la cultura
un autore da riscoprire
Il Parini, la
gloria e la virtù
«... O buon Fabrizio, con
povertà volesti anzi virtude che gran ricchezza possedere con vizio»
Dante, Purg., XX, 25
Abbiamo sempre pensato che lo studio dei classici non presenti esclusivamente un
valore filologico, ma valga anche come insegnamento perenne di carattere morale
e spirituale.
Anche volendoci limitare alla sola tradizione occidentale, infatti, gli esempi
che possono illustrare quest'affermazione sono davvero innumerevoli.
Ogni pensatore che abbia lasciato una traccia duratura nella storia umana
presenta delle verità senz'altro utili ai posteri.
Come dimenticare, infatti, l'organicità del pensiero platonico, la saggezza
serena di un Epitteto, di un Seneca, di un Marco Aurelio, l'eclettismo
filosofico, la coerenza e l'equilibrio di un Cicerone, il misticismo esoterico
dei plotiniani e degli gnostici, la vastità e la profondità abissale (da pochi
sondata) del pensiero dantesco, la morale oggettivata in figure drammatiche di
Shakespeare, o i colpi di maglio inferti dal miglior pensiero illuministico a
strutture politiche o istituzioni religiose ormai fatiscenti e degenerate, al
fine di aiutare l'evoluzione dei popoli? Eppure, quelli citati costituiscono
solo degli esempi, perché la lista è davvero infinita.
Comunque, torniamo a ripetere in quest'occasione come non sia affatto opportuno
troncare i ponti con la tradizione, che costituisce le nostre radici, se non si
vogliono dimenticare quegli insegnamenti positivi che ci giungono dal passato e
che si rivelano spesso atti a risolvere la crisi esistenziale di noi moderni,
certo tecnologicamente avanzati e convinti dell'onnipotenza della ragione, ma
altresì privi di quel centro, di quei valori, di quelle certezze che hanno
permesso, in passato, di creare civiltà, se non perfette, certamente più stabili
e serene rispetto alla nostra così travagliata, insicura, perennemente
oscillante sul baratro che le si spalanca dinanzi.
È bene, quindi, che il dialogo col passato non venga mai brutalmente interrotto,
per non compiere errori imperdonabili, di cui ci si potrebbe amaramente pentire.
Prestiamo orecchio, dunque, alla voce della saggezza che filtra attraverso i
secoli e che impedisce ad un'umanità avventata ed arrogante di smarrire i veri
valori.
Tale scelta impedisce, ovviamente, di trinciare giudizi meramente negativi o di
assumere atteggiamenti bonariamente paternalistici nei confronti di tutto ciò
che è passato, ma anche, all'opposto, di restare ancorati ad una sterile
apologetica di tipo immobilistico e nostalgico. È bene, dunque, che il rapporto
diacronico tra passato e presente sia vivo, dialettico ed intelligente.
Ciò premesso, per non restare ancorati all'astrattezza delle teorie ed alla
soggettività delle opinioni, nell'intento di fornire un esempio tangibile di
quanto andiamo dicendo, vorremmo prospettare quello che fu l'insegnamento
impartito da un grande italiano alla sua generazione, imbelle servile ed
opportunistica quanto la nostra, nonché ai posteri.
Non è un caso che il Parini, di cui tra un lustro ricorre il bicentenario della
morte (siamo proprio curiosi di vedere se, da chi e come verrà celebrato, in
un'Italia che marcia in senso contrario rispetto alla linea morale da lui
indicata), abbia rappresentato un riferimento costante per le generazioni del
nostro Risorgimento: dal Foscolo al Manzoni, dal Leopardi al Carducci. Un intero
secolo seppe vedere in lui un maestro di vita e d'italianità non miope e
meschina, un esempio vivente di severe dottrine di chiara derivazione stoica,
che rivelano nei loro seguaci un'aristocrazia dello spirito ben più valida di
quella esclusivamente risultante da stemmi e blasoni. Poi, il lento, ingiusto
declino, fino all'attuale oblio che finisce per includere tutti i personaggi
scomodi come lui.
Se ancora se ne parla, lo si fa ricorrendo alla scialba retorica di tipo
accademico che, esaurita la laude, si guarda bene dal mettere in pratica le
regole, perché -si dice- ormai improponibili e troppo scopertamente in conflitto
col modus vivendi imperante ai nostri giorni. Un cumulo di contraddizioni,
ipocrisie, meschinità.
Proprio per questo e perché ci piace remar contro corrente e perché siamo
convinti dell'utilità d'indicare ai giovani (i quali, checché se ne dica, sono
sempre alla ricerca di modelli nella fase della costruzione di una propria
identità) degli esempi positivi, per non piangere poi lacrime di coccodrillo di
fronte al loro nichilismo, o violenza, o abulìa, intendiamo riproporre ai nostri
giorni la morale pariniana, contrapponendola nettamente a quella molto elastica
(è un eufemismo) perseguita dalla maggioranza.
