«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 7 - 30 Novembre 1994

 

Pro memoria per ignoranti, opportunisti e leccaculo

 

«Ci sono due dita di polvere sull'Opera Omnia di Mussolini». Così si è espresso non molto tempo fa il coordinatore di Alleanza Nazionale. Non a caso tale affermazione avviene proprio nel momento in cui si scioglie il MSI e viene definitivamente rinnegato un inestimabile patrimonio sociale e culturale. Un atto che solo ignoranza, malafede e arrivismo messi insieme possono giustificare. Non vi può essere alcuna ragione politica come pezza d'appoggio. Nessuno potrà mai convincerci del contrario. Si abbandonano quelle tesi sociali e quelle spinte ideali che soltanto una guerra mondiale ha voluto e potuto mettere da parte. E si va ad abbracciare il pensiero o meglio ancora il coacervo di interessi liberal-conservatori del capitalista Berlusconi. Sono bastati tre o quattro ministeri, occupati peraltro con bassissimo livello di competenza; qualche sottosegretario e qualche presidenza di commissione per rinnegare tutto, per cancellare in pochi mesi oltre settanta anni pieni di storia, di battaglie, di sacrifici, di sofferenze. Ed allora agli ignoranti, agli opportunisti e ai leccaculo che oramai sono equamente distribuiti nel nuovo (si fa per dire) soggetto politico vogliamo ricordare alcuni passi del testamento politico di Benito Mussolini. Esso è datato 22 aprile 1945. Sei giorni prima di Giulino di Mezzegra.
«La vittoria degli alleati riporterà indietro la linea del fronte delle rivendicazioni sociali. Il capitalismo di stato russo dovrà cozzare fatalmente con il capitalismo anglosassone. Sarà allora che il popolo italiano avrà la possibilità di risollevarsi e di imporsi [...] Lasciate passare gli anni di bufera [...] Un capo dovrà immancabilmente agitare le idee del fascismo. Collaborazione e non lotta di classe; Carta del Lavoro e socialismo; la proprietà sacra fino a che non diventi un insulto alla miseria; cura e protezione dei lavoratori, specialmente dei vecchi e degli invalidi, cura e protezione della madre e dell'infanzia; assistenza fraterna ai bisognosi; moralità in tutti i campi; suddivisione fra tutti i popoli delle materie prime che Iddio ha dato al mondo».
Tutti postulati che il liberismo e il capitalismo berlusconiani stanno definitivamente affossando e deridendo. Il comunismo o capitalismo di stato, al quale si continua strumentalmente dire di volersi opporre (non ci si oppone ad un qualcosa che non esiste più. Si fa soltanto del gratuito terrorismo psicologico, si creano alibi ed equivoci o peggio si vuole che tutto resti come prima), li aveva già in precedenza traditi. E la storia ha di recente fatto giustizia. Ma drammaticamente si è fatto largo, più prepotente e arrogante che mai, l'altro capitalismo. Quello che nel nostro Paese è impersonificato anche e proprio dall'uomo di Arcore e dagli «utili idioti» che vanno da Fini a Bossi per arrivare a D'Alema e compagni. Proprio perché in Italia non esiste più un confronto, e perché no, uno scontro sulle idee e sui valori. Di conseguenza non esiste più una opposizione. Vi è solo ed esclusivamente la politica degli interessi. E lì che ci si scontra e ci si divide, nella migliore logica capitalistica. Così, lentamente ma inesorabilmente si smantella quello stato sociale che proprio il fascismo aveva avviato e costruito. Nessuno difende più i diritti di chi lavora. Dagli ex-comunisti agli ex-missini. Tutti pronti a scannarsi per la RAI o per Bankitalia. Per poter far meglio i propri sporchi interessi hanno inventato quel sistema maggioritario anomalo ed ibrido che, per il momento, non lascia via di scampo a chi ancora ha lo stomaco e la voglia di andare a votare.
«Cura e protezione dei lavoratori, specialmente dei vecchi...». Così si esprimeva l'uomo di Predappio poco prima di essere appeso ai ganci di piazzale Loreto.
