelica e pressappochista, con conseguente clima di sfiducia ed isolamento internazionale che finirà per essere elemento decisivo.
Le promesse ed i sogni della campagna elettorale, a cominciare dal milione di posti di lavoro, amplificati dalla incredibile potenza di fuoco (televisivo) del Polo delle «libertà» sono una cosa, altro è la realtà ben triste ed amara con la quale si stanno confrontando gli italiani: sul versante occupazionale, su quello economico-finanziario, per le scelte ed i balletti del Governo in materia di giustizia, lotta alla criminalità, Rai, pensioni, anti-trust, riforme istituzionali, scuola, ambiente...
Per carità, ho azzardato soltanto una previsione. Né sono rincoglionito al punto da non realizzare ch'essa contrasti clamorosamente con i dati dei giornalieri sondaggi d'opinione, quanto con la sicumera dei nuovi potenti.
Bisogna darsi da fare, altroché! Ecco perché, in Calabria, non siamo stati, né staremo sulla riva del fiume. Questo è il tempo in cui, davanti al tentativo di imporre un regime, senza cingolati e baionette, ma attraverso la sistematica manipolazione delle coscienze per le insidiose vie dell'etere, ogni energia va spesa. Nessuno può chiamarsi fuori.
Va ormai tramontando, forse è già finita, la fase dei Movimenti della quale siamo stati anticipatori in Calabria e in gran parte del Sud. Essa ha avuto una sua funzione utilissima e necessaria, dopo il crollo della vecchia partitocrazia, per rompere appartenenze, disaggregare culture, favorire la circolazione delle idee, la ricerca individuale e di gruppo. Ma è già tempo di sintesi, di composizioni, di aggregazioni: secondo itinerari politici, culturali, programmatici e modelli organizzativi che non possono essere mutati da schemi ed abitudini di un'epoca che si è chiusa.
Destra, sinistra, centro? Continuiamo ad usare per convenzione quelli che sono soltanto nominalismi o che al massimo sopravvivono come luoghi di vecchi e nuovi pellegrinaggi. Ma non ci sono più cattedrali, né icone, né testi sacri ed i religiosi che li accolgono appaiono più smarriti degli stessi pellegrini.
Quel che vediamo è un fronte in espansione, un insieme di forze politiche e interessi forti che dispone del Paese a suo piacimento. Esso ha un suo preciso disegno, obiettivi chiarissimi, una sua ideologia selvaggiamente liberista, negatrice di ogni principio di solidarietà, improntata all'esaltazione del mercato ed al contemporaneo disprezzo delle regole che dovrebbero limitarne aberrazioni ed eccessi. Di più: quel Polo -che non ha nulla a che vedere, ha ragione Montanelli, con le destre europee tradizionali, salvo non intravvedervi gli elementi della loro estrema degenerazione- ha persino una propria Weltanschauung. Come definire altrimenti l'irrompere di finanzieri, tecnocrati, pubblicitari e managers alle più alte cariche dello Stato se non il tentativo di annichilire la politica? E come inquadrare la dilagante omologazione, la massificazione, l'edonismo, il culto dell'immagine, il cliché comportamentale, l'egoismo, l'intolleranza di questa nuova destra se non all'interno di una concezione della vita e del mondo in cui non c'è più spazio per le identità, le specificità, le differenze, per il diverso, per l'emarginato, il debole, l'estraneo? Per chi, in definitiva, non possa o non voglia uniformarsi al modello dominante o, peggio, metta a rischio parte delle risorse e dei beni che devono restare disponibili a pochi?
C'è un fronte. E non dovrà nascerne un altro speculare ed omologo. L'alternativa che dovrà essere costruita dovrà dare risposte nuove, serie e credibili ai pellegrini. Anche a quelli che, abituati a frequentare «luoghi» di destra, vi trovano oggi non religiosi ma faccendieri e mercanti...
Questo sì che affascina! A questo vogliamo lavorare in continuità con un percorso ed una ricerca che va avanti senza soste -e credo coerentemente- dal 1991. Come definirla questa costruzione alternativa? Progressista? Di sinistra? Democratica? Sinistra-centro? Centro-sinistra?
Non ci lasciamo suggestionare né dalle etichette né, ripeto, dalla toponomastica.
Ci interessa molto un'area che abbia dei comuni valori di riferimento, una sua politica, una sua proposta di governo piuttosto che di gestione del potere. Capace di farsi carico delle ragioni dei deboli, degli esclusi senza ricadere nei vizi del vecchio assistenzialismo statalista e centralista; di coniugare capitale e lavoro, solidarietà ed efficienza, giustizia sociale e sviluppo, democrazia, libertà e mercato.
Quest'area, dai variegati colori, dalle differenti culture e sensibilità finalmente portate a sintesi -piaccia o non piaccia- non potrà non comprendere il PDS. Anzi, una volta compiuto il processo di definitiva emancipazione culturale, superata ogni tentazione egemonizzante, le residue nostalgie neo-consociative, il PDS sarà non solo parte costitutiva, ma diventerà il propellente di quel nuovo soggetto politico che qualcuno già vede dietro l'angolo. Un processo, dunque, a partenza dal «luogo» dell'attuale sinistra democratica, che vada oltre. Molto oltre. Che muova dal basso verso l'alto, dalla periferia al centro. Che mobiliti energie, che ridia entusiasmo. Che sia fascinoso per quanti, uomini e donne non già burocrati e capipartito, popolano il «luogo» dove un tempo mieteva consensi la balena bianca.
Un progetto che abbia l'ambizione di sfondare sul versante della nuova destra che governa il Paese, portandovi una visione della vita contemporaneamente attenta alle grandi questioni sociali ed esistenziali del nostro tempo.
È utopia immaginare uno scenario di questo tipo?
Ho provato a parlarne, qualche giorno fa, con dirigenti calabresi del PDS, che hanno peso e ruolo anche a livello nazionale. Ho suggerito alcune iniziative concrete che, ove realizzate, potrebbero fungere da detonatore proprio a destra. Particolarmente, nell'area di Alleanza nazionale.
Ho trovato interlocutori attenti ed interessati. Già questa è una rivoluzione. Fino a ieri impossibile.
 

Beniamino Donnici

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