Per far ciò, è sufficiente limitarsi a rileggere l'ode "La caduta", un vero e
proprio autoritratto dell'uomo Parini, emblematica per ricostruire agevolmente
la sua visione del mondo, priva di qualsivoglia compromesso col potere corrotto
e corruttore. L'opera, allo stesso tempo, ci presenta un quadro drammatico e
sconfortante della società del tempo, per tanti aspetti sorprendentemente simile
a quella d'oggigiorno.
Dunque da essa apprendiamo come il Parini fosse stato invitato da chi era
allarmato dal suo precario stato di salute e desideroso di veder premiato il suo
genio ad abbracciar la carriera dell'arrampicatore sociale, del cliente di
personaggi potenti o, peggio, dei subalterni che finiscono per influenzare le
decisioni dei capi.
Lo sconsiderato consigliere appare in buona fede e riflette la mentalità dei
più; per cui, tutto ciò costituisce una prassi scontata per chi vuoi far
rapidamente carriera; pertanto, si fa balenare addirittura la possibilità di
divenire una sorta di giullare o di buffone di corte, financo scrittore porno,
al fine di dissipare la tetra noia dei grandi. Oppure -si dice- ancor meglio, si
trovi l'occasione di penetrare nelle stesse sedi del potere occulto, dove
improvvisarsi agitator di popolo ed astuto demagogo. Insomma, si tentino tutte
le vie; in primis, quella di sfruttare posizioni di prestigio già conquistate da
congiunti o quella ancor più vergognosa e degradante di ricorrere ad amicizie
femminili compiacenti.
È ovvio che il poeta, sebbene già canuto ed infermo, respinga sdegnosamente tali
profferte d'aiuto, per non dover restar poi vittima di rimorsi che avrebbero
senz'altro aggredito la sua coscienza adamantina. Nobile lezione di vita, non
c'è che dire; anche e soprattutto ai nostri giorni, in cui tali vie sono tentate
senza porsi troppi scrupoli.
Così vediamo simili oscenità ripetersi identiche ai nostri tempi: le
innumerevoli schiere di clienti abituali a prostituirsi al potente di turno, pur
di ottenere posti di lavoro, stipendi, prebende, incarichi accettati senza
guardar troppo per il sottile, privi come sono di senso morale; le turpi figure
dei ladri e degli assassini di regime, degli intrallazzatori, dei faccendieri,
dei trafficanti d'armi e droga, mercanti di morte; le ragazzine acerbe spinte
dalle madri ad intraprendere la carriera d'attricetta o di canzonettista,
abbagliate dal mito del successo facile che, seppur comporta qualche compromesso
con la propria coscienza, vai la pena perseguire a tutti i costi; la corruzione
strisciante come un immondo animale insinuantesi in ogni ambiente, anche quello
meno sospetto; il trionfo dell'ignoranza, dell'insulsaggine, del cattivo gusto;
il reciproco incensarsi dei mediocri che non possiedono altri argomenti, o il
gioco al massacro degli astuti compari, che in tal modo innalzano l'audience
della TV spazzatura e contemporaneamente il proprio prestigio.
Assistiamo al dilagare impunito dell'auri sacra fames, dell'esecranda brama
dell'oro, già stigmatizzata dal buon Virgilio e da uno stuolo di saggi ormai
derisi ed inascoltati, i cui carmina non procurerebbero loro neppur il pane, di
cui già all'epoca scarseggiavano, e nemmeno quell'onore che almeno allora veniva
loro tributato.
Oggi più che mai non conta tanto l'essere quanto il parere, al punto che i pochi
buoni rimasti invocano l'avvento di tempi migliori e maledicono l'ingiustizia
imperante. È vero, tuttavia, che il saggio porta con sé le sue ricchezze e che
può sostenere impavido ogni prova, anche la più terribile; pertanto, è giusto
che i grandi non vengano misurati dalla fortuna, ma dalla virtù, come scriveva
lo storico Nepote. Ma è pur vero -e questo a volte rattrista (è umano!)- vedere
come la più sfacciata adulazione procacci amici e successo, mentre la pratica
austera della virtù e la sua generosa difesa generi indifferenza, quando
addirittura non aperta ostilità.
Tuttavia, pur sapendo che stultorum infinitus est numerus, che infinita è la
schiera degli stolti, come recita la sentenza salomonica, non crediamo d'aver
sprecato tempo e fatica; infatti, nutriamo ancora la speranza, nonostante tutto,
che post nubila Phoebus, cioè che dopo le nubi tornerà a splendere il sole.