Dopo avere rinnegato quel testamento politico si accetta il proditorio attacco alle pensioni, anzi si diventa i co-promotori di tale folle proposta. Riconsegnando così inevitabilmente la difesa dei diritti sociali e del mondo del lavoro a coloro che la storia aveva irrimediabilmente condannato e spazzato via. Mai atto politico fu più delittuoso e irresponsabile. A costoro, ma non soltanto ad essi, è bene ricordare ancora quanto Mussolini dettò al giornalista Giangaetano Cabella il 22 aprile del 1945:
«Verrà chi troverà i nostri postulati del 1919 e i Punti di Verona del 1943: freschi e audaci e degni di essere seguiti. Il popolo allora avrà aperto gli occhi e lui stesso decreterà il trionfo di quelle idee. Idee che troppi interessati non hanno voluto che comprendesse ed apprezzasse e che ha creduto che fossero state fatte contro di lui, contro i suoi interessi morali e materiali».
Oggi fra gli «interessati» dobbiamo collocare anche moltissimi di coloro che fino a qualche tempo addietro insieme a noi combattevano (o facevano fìnta?) perché quelle idee sopravvivessero. Sembrava che quel patrimonio di tesi sociali fosse punto di partenza e di arrivo irrinunciabile.
Quante volte abbiamo ascoltato -nei comizi, nelle riunioni, nei dibattiti- pronunciare la parola «socializzazione». Da contrapporre al capitalismo di stato e a quello individuale. In alternativa al marxismo e al liberalismo. Sinonimo di partecipazione e di giustizia sociale. Vera ed autentica liberazione del mondo del lavoro da qualsiasi tipo di ricatto e di sfruttamento.
Non a caso lo stesso Mussolini parla esplicitamente di «socializzazione mondiale». Contro le democrazie capitalistiche e il bolscevismo capitalistico. Due facce di una stessa medaglia. Una di quelle facce si è dissolta, agli inizi degli Anni Novanta, come neve al sole. È rimasta l'altra. Verso di essa non si può né si deve abbassare la guardia. Quel patrimonio sociale e culturale che il fascismo movimento ci ha lasciato in eredità, condensato nelle ultime affermazioni del Duce, è e resta attuale. Soprattutto per coloro che vogliono coniugare il sociale con il nazionale, che credono nella giustizia sociale, nella solidarietà, nel ritorno alla politica vera, quella cioè dello scontro duro sui valori e del confronto a tutto campo sulle idee. Il testamento politico che Mussolini ci ha lasciato è ricolmo di quelle che a suo tempo qualcuno definì «le idee che mossero il mondo».
Nel momento in cui gli ignoranti, gli opportunisti ed i leccaculo rinnegano e scaricano quelle idee, noi continuiamo a farcene pieno carico nella convinzione, e se si vuole presunzione, di svolgere ancora un compito essenziale e insostituibile.
Non ce ne frega assolutamente niente degli opportunisti e dei leccaculo che continuano a dirci che occorre schierarsi perché il sistema maggioritario lo impone.
Che si schierino loro! L'hanno già fatto. Non crediamo, mai per la verità vi abbiamo creduto, alla fasulla contrapposizione tra destra e sinistra. Antifascismo ed anticomunismo. Da tempo siamo oltre. Come lo erano e lo sono i postulati del 1919 e i Punti di Verona del 1943. Rimaniamo fedeli, perché ci crediamo, a quei princìpi. Ad essi abbiamo dedicato larghissima parte della vita trascorsa, ad essi dedicheremo quel poco o quel tanto che ci resta da vivere. Perché, per dirla con Berto Ricci, «l'obiettivo della nostra marcia, sul terreno economico, è la realizzazione di una più alta giustizia sociale».
Certe idee e postulati sono lì «freschi, audaci e degni di essere seguiti». Le due dita di polvere stanno altrove. Laddove si tenta di riciclare ed accreditare un mondo vecchio, vecchie terminologie, vecchi metodi di fare ed intendere la politica.


Gianni Benvenuti

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