Altrimenti, avremmo dovuto già da tempo tirare i remi in barca ed attendere
fatalisticamente il compimento della catastrofe; ciò non rientra, però, nel
nostro stile.
Confidiamo, infatti, nella sopravvivenza, seppur stentata del buonsenso,
nell'utilità di predicare e soprattutto di praticare la Giustizia, il Bene, il
Bello.
In realtà, le profezie di sventura, anche se da prendere in considerazione, dal
momento che si vanno puntualmente attuando, non ci toccano più di tanto. Se è
vero -come è vero- che il tempo è ciclico e che il male (cosiddetto da un punto
di vista puramente soggettivo) serve poi a far riflettere e a donare
quell'impulso disperato che ci permette di uscire dal pantano e dalle sabbie
mobili che minacciano d'ingoiarci, allora l'importante non è piangere sul latte
versato, tormentarci con inutili sensi di colpa, o rimpiangere la bella età
dell'oro, seguita dalla triste epoca presente.
Tutto ciò non aiuta, non ci solleva di un millimetro dallo stereo che è salito
fino alla gola.
Serve ben altro: serve restare in piedi, nonostante tutto; serve non farci
abbindolare dagli specchietti per le allodole; serve non farci comprare l'anima
e il corpo dai venditori di vetrini colorati, spacciati per tesori inestimabili
da chi vuole annichilirci del tutto, per dominare su una massa oceanica di
schiavi belanti; serve a trovare il bandolo di questa matassa così intricata che
minaccia di soffocarci troncandola, casomai, con un colpo di spada, come
Alessandro fece a Gordio.
Questo è utile e doveroso fare, non tanto per noi che abbiamo compreso dove
nasca quest'inganno mostruoso ordito ai danni dell'intera umanità da parte di
una mala genìa di esseri demoniaci, quanto per chi ne è ancora vittima
inconsapevole. Pensiamo ai giovani, ai tanti, ai troppi giovani irretiti da
questa macchina infernale; oppure a quelli che vorrebbero uscire dagli
ingranaggi che stritolano loro gli arti, ma che, non trovando punti d'appoggio,
rischiano di soccombere del tutto. È utile, pertanto, rifarsi ad esempi luminosi
e positivi, che purtroppo sembrano appartenere esclusivamente al passato, ma che
non scarseggiano, a ben vedere, nemmeno nel presente. Solo che tali Maestri di
Saggezza si sono prudentemente ritirati; non per timore o spirito rinunciatario,
come potrebbe sembrare, perché ciò non è da loro, ma perché proprio ora si sta
giocando la partita decisiva tra la Luce e le Tenebre, dove l'uomo, per essere
degno di sopravvivere, deve agire in piena autonomia di coscienza e libertà di
giudizio, senza ulteriori aiuti, dopo quelli che gli sono stati abbondantemente
concessi. Qui si parrà la loro nobilitade -come cantava il Poeta-; in tale prova
suprema si vedrà di che pasta son fatti e si commisureranno i meriti di quelli
che resteranno in piedi tra le rovine, facendo esclusivamente appello alla loro
Forza interiore, temprata da tante prove.
L'unica, vera rivoluzione possibile e definitiva, quella capace di ribaltare lo
status quo e di dar inizio ad un'era effettivamente diversa e migliore di quella
che stiamo vivendo possono compierla non individui che si limitano ad indossare
una divisa di colore diverso, conservando sotto la stoffa la stessa personalità,
caratterizzata dagli stessi difetti, bensì uomini nuovi, rinnovati nell'interno,
nello spirito, nella mentalità. Sarà questa razza che, non limitandosi più ad
ascoltare con un atteggiamento misto di compassione e di indifferenza o, al più,
di venerazione, ma senza alcun intento di metterlo in pratica, l'insegnamento
dei grandi e dei Maestri, si dimostrerà capace di viverlo e di attuarlo
integralmente. Ciò dovrà avvenire senza coercizioni di sorta, pena la sua
vanificazione, bensì motu proprio, cioè spontaneamente.
Le virtù, predicate dai Vati, dai Filosofi, dai Maestri che hanno guidato
l'umanità nelle epoche precedenti, dovranno finalmente interiorizzarsi,
rappresentare un habitus per l'individuo e non un qualcosa di artificiosamente
imposto attraverso forme di terrorismo psicologico o di desiderato, ma solo in
virtù di puerili allettamenti.
Solo allora il vecchio mondo scomparirà definitivamente e l'umanità passerà
oltre, in uno stato oggi ancor difficilmente immaginabile. Fino a quel momento,
continueremo ad illuderci con palliativi e ad attendere qualcosa che ci venga
concesso come un dono dall'alto, quando invece dipende esclusivamente dalla
volontà individuale, sicuro indice di evoluzione raggiunta e di maturità
conseguite.
Alfredo
Stirati